mercoledì 29 ottobre 2014

[maglaxwriters] - Premi, statistiche, voti e classifiche...



Ieri sono stati annunciati i vincitori. 
Ecco che vi riportiamo qui le tabelle e i dati relativi al contest... per qualche dato in più...




CLASSIFICHE


VINCITORI ASSOLUTI   premiati
 
RIZZI 
punteggio 8.71
TRANFICI
punteggio 8.46
FASANO
punteggio 8.19
PISCITELLI
punteggio 8.18
INGARAMO
punteggio 8.14


I PRIMI DEI VARI TEAM  premiati

Social (voti)
Giuria (punteggio)
Uomini over 30
GRANCHI (105)
INGARAMO (45)
Donne over 30
SCAMPONE (396)
RIZZI (46.5)
Uomini under 30
CRISANTEMI (472)
PISCITELLI (45)
Donne under 30
SCIANNIMANICO (252)
TRANFICI (46)





I PIU' VOTATI DAI SOCIAL 
(questi voti sono stati poi integrati con quelli della giuria per la classifica finale)
 
CRISANTEMI 
Voti social 472
SCAMPONE
Voti social  396
SCIANNIMANICO
Voti social 252




I PIU' VOTATI DALLA GIURIA  
 (questi voti sono stati poi integrati con quelli social per la classifica finale)
 
RIZZI 
Tot voti 46,5
TRANFICI
Tot voti 46
 ex aequo
INGARAMO
PISCITELLI
Tot voti 45



PREMIAZIONE MAGLAXWRITERS  vai al sito di Arpeggio Libero


I primi tre classificati (vincitore assoluto) riceveranno nell'ordine:

1° posto Rizzi il romanzo Sulle tracce di Matilde + 1 ebook Arpeggio Liberoù
2° posto Tranfici il romanzo Maschere + 1 ebook Arpeggio Libero
3° posto Fasano - la raccolta Ti racconto una donna + 1 ebook Arpeggio Libero

il 4° e il 5° classificato, Piscitelli e Ingaramo, due ebook Arpeggio Libero

*   *   *

Ai primi classificati di ciascun team nei voti social (Granchi - Scampone - Crisantemi - Sciannimanico) un ebook Arpeggio Libero




INFO SUL CONTEST


Durata contest:  4 aprile 2014 (lancio spot contest)  - fine contest: 28 ottobre 2014  

Partecipanti: 80 concorrenti nella fase iniziale dei provini - 24 concorrenti in finale

Provenienza: tutta Italia. In prevalenza nelle seguenti città e dintorni: Roma, Napoli, Milano, Torino, Udine, Firenze, Cosenza, Firenze, Cagliari. Vari concorrenti da altre località delle seguenti Regioni: Sicilia, Abruzzo e Emilia Romagna e Puglia.

Il più votato dai social [voti di fase1 e fase2] è: Michael Crisantemi (683 voti totali)

Il più apprezzato dalla giuria  [voti di fase1 e fase2] è: Annalisa Rizzi (punteggio 93.5)

Curiosità: Bianca Fasano, del team Donne Over30, ripescata dalla coach per la fase finale si è classificata al 3° posto!



martedì 28 ottobre 2014

[maglaxwriters] - I VINCITORI



Ecco i vincitori della prima edizione del contest letterario MaglaxWriters, organizzato da Magla, l'isola del libro e Arpeggio Libero Editore!


Siete curiosi di sapere? -  cliccate qui  -



[maglaxwriters] - CLASSIFICA FINALE





sul sito di Arpeggio Libero sono finalmente resi noti i vincitori - leggi il post -
LA CLASSIFICA FINALE (combinata voto social+giuria)

1. Rizzi 8.71
2. Tranfici 8.46
3. Fasano 8.19
4. Piscitelli  8.18
5. Ingaramo 8.14
6. Granchi 7.78
7. Camalleri 7.60
8. Cardone 7.44
9. Bertini 7.26
10. Tardo 6.73
11° Bernardinello 6.57
12° Faramondi 6.28
13° Crisantemi 6.13
14° Serafini 6.07
15° Alandini 6.04
16° Scampone 5.52
17° Melato 5.47
18° Pirrello 5.46
19° Nolli 5.09
20° Khaldi 4.80
21° Borghesi 4.71
22° Giovagnola 3.78
23° Sciannimanico 3.77
24° Piani 3.72


link correlati sul sito Arpeggio Libero:




Un ringraziamento a chi ha votato con i propri "like", a chi ha commentato i racconti in gara incoraggiando gli autori e, soprattutto, a tutti i concorrenti che hanno messo anima e talento nel raccontare le loro storie.
Complimenti ai vincitori
ma un attestato di stima a tutte e tutti gli scrittori partecipanti!

Ricordiamo che i punteggi finali sono stati conteggiati dando un'incidenza minore al voto social e un'incidenza maggiore al voto della giuria.

  

lunedì 27 ottobre 2014

[MaglaxWriters] - Finale: elaborazione classifica, domani i vincitori!


#MaglaxWriters: Stiamo procedendo ai conteggi combinati dei voti social e di quelli della giuria. Ricordiamo che il totale dei voti social, così come nelle fasi precedenti, inciderà solo per una percentuale ridotta rispetto al voto dei giurati.

DOMANI 28 OTTOBRE VERRA' PUBBLICATA LA CLASSIFICA FINALE E ANNUNCIATI I VINCITORI
... stay tuned!
Magla staff e Arpeggio Libero









provini - Veglie di non parole, Claudio Soldaini


Veglie di non parole
Claudio Soldaini



“L'aurora rischiarava le sagome dei palazzi della città. Iniziava ad albeggiare e una luce brillante rendeva tutto più definito, netto. La notte stava ritirando veloce il suo buio, come se il sole prepotente volesse scacciar via le tenebre. Elena socchiuse gli occhi e respirò a fondo l'aria ancora frizzante della notte. << E' ora di muoversi>> disse”.

“E io invece dico di no!” - fu la risposta immediata e irrevocabile che per l'ennesima volta le tolse ogni speranza.

“Perché?” - chiese lei con le lacrime agli occhi - “Mi lasci almeno continuare” - aggiunse sforzandosi di non piangere. Ma lui non le rispose, non lo faceva mai. Diceva semplicemente di no e, talvolta, poche altre cose che però non le erano d'alcuno aiuto a comprendere cosa diamine sbagliava.

All'inizio dei suoi vani tentativi, addirittura, lui neanche si degnava di pronunciare una sola parola, e si limitava tutt'al più a scuotere la testa energicamene in segno disapprovazione oppure a sghignazzare cattivo alla fine del brano che aveva appena letto, e che pareva scompaginarsi alla luce del giorno. E purtroppo si trattava di un altro, ancora un altro lungo giorno da trascorrere in attesa della prossima notte di veglia. D'altra parte nessuno l'aveva obbligata a sottoporsi a tale suplizio, sebbene non avesse nemmeno lontanamente supposto che potesse rivelarsi così straziante e, per certi versi, sadico. Tuttavia era decisa a continuare la prova e per niente al mondo avrebbe gettato la spugna, anche se lo sconforto che la dilaniava ad ogni suo diniego le sembrava crescere sempre e sempre di più, e ferirla a morte. Sennonché accadeva che durante la giornata il suo stato d'animo mutasse corso e il suo spirito, ritrovata la genetrice forza, si concetrasse là dove lui l'attendeva vestita di una tunica bianca, al termine della notte, quando le sagome lugubri dei palazzi si stagliavano nel chiarore dell'aurora e il buio, stemperato da pennellate di luce, scomparisse dalle strade ancora deserte della città.

Era questo che avrebbe dovuto vedere con la lucidità di un chiaroveggente, ma finora non c'era riuscita, secondo lui. Nemmeno avrebbe saputo dire se avesse compiuto dei progressi, dopo tutti gli sforzi fatti, i pianti, e le umiliazioni subite.

Ne valeva la pena?

E, non di rado, nei momenti in cui si sentiva più disperata, e la sensazione di trovarsi in un vicolo cieco era più acuta, l'interrogativo si faceva così pressante che finiva per gridarlo dentro se stessa con la rabbia feroce di un guerriero senza scampo, accerchiato da schiere di nemici decisi ad annientarlo.

Non erano narrazioni epiche, bensì fatti; non erano altresì sensazioni menzognere, bensì certezze appurate che si contrapponevano all'oscurità delle notti insonni che era costretta a vivere. Ogni volta portava con sé le sue armi, i suoi strumenti, le sue parole perché non fossero più le sue armi, i suoi strumenti, le sue parole, ma quelle dell'alba che diveniva il racconto che lui pretendeva di ascoltare dalla sua voce.

Lei, all'approssimarsi del tramonto, saliva sui tetti e rimaneva a vegliare nel buio che l'incanto dell'aurora trasparisse dalla coltre di oscurità e, impallidendo dapprima sui muri dei palazzi della città, acquistasse poi la brillantezza di un trionfo di luce.

Era quello un momento magico che se attraverso una parola fosse riuscita a porre in un mosaico di altre parole, forse... No! Nessuna parola ha il potere di prendere il posto della visione! Fu l'urlo che sentì poco prima che la luce rendesse agli occhi la capacità di vedere tutto più chiaro e definito.

Perché, dunque, non ritiri all'alba il tuo buio come fa la notte con il suo? Ma non devi volerlo – disse a se stessa – capisci? Dovrà accadere da sé, semplicemente, allorchè la clessidra del tempo è rovesciata sottosopra.

“Dalla notte spuntarono le linee slanciate dei palazzi più alti della città. Nel cielo, diventato ceruleo, si diffuse la luce velata dell'alba e tutto riaffiorò dall'oceano di tenebre che aveva celato il mondo. Dietro l'orizzonte il sole bandiva la notte che inesorabilmente si dissolveva nel chiarore del nuovo giorno che nasceva. Elena assaporò con voluttà l'attimo, socchiuse gli occhi respirando l'aria impregnata degli aromi pungenti del mattino e sussurrò:<< È giunta l'ora di andare>>”.

Ecco, questo fu ciò che stavolta aveva scritto alla fine della veglia e che ad alta voce aveva letto a lui, suo maestro, suo giudice implacabile. E fremendo aspettò il verdetto, nella speranza mai sopita di aver finalmente imparato a scrivere non soltanto parole.

provini - Uno stupido incipit, Antonio Milicia

UNO STUPIDO INCIPIT
Antonio Milicia



“L'aurora rischiarava le sagome dei palazzi della città. Iniziava ad albeggiare e una luce brillante rendeva tutto più definito, netto. La notte stava ritirando veloce il suo buio, come se il sole prepotente volesse scacciar via le tenebre.

Elena socchiuse gli occhi e respirò a fondo l'aria ancora frizzante della notte.”

«E questo sarebbe un incipit? E' ora di muoversi.»

Si disse.

Era ora davvero di muoversi, di smetterla di perdere tempo a cercare gloria nell’ennesimo di quei concorsetti senza storia e senza speranza, nei quali le idee germogliavano sì a quintali, ma poi erano costrette a crescere strisciando sulla terra confondendosi con le zolle come i tralci di una vite senza tutore.

Le sue idee in fondo questo erano. Erano come i complicati tralci ed i viticci di una rigogliosa pianta di uva zibibbo, che a primavera metteva su una florida vegetazione, ma che non trovando nessun sostegno a cui appoggiarsi e svilupparsi era costretta a farsi miseramente spazio nella nuda terra zollosa, dove quei tralci diventavano lunghi rami flessuosi, ma troppo deboli per stare in piedi da soli, destinati così a poco a poco a restare seppelliti sotto le erbacce che la infestavano, mentre i dolci chicchi di quei grappoletti che dai tralci nascevano si inacidivano in fretta a contatto col terreno, senza che nessuna bocca arrivasse in tempo a succhiarne il prelibato nettare.

E così a strisciare per terra era il suo primo ebook,che lui speranzoso aveva pubblicato quella primavera, anzi, auto pubblicato, dopo aver passato ore insonni a leccare lo schermo del suo desktop cercando di assemblare le parole più scelte e le metafore più suggestive, e poi ancora ore per capire come trasformare quelle sue brillanti parole in quei complicati file dal nome così ridicolo: epub, mobi… e metterle in rete.

Ma rete era la parola giusta, perché quei suoi preziosi frutti rubati al sonno ed al lavoro la rete poi li imprigionava, seppellendoli nell’anonimato tra migliaia di altri libri digitali, morti prima ancora di nascere.

Le aveva tentate tutte, beh, quasi tutte: con gli amici, con i parenti, con i conoscenti, con gli amici dei social network. Gli sembrava incredibile che con un prezzo così basso, meno di un euro, quasi tutti gli promettessero illusoriamente di scaricare il suo ebook e leggerselo al più presto, e perché no, aggiungere un commento e magari cucirgli qualche stella nelle recensioni, mentre i risultati invece restavano inchiodati lì, nelle cinque vendite in un mese a 0,86 euro del suo Morsi di Morte, e nel grafico miseramente piatto che ormai dormiva disteso da settimane come un serpente in letargo, che lui malignamente associava all’encefalogramma dei suoi potenziali lettori, in realtà sbeffeggianti traditori.

La verità è che tutti avevano una scusa per non leggerlo, si diceva, perché magari non lo trovavano propositivo, o vincente. Magari si scocciavano pure di dargli importanza, e poi ormai c’era tanto da scaricare nel web, centinaia di scrittori conosciuti a pochi euro, a cui lui non poteva portare neanche l’infradito.

E così tra i suoi sfoghi silenziosi e le sue depressioni celate, perché non voleva orgogliosamente far capire quanto fosse veramente deluso non tanto dagli altri, ma da se stesso, aveva tentato la strada alternativa dei concorsi. E quanti ce n’erano nel web, con i nomi più improbabili e distribuiti dappertutto come coriandoli nella carta geografica dello stivale.

Li cercava nei siti e ne saggiava le potenzialità, ma la maggior parte si limitava alla targa ricordo con dedica sfregiata o alla scultura scheggiata dell’artista locale, che poi gli veniva il rimorso di partecipare e magari anche vincere, con l’obbligo morale di andarsene fino a Cuneo per ritirare un cesto di salumi messo in palio dalla premiata ditta di turno.

Però la magia di vedere il numero uno davanti al suo nome lo affascinava troppo, e magari con qualche timida scusa, una volta sul palco poteva scivolare in mezzo alle altre qualche parola per pubblicizzare il suo ebook ormai a serio rischio di putrefazione.

Certo il suo sogno era il vero concorso, quello che sanciva l’apogeo dell’esordiente, il Premio Calvino. Ma chissà. Il prossimo anno, se gli veniva l’idea buona e la metteva giù, anche se il suo genere col Calvino poco ci azzeccava, però poteva sempre sterzare la vena giusto per una volta.

I mezzi era sicuro non gli mancassero, almeno, stando alle prese per il cosiddetto che gli arrivavano dalle case editrici per il libro che aveva scritto nel giro di un anno: Sei personaggi in cerca di editore l’avrebbe potuto intitolare ormai, e non Contrada, che poi perché proprio questo titolo così amorfo, che si era infilato come un chiodo nel suo cervello?

Era rimasto scandalizzato da come funzionava il sistema per gli esordienti, eppure gli avevano risposto case che, insomma, alcune davvero non l’avresti mai detto, e quando erano arrivate le lettere con le proposte di contratto, belle gonfie di carta da far ben sperare, poi alla fine il bluff era sempre lo stesso, che iniziava col solito blandire: Gentile autore, abbiamo letto con interesse la sua opera, la riteniamo meritevole e siamo disposti a pubblicarla nella nostra collana bla, bla… ma poi la mazzata… a patto che lei acquisti tot copie, con pagamento anticipato e vincolante per la pubblicazione.

Bello così! Complimenti! Alla faccia della casa editrice, mi pubblica ma con i soldi miei, e magari ci guadagna pure.

E adesso nell’Isola del libro di Magla aveva trovato quest’ennesima spiaggia, non certo l’ultima, ma la grafica colorata e divertente del sito lo stuzzicava, perché no? Si disse.

6.000 battute, uhm… pochine davvero per sviluppare una storia sterzata delle sue. Non capiva mai perché certi concorsi fossero così stitici con lo spazio da concedere. Ma tant’è. Però sto fatto dell’incipit a tema!

Ma quando mai ad uno scrittore si impongono i ceppi mentali di uno stupido incipit? Lui mai avrebbe scritto un racconto partendo dall’incipit già scritto… però, uhm… forse il modo c’era per aggirare quell’ostacolo, si disse, e cominciò a scrivere.

E giusto per scherno alla fine le battute si rivelarono 6.208, che ci provassero pure ad eliminarlo, non mancavano le isole e le spiagge nel web.

provini - Un risveglio movimentato, Alessandro Zampini (Antony Grip)


               Un risveglio movimentato
                                        Anthony Grip



L'aurora rischiarava le sagome dei palazzi della città. Iniziava ad albeggiare e una luce brillante rendeva tutto più definito, netto. La notte stava ritirando veloce il suo buio, come se il sole prepotente volesse scacciar via le tenebre. Elena socchiuse gli occhi e respirò a fondo l'aria ancora frizzante della notte. «E’ ora di muoversi», disse, poi, come se avesse realizzato qualcosa in quel momento, si sollevò di scatto: «No! No, no, no! Non è possibile! Un’altra volta!»

Con gli occhi ormai sgranati, iniziò a guardarsi attorno aggredita da una sensazione di panico crescente. Il torpore della notte era passato come uno schiaffo da parte della persona amata che lascia un livido blu sulla guancia e un senso di frustrazione e sgomento nel cuore. Elena rovistò sotto le lenzuola, sotto il cuscino, sotto se stessa: niente.

«Dov’è? Dannazione!»

Si buttò giù dal letto e ci guardò sotto. Niente!

La sua testa sbucò da bordo del materasso e il suo sguardo smarrito si illuminò di un’intuizione. Sollevò e rovesciò il materasso e finalmente lo vide.

Prese il braccialetto e lesse il display:


02:12:23:45


«Cazzo!», aveva dormito troppo e sprecato ben 11 ore, 38 minuti e 15 secondi. Doveva sbrigarsi o ne avrebbe perso un altro.

L’ultima volta fu abbastanza disgustoso e non aveva intenzione di ripetere l’esperienza (senza contare la ramanzina che le avrebbe propinato il capo… un’altra…).

Cercò in fretta le mutandine. Niente da fare.

Dopo tre secondi pensò che in fondo poteva anche farne a meno. Ma perché doveva essere sempre tutto così difficile!

S’infilò i jeans che trovò nel bocchettone dell’aria condizionata posto in alto, sul muro, e una maglietta degli Antrax che scovò nel freezer: «Ale, sei un bastardo!» esclamò quando se la infilò. I capezzoli le si inturgidirono talmente tanto che temette che avrebbero bucato la stoffa.

Si catapultò verso la porta e si appese alla maniglia che non ne volle sapere di girare. Troppo facile…

Sbuffò e diede una rapida occhiata alla stanza: ma in che topaia era finita stavolta? La porta del bagno sulla destra era aperta lasciando intravedere il cesso incrostato e la tenda ammuffita della doccia.

Si guardò i piedi: «E le scarpe?» chiese, come se qualcuno la stesse osservando.

Non ottenne risposta, ma dietro le tenda della doccia vide sbucare la punta di una scarpetta da ballerina. Prese in mano i nastrini e gridò: «E cosa dovrei farmene di queste!?»

Nessuna risposta.

«Fanculo!» se le infilò in fretta. Frantumò qualsiasi record di imprecazioni nei tre minuti che impiegò ad allacciarsi i nastri e si rimise in piedi.

In alto! Vide l’ombra di una chiave oscurare parzialmente la luce della lampadina, celata dalla grezza struttura di vetro smerigliato del lampadario. Senza andare troppo per il sottile vi si appese tirando giù anche parte dell’intonaco. Si precipitò verso la porta, infilò la chiave ed aprì.

Finalmente fuori… nel corridoio: «Eddai però!» protestò la ragazza allargando le braccia.

A destra, in fondo (molto in fondo) intravide, nella penombra, una rampa di scale che scendeva. Vi si diresse di corsa sfoderando tutta la resistenza offerta dalle scarpette da ballerina.

Giunta alle scale scese la prima rampa con un unico balzo: dieci gradini.

Atterrò scivolando, rischiando di giocarsi le caviglie. Afferrò la balaustra, scese due gradini della seconda rampa e si diede un altro slancio.

Aveva tre giorni per trovare il “ladro di vita”. Tre giorni per seguire indizi, rintracciare (ed interrogare) informatori non sempre collaborativi ed annichilire il furfante a lei assegnato, prima che accumulasse troppi anni per essere ucciso. Alcuni suoi colleghi avevano dovuto attraversare mezza Europa per scovarne uno e lei aveva sprecato quasi dodici ore a dormire. Stavolta il capo le avrebbe fatto il culo se avesse fallito!

Terza rampa, quarta, quinta. Davanti alla sesta protestò: «Ancora!? Ma quante sono?»

“Altre due” è la risposta.

Giunta al piano terra si imbatté in una vecchia oscenamente obesa che, armata di borse della spesa grosse come due valige, ostruiva il passaggio tra le scale e il portone del palazzo.

Elena fece un veloce gioco di piedi e si spalmò contro il muro lercio nel tentativo di passare, ma la cicciona sembrava che chiudesse tutti i passaggi di proposito: «Signora, ma insomma!»

L’altra sbuffò come una locomotiva e, a fatica, si mise di profilo nel tentativo di lasciare un passaggio tra lei e il muro e lasciare passare la maleducata signorina.

Elena si gettò in quel pertugio e sentì la puzza d’aglio emanata dalla pelle della donna quando le si strusciò contro. Per un secondo temette di essere rimasta incastrata quando il braccio sinistro fu fagocitato dalla flaccida massa grassa della donna, ma con un ultimo sforzo riuscì a sgusciare via dalla stretta viscida.

Si precipitò in strada e l’ultima cosa che vide in quella città fu il muso di un furgone che le si piantava in faccia.


Stizzita si strappò di dosso il casco della realtà virtuale: «Vaffanculo!», di questo passo non sarebbe mai diventata un “Guardiana del Tempo”.

Alex, il controller della missione di addestramento, la osservava con un sorriso compiaciuto, il suo compito era rendere la vita impossibile alle reclute nel corso degli addestramenti virtuali ed incasinare le missioni fino al limite: era il suo lavoro e lo faceva dannatamente bene!

Elena si alzò dalla poltrona strappando i sensori collegati alla tuta da addestramento e si diresse verso Alex, risoluta.

Le luci al neon del laboratorio le ferivano gli occhi. La stanza bianca ed asettica era popolata da tecnici e personale sanitario che cercarono di fermarla, mentre Alex, tranquillo, giocherellava con una penna biro e faceva scendere e risalire lo schienale della sedia con un sorriso divertito stampato in faccia, come un bambino su un’altalena.

«Recluta Elena Scacchi. Nel mio ufficio. Adesso!»

Alena guardò in alto, verso le vetrate che circondavano il perimetro del laboratorio dieci metri sopra e vide un’ombra che si stagliava lassù, autoritaria ed intransigente. L’aveva convocata con nome e cognome: stavolta il capo doveva essere veramente incazzato.



provini - Shally viveva ancora, Ivan Pasquariello


Shally viveva ancora
Ivan Pasquariello




L’aurora rischiarava le sagome dei palazzi della città. Iniziava ad albeggiare e una luce brillante rendeva tutto più definito, netto. La notte stava ritirando veloce il suo buio, come se il sole prepotente volesse scacciar via le tenebre. Elena socchiuse gli occhi e respirò a fondo l’aria ancora frizzante della notte.
«È ora di muoversi», disse.


Si preparò velocemente e uscì di casa per affrontare il suo primo giorno di lavoro. Camminando a passo lento, riuscì a vedere nel parco, una bambina bionda rannicchiata su una panchina e vicino a lei c'era un cucciolo di cane bianco. La bambina sembrava molto triste ed era molto strano che si trovasse tutta sola di primo mattino, così Elena decidette di avvicinarsi molto cautamente e le disse “ehi, piccola! Come mai sei tutta sola?”

Lei alzando il viso “ma non sono sola, sono con Milly” indicando il cane.

Elena si inginocchiò verso di lei “come ti chiami?”

La bambina con voce molto tenera “mi chiamo Shally ed abito qui!”

Da lontano Elena vide arrivare il bus, così velocemente le diede un bacio sulle guance e si recò verso la fermata. Mentre correva le urlò che si sarebbero riviste al più presto. Tutto il tempo del tragitto in autobus, Elena pensava a quanta tenerezza le aveva trasmesso quella bambina; arrivò a destinazione e si imbattette nel suo primo giorno di lavoro. Il tempo passò velocemente così si fece l'ora di tornare a casa, Elena salutò i colleghi e si recò alla fermata dell'autobus che non tardò ad arrivare. Salita sul bus si sedette, era molto esausta. L'autista improvvisamente rallentò e annunciò a tutti che il motivo del suo rallentamento, era perché c'era un incidente. Elena potette vedere solo un'ambulanza e due infermieri con una barella ma non riuscì a vedere la vittima. Dopo che la strada si sfollò, Elena scese dal bus, passò di nuovo davanti al parco con la speranza di incontrare la bambina ma non c'era, il parco era vuoto così si recò a casa per cenare. Mentre attendeva che il pollo si cuocesse nel forno, Elena si affacciò alla finestra che era situata proprio di fronte al parco, aveva lo sguardo perso nell'aria quando da lontano vide un cagnolino bianco correre fra i cespugli così spense il forno e scese per andare a salutare la bambina. Era tardi così si chiedeva come mai a quell'ora fosse ancora in giro tutta sola. Elena appena entrò nel parco vide Shally di spalle vicino alla fontanella pubblica, le si avvicinò lentamente per non spaventarla e la chiamava, la bambina non si voltava, così Elena le poggiò la mano sulla spalla ma la piccola si voltò di scatto urlando e lei “ehi, sono io, la ragazza di stamattina, ti ricordi di me?”

Shally, continuava ad urlare fino a diventare tutta rossa, Elena iniziò a spaventarsi, così la bambina iniziò a piangere ed Elena cercava di tranquillizzarla “perché piangi, come mai sei ancora qui?!”

Shally, piangendo “non riesco a trovare la mamma!”

Elena mentre l'abbracciava “dimmi dove abiti, posso riaccompagnarti a casa!”

Shally “lo faresti per me? Dammi la mano ti mostro la strada!”

Le due ragazze si presero per mano e uscirono dal parco seguendo il sentiero che era sul retro, era tutto buio ed Elena era un po' spaventata. Dentro di sé, avvertiva qualcosa di strano. Mentre camminavano la bambina chiese ad Elena se avesse visto l'incidente nel tardi pomeriggio e la ragazza rispose di sì, e poi le chiese “perché c'eri anche tu?”

Shally rispose “certo che c'ero, ero io la bambina che hanno investito ma non mi sono fatta niente!”

Elena per due minuti non pronunciò una parola, istintivamente lasciò la mano della bambina e le chiese “ma che dici, io ho visto che hanno fatto salire una persona in ambulanza!”

Mentre Shally stava per rispondere, iniziò a soffiare un vento freddo e impeto, cadevano le foglie dagli alberi, così Elena incitò alla bambina di recarsi sotto a un palazzo per ripararsi dal vento. Mentre camminavano, Elena notò vicino a un muro, un manifesto sulla quale c'era la foto di una bambina defunta, aveva lo stesso nome della bambina in sua compagnia, anzi era la stessa persona. Elena incitò la bambina a guardare il manifesto “ma tu... sei morta? Chi sei?” con voce impaurita.

Shally “no, non sono morta io ti vedo e tu mi vedi!”

Elena era molto confusa, si strofinò gli occhi pensando che stesse vivendo un incubo e tra lei e lei pensò “ma che diavolo succede?!”

Shally si avvicinò a lei e le prese la mano “hai paura di me? Non devi, io sono buona!”

Elena vedeva i suoi occhi lucidi e profondi, era sicura che non le avrebbe mai potuto farle del male una bambina innocente, così decise di ritornare al parco dove l'aveva vista per la prima volta. Arrivate al parco, si sedettero su una panchina ed Elena con molta dolcezza si rivolse verso la bambina “Shally ma se oggi nell'incidente eri tu ed ora sei qui, vuol dire che volevi farmi vedere come sei morta?”

Shally “ma io non sono morta, perché dici così?”

Elena l'abbracciò fortemente “io posso vederti, ma non tutti riescono a farlo, sai perché? Sei un fantasma!”

Shally “e la mia mamma dov è?”

Improvvisamente videro arrivare una donna con un mazzo di rose bianche che simboleggiavano la purezza. Elena vide girarsi di scatto la bambina, che andò verso la signora e ad alta voce “mammaaa.... mamma!”

La signora sembrava non riuscire ad udire le parole della bambina, Shally non contenta le afferrò le mani ma la signora continuava a camminare. Ad un tratto la donna uscì dal parco e si avvicinò alla fermata dell'autobus, si inginocchiò e posò i fiori vicino ad un palo dove c'era anche la foto di Shally. La bambina vide la donna pregare e si mise a piangere, con le lacrime agli occhi, affiancò la donna inginocchiandosi anche lei. Elena da lontano vide tutta la scena straziante e le venne un nodo in gola, mentre guardava incuriosita sentì afferrarsi per un bracciò, molto spaventata si voltò ed era una donna anziana: con uno scialle rosso, e con molto garbo disse “ogni giorno, puntuale come un orologio svizzero, la mamma passa di qui e le porta dei fiori, la sua bambina è stata investita da un auto mentre attraversava la strada per inseguire il suo cagnolino”

Elena rimase sbalordita “oh, mio Dio! Povera piccola, ora capisco tutto”

La donna anziana le prese le mani “figliola, come te anche io riesco a vedere gente morta e in questo parco ne ho visti tanti, sono anime in cerca di aiuto e di consolazione, specie quando a vagare per la città ci sono anime pie come la piccola Shally.”

Elena si voltò verso la bambina e la vide che abbracciava la mamma mentre era ancora inginocchiata a pregare, la ragazza si fece coraggio e la chiamo “Shally...!”

La bambina si girò e la salutò “grazie per avermi fatto ritrovare mia mamma!”

La donna anziana “ogni giorno la troverai qui, in questo piccolo eden. Ogni giorno lei vivrà sempre il giorno dell'incidente. Trova pace solo quando la mamma viene a portarle i fiori!”

Elena salutò la dolce signora e si avviò verso casa. Mentre attraversava la strada pensava “non avrei mai creduto un giorno di poter vedere un fantasma, di sicuro ho capito che prima di passare all'aldilà tutte le anime hanno bisogno di trovare prima pace e poi saranno pronti per lasciare il mondo terreno!”

La ragazza da quel giorno a seguire, portava un fiore vicino alla fermata dell'autobus per salutare la piccola Shally che viveva lì, perché lei, voleva vivere!


provini - Mitomanie, Riccardo Gavioso


Mitomanie
                                      Riccardo Gavioso

L'aurora rischiarava le sagome dei palazzi della città. Iniziava ad albeggiare e una luce brillante rendeva tutto più definito, netto. La notte stava ritirando velocemente il suo buio, come se il sole prepotente volesse scacciar via le tenebre. Elena socchiuse gli occhi e respirò a fondo l’aria ancora frizzante della notte. Era ora di muoversi si disse.

Più tardi avrebbe dato disposizioni per il viaggio ad Afrodita, ma ora voleva restare sola e riflettere. Si recò nei giardini della reggia e osservò i fiori bagnati di rugiada. Erano meravigliosi, pieni di vita, eppure così monotoni nella loro ricercata diversità. Colorati, eppure grigi come le sue giornate, in cui le risa delle ancelle e dei figli ormai si rincorrevano senza raggiungerla.

Vide un’ombra muoversi sotto le mura e pensò di chiamare le sentinelle, ma l’uomo che veniva verso di lei sembrava innocuo e fu immediatamente incuriosita dalla strana foggia del chitone che indossava e dai ripetuti fregi a tre strisce che lo impreziosivano.

- Di chi sei figlio, straniero?

- Piacere, Antonio…

L’uomo fece un passo in avanti, calpestando alcuni fiori, e allungò la destra. Lo sguardo di Elena si fece malevolo come quello di un aspide

- Fermo lì o chiamo le guardie!

- Guardie anche qui… facevo prima a restare dov’ero!

- Lo credo anch’io, ti potrebbe costare la vita avere oltrepassato le mura di Sparta.

- Sparta…

- Certamente, la città del Peloponneso preferita dagli Dei.

- Peloponneso… beh, non facciamola tanto lunga: zingari!

- Zingari?

- In ogni caso extracomunitari… Lei dovrebbe essere Elena di Troia, vero…

- Che cosa ridicola: sono Elena, figlia di Leda e di Tindaro, moglie di Menelao!

- Allora questa storia del “figlio di” è un ossessione… e, detto tra noi, non so nemmeno fino a che punto le possa davvero convenire…

- Taci straniero e dimmi piuttosto come hai fatto a varcare le mura.

- Guardi Signora, ieri sera sono entrato nella biblioteca del carcere per vedere se avevano qualche numero della Gazzetta… Niente, ma in compenso ho visto un libro, “Miti e Leggende”, e ho pensato che fosse quel famoso supplemento sui grandi campioni del passato che quel “trota” di mio figlio aveva imprestato a un amico e non si era più visto. Beh, lo sfoglio per cercare la storia di Diego Armando e invece ho trovato la sua. Faccio per chiuderlo, ma l’occhio mi cade sulle prime righe, “La donna più bella del mondo”, e mi dico vuoi vedere che è la storia della Ferilli… Non era la storia della Ferilli, e per di più eccomi qua!

- Straniero, dove hai trovato l’ardire di fissarmi… sicuro di sapere i perigli cui vai incontro?

- Non so molto di Perigli, a meno che non sia quel campioncino delle giovanili del Padova, ma devo dire che effettivamente non siete affatto male.

-Affatto male !…affatto male alla donna per cui si è sacrificato un cavallo e sulla sua pelle i tutti i principi della Grecia, si sono giurati fedeltà e reciproco sostegno pur di avermi in sposa!

- Ma siete proprio barbari, far fuori una povera bestia: quando capitano queste cose, si risolve con una comproprietà, con un diritto di riscatto o con un prestito oneroso…

- Non ti comprendo, straniero. Piuttosto dimmi perché attendevi si compisse il tuo destino tra le umide mura di una cella..

- Quell’imbecille di mio cognato, prima mi convince a vendergli la ruspa senza farmi vedere un soldo, poi ci tiene svegli tre mesi, notte e giorno a saldare e rivettare con quegli altri quattro fessi amici suoi, poi i Carabinieri all’alba che vogliono sapere se il carro armato è mio, e quando chiedo quale carro armato, mi dicono di seguirli e anche in malo modo.

- Un carro alato… non essere ridicolo, straniero, devono passare ancora secoli prima che qualcuno tiri fuori questa storia. Piuttosto tu affermi di conoscere la mia…

- Beh, a parte questa sua avversione per gli stranieri, condivisibile ma fastidiosa, non posso aiutarla, avevo appena iniziato a leggere… però le consiglio di non partire per il tempio, posto mal frequentato, figli di papà sfaccendati che si attaccano a ogni gonnella che passa, poi arrivano i giornalisti, capaci che non s’informano bene e scrivono “rapimento” …oltretutto, ho letto che per lei sarebbe il secondo… qualcuno dirà che faceva prima ad andare ad Arcore.

- C’è un tempio anche ad Arcore?

- No, un condominio!

- E la mia storia come dovrebbe proseguire, ridicolo oracolo…

Antonio trovava offensivo il modo di rivolgersi a una persona educata al par suo, ma avendo intravisto degli uomini armati di lunghe picche, preferì accantonare le rimostranze.

- L’Iliade… l’Iliade… è passato un po’ di tempo e temo di averla studiata sul Bignami, ma è fortunata, per punizione ho dovuto imparare a memoria l’inizio… Vediamo: “ Cantami, o Diva, del Pelide Achille l’ira funesta che infiniti lutti addosso agli Achei”… poi ricordo solo un cavallo armato, evidentemente anche tra voi non mancano i cognati, un incendio e un numero di morti da far invidia a Tarantino…

- E chi avrebbe avuto l’impudenza di scrivere la mia storia?

- Un tale, Omero, si dice fosse cieco, ma, secondo me, era solo il primo falso invalido.

Elena rimase a chiacchierare con Antonio, fino a quando lo straniero non sparì come la rugiada dai fiori. Misteriosamente, avevano riacquistato tutto il loro splendore e anche Menelao, al cospetto di Antonio, le parve di nuovo il più desiderabile degli uomini.

E poi andiamo, si disse, fuggire con un “tronista”…

provini - Quando il buio ha paura di me, Enrico Arlandini


          Quando il buio ha paura di me
                                  Enrico Arlandini


L’aurora rischiarava le sagome dei palazzi della città.

Iniziava ad albeggiare e una luce brillante rendeva tutto più definito,

netto. La notte stava ritirando veloce il suo buio, come se il sole

prepotente volesse scacciar via le tenebre. Elena socchiuse gli

occhi e respirò a fondo l’aria ancora frizzante della notte.

<< E’ ora di muoversi>>, disse.

L’esercito sgangherato che aveva alle dipendenze la osservò con aria smarrita. Eppure in mezzo a loro c’erano uomini valenti e coraggiosi, almeno fino a quando l’orrore non li aveva sopraffatti.

Lei invece era riuscita a mantenere i nervi saldi e una buona dose di lucidità, che le permise di sopravvivere.

Adesso erano sicuri non correre rischi, almeno fino all’arrivo di una nuova notte.

<< Dobbiamo farcela questa volta – incoraggiò gli altri – perché i loro attacchi sono sempre più organizzati e non so per quanto tempo riusciremo a resistere>>.

Il suo vice mosse lievemente il capo per assentire, quindi fece cenno alla truppa di procedere.

Camminavano al centro della strada, lontani dalle tettoie delle case che allungavano le proprie ombre sull’asfalto.

Inizialmente era sembrata un’invasione di vampiri.

Quell’ipotesi, per quanto romanzata e poco credibile, avrebbe concesso la possibilità di contrattacco con le armi del caso.

Così invece tutti si trovarono spiazzati, di fronte all’aggressione di soggetti immateriali e sfuggenti. Per meglio dire, ombre.

Ogni notte qualcuno dei loro concittadini subiva una sorte tremenda, trascinato verso un abisso nero come la pece.

Provarono ad annullare il buio, tramite il potenziamento dei lampioni e l’utilizzo di ogni possibile fonte luminosa.

In tal modo venne ridotto il potere delle ombre, che non svanì del tutto, in quanto le vittime proseguirono a ritmo costante.

Durante una riunione pubblica Elena e alcuni altri imbastirono le basi di un estremo tentativo, spinti dalla forza della disperazione.

Gli anziani del luogo ricordavano un’antica leggenda secondo la quale l’ultimo raggio di sole prima che la sfera si nasconda dietro le montagne possiede un potere magico.

Costruirono una scatoletta di legno, ricoprendola di simboli esoterici tratti da un libro trovato in biblioteca.

Quindi, con il fiato sospeso e il cuore in tumulto, attesero l’ora del tramonto.

Sorsero discussioni perché nessuno era in grado di indicare con precisione il momento esatto in cui si sarebbe dovuta sollevare la scatola verso il cielo.

Centinaia di occhi fissarono il sole durante la sua lenta discesa e dopo diversi falsi allarmi, Elena lanciò l’ordine, sperando con tutta se stessa di non essersi sbagliata.

Il raggio terminò la sua traiettoria all’interno dell’involucro, che venne accuratamente sigillato.

La successiva attesa fu snervante; radunati in piccoli gruppi gli abitanti mormoravano preghiere o imbastivano supposizioni sull’esito dell’esperimento.

Come richiamate da quelle litanie le ombre uscirono dai loro nascondigli, ergendosi minacciose.

La loro attenzione fu catturata dalla scatola di legno che giaceva a terra, avvolta da una spettrale luce fluorescente.

Le ombre, rapite da quella visione, si avvicinarono fino quasi a lambirla.

All’improvviso il contenitore si aprì, per sprigionare quell’unico raggio di sole.

Le ombre gridarono, di un suono che non ricordava né voce umana e neppure animale.

Iniziarono a tremare, scosse da convulsioni, mischiandosi l’una dentro l’altra.

Finirono per formare un’entità unica, pulsante di odio e sofferenza.

Quando le ombre diventarono polvere, e la polvere particelle talmente fini da essere indistinguibili, soltanto allora parve che l’incubo fosse sconfitto.

La scatola stessa perse consistenza, scomparendo in fretta alla vista.

Elena mosse qualche passo verso quello che era stato il centro dell’azione.

Inspirò profondamente dal naso, diverse volte.

Ora l’aria era ritornata pulita, non più ammorbata.

Adesso il pericolo era passato. Per sempre?

Questa era la speranza, ma non la certezza.