lunedì 27 ottobre 2014

provini - La casa, Cateno Marco Camalleri


                                   La casa
                               Cateno Marco Camalleri

L'aurora rischiarava le sagome dei palazzi della città. Iniziava ad albeggiare e una luce brillante rendeva tutto più definito, netto. La notte stava ritirando veloce il suo buio, come se il sole prepotente volesse scacciar via le tenebre. Elena socchiuse gli occhi e respirò a fondo l'aria ancora frizzante della notte. «È ora di muoversi», disse.

Giulio la guardò pronunciare quelle sillabe con pesantezza, come se avesse dedicato tempo per sceglierle durante quella notte insonne. Le prese delicatamente le mani e la aiutò a rialzarsi dalla chaise longue sulla quale aveva atteso l’alba, mentre lui, seduto nella poltroncina proprio accanto, provava a intuirne i pensieri, ad individuare il punto esatto verso cui dirigeva immobile lo sguardo. In silenzio accanto a lei aveva sorseggiato con discrezione del liquido ambrato, attento a non produrre suoni. La città stessa aveva offerto un panorama anestetizzato, silenziosamente in attesa del primo raggio di sole, rispettosamente incline al sonno indotto, forse, per non disturbare la donna e le immagini che scorrevano nei suoi occhi. E alla fine quell’attesa era stata premiata da quei pochi suoni, distillati nonostante lo spasmodico desiderio di rallentare il tempo, di fermare il battito inesorabile del piccolo pendolo della cucina: ogni quarto d’ora il meccanico ricordare l’ineluttabile aveva rovesciato il suo scandire sulla donna distesa immobile, su quel terrazzo inondato dal profumo di gelsomino e menta.

L’idea di dormire lì era venuta a Giulio; sapeva quanto la moglie tenesse a quella casa, quanto le fosse costato accettare le pressioni dei fratelli a corto di liquidi, e ricordava il suo silenzio quando la tizia dell’agenzia le aveva comunicato il sì dell’acquirente. Elena aveva fatto solo un cenno impercettibile, e aveva preparato le due reti superstiti nell’ultima camera in fondo al corridoio, adagiando sopra due materassi di lana stravecchia e due lenzuola recuperate da un comò. Alle due di notte però lei non sembrava aver voglia di dormire, così Giulio aveva tirato fuori dallo stipetto della cucina una bottiglia di cognac stantio, lo aveva versato in due bicchieri di plastica e si era sistemato accanto alla moglie, anche lui assorto in pensieri caotici, attendendo il manifestarsi del primo sole.

Nella cucina Giulio armeggiò a lungo con il gas spento da tempo, mise sul fuoco una caffettiera che una volta doveva essere blu e attese il gorgogliare del caffè. Bevvero anche quello in silenzio, in piedi, poggiati sul marmo del parapetto. Il mare del vicino porto era un olio iridescente sotto la luce ancora radente del sole. Navi ormeggiate sonnecchiavano, popolate da rari esseri umani sui ponti scoperti. Elena si chiese cosa mai l’avesse trattenuta dal fuggire via su una di quelle navi, per allontanarsi da quel mondo che le sembrava spesso claustrofobico. Le aveva viste centinaia di volte allontanarsi sempre più veloci, verso l’orizzonte, e sparirci dietro come dissolte, evaporate di colpo insieme all’acqua che le bagnava, magari trasmutate nelle nuvole minacciose che vedeva sorgere da quel bordo di mare lontano.

Il campanello della porta suonò due volte: era la tizia dell’agenzia in perfetto orario e con l’aria stizzita di chi avrebbe voluto essere da un’altra parte. Giulio le tributo il sorriso stropicciato che la notte bianca gli aveva lasciato in dote. «Sì, mia moglie arriva subito», disse. Elena priva di qualsiasi espressione e ancora confinata nel suo piccolo mondo interiore, guardava le scene iniziare e concludersi al rallentatore: stringere la mano della tizia, consegnare i due mazzi di chiavi e quasi involontariamente scivolare verso la porta. Azioni ovattate nei suoni e nelle sensazioni tattili, quasi fosse seppellita sotto uno dei materassi di lana, celata al mondo come quando giocava a nascondino con i fratelli.

Prima di uscire dalla casa si voltò a guardare il lungo corridoio: dalla finestra di una stanza una lama di luce lo attraversava, infrangendosi sulla parete marchiata dalle impronte dei quadri portati via il giorno prima. In fondo, un bambino con i capelli rossi urlò «sei pronta?». La bambina con il prendisole giallo si sistemò sul piccolo triciclo facendo di sì con la testa. Elena aveva una paura folle, e sarebbe voluta scendere mentre il fratello spingeva e l’accelerava. Poi si girò di scatto, avvertendo un tonfo metallico proprio dietro le sue spalle. La bambina iniziò a piangere e a lamentarsi, mentre la mamma, asciugandosi le mani con uno straccio, gridava qualcosa contro di lei, e il fratello sbraitava che non era colpa sua.

Nell’androne del palazzo, Giulio vestito a festa con i jeans Carrera a sigaro le venne incontro. Aveva la faccia terrorizzata del ragazzino di sedici anni e un pacchettino in mano.

«Buona sera signora… Casa Benelli?», chiese il ragazzo con un filo di voce.

«Ultimo piano», rispose il marito. Elena avrebbe voluto dirgli di non preoccuparsi per il regalo, perché le sarebbe piaciuto quel quadretto a specchio di Holly Hobbie, che ancora oggi era in camera sua. Il ragazzo però aveva fretta; era la prima volta che andava al compleanno di Elena e si era infilato nell’ascensore quasi senza ringraziare. Il marito lo vide scomparire dietro la feritoia di vetro e mentalmente rilesse tutte le scritte incise sulla parete dell’angusta cabina, compreso quel fastidioso "Peppe ama Elena", dentro un cuore sbilenco. Gli dava ancora la stessa sensazione acida, sebbene sapesse che quell’Elena era una studentessa del quarto piano.

Per strada Giulio notò che la moglie zoppicava vistosamente e le porse il braccio per sostenerla sino a casa.

«Fa male?», disse indicando con un cenno il ginocchio graffiato e sanguinante.

«Un po’. È che scivolando dal triciclo ho urtato il mobiletto del telefono.»

«A casa ti disinfetto con lo spirito.»

«Pensi che brucerà?»

«Non so. Magari solo un po’, ma prima o poi passerà.»

«Prima o poi…», ripeté Elena con un pallido sorriso. Poi si strinse ancora di più al braccio del marito. E finalmente pianse.



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