lunedì 27 ottobre 2014

provini - Veglie di non parole, Claudio Soldaini


Veglie di non parole
Claudio Soldaini



“L'aurora rischiarava le sagome dei palazzi della città. Iniziava ad albeggiare e una luce brillante rendeva tutto più definito, netto. La notte stava ritirando veloce il suo buio, come se il sole prepotente volesse scacciar via le tenebre. Elena socchiuse gli occhi e respirò a fondo l'aria ancora frizzante della notte. << E' ora di muoversi>> disse”.

“E io invece dico di no!” - fu la risposta immediata e irrevocabile che per l'ennesima volta le tolse ogni speranza.

“Perché?” - chiese lei con le lacrime agli occhi - “Mi lasci almeno continuare” - aggiunse sforzandosi di non piangere. Ma lui non le rispose, non lo faceva mai. Diceva semplicemente di no e, talvolta, poche altre cose che però non le erano d'alcuno aiuto a comprendere cosa diamine sbagliava.

All'inizio dei suoi vani tentativi, addirittura, lui neanche si degnava di pronunciare una sola parola, e si limitava tutt'al più a scuotere la testa energicamene in segno disapprovazione oppure a sghignazzare cattivo alla fine del brano che aveva appena letto, e che pareva scompaginarsi alla luce del giorno. E purtroppo si trattava di un altro, ancora un altro lungo giorno da trascorrere in attesa della prossima notte di veglia. D'altra parte nessuno l'aveva obbligata a sottoporsi a tale suplizio, sebbene non avesse nemmeno lontanamente supposto che potesse rivelarsi così straziante e, per certi versi, sadico. Tuttavia era decisa a continuare la prova e per niente al mondo avrebbe gettato la spugna, anche se lo sconforto che la dilaniava ad ogni suo diniego le sembrava crescere sempre e sempre di più, e ferirla a morte. Sennonché accadeva che durante la giornata il suo stato d'animo mutasse corso e il suo spirito, ritrovata la genetrice forza, si concetrasse là dove lui l'attendeva vestita di una tunica bianca, al termine della notte, quando le sagome lugubri dei palazzi si stagliavano nel chiarore dell'aurora e il buio, stemperato da pennellate di luce, scomparisse dalle strade ancora deserte della città.

Era questo che avrebbe dovuto vedere con la lucidità di un chiaroveggente, ma finora non c'era riuscita, secondo lui. Nemmeno avrebbe saputo dire se avesse compiuto dei progressi, dopo tutti gli sforzi fatti, i pianti, e le umiliazioni subite.

Ne valeva la pena?

E, non di rado, nei momenti in cui si sentiva più disperata, e la sensazione di trovarsi in un vicolo cieco era più acuta, l'interrogativo si faceva così pressante che finiva per gridarlo dentro se stessa con la rabbia feroce di un guerriero senza scampo, accerchiato da schiere di nemici decisi ad annientarlo.

Non erano narrazioni epiche, bensì fatti; non erano altresì sensazioni menzognere, bensì certezze appurate che si contrapponevano all'oscurità delle notti insonni che era costretta a vivere. Ogni volta portava con sé le sue armi, i suoi strumenti, le sue parole perché non fossero più le sue armi, i suoi strumenti, le sue parole, ma quelle dell'alba che diveniva il racconto che lui pretendeva di ascoltare dalla sua voce.

Lei, all'approssimarsi del tramonto, saliva sui tetti e rimaneva a vegliare nel buio che l'incanto dell'aurora trasparisse dalla coltre di oscurità e, impallidendo dapprima sui muri dei palazzi della città, acquistasse poi la brillantezza di un trionfo di luce.

Era quello un momento magico che se attraverso una parola fosse riuscita a porre in un mosaico di altre parole, forse... No! Nessuna parola ha il potere di prendere il posto della visione! Fu l'urlo che sentì poco prima che la luce rendesse agli occhi la capacità di vedere tutto più chiaro e definito.

Perché, dunque, non ritiri all'alba il tuo buio come fa la notte con il suo? Ma non devi volerlo – disse a se stessa – capisci? Dovrà accadere da sé, semplicemente, allorchè la clessidra del tempo è rovesciata sottosopra.

“Dalla notte spuntarono le linee slanciate dei palazzi più alti della città. Nel cielo, diventato ceruleo, si diffuse la luce velata dell'alba e tutto riaffiorò dall'oceano di tenebre che aveva celato il mondo. Dietro l'orizzonte il sole bandiva la notte che inesorabilmente si dissolveva nel chiarore del nuovo giorno che nasceva. Elena assaporò con voluttà l'attimo, socchiuse gli occhi respirando l'aria impregnata degli aromi pungenti del mattino e sussurrò:<< È giunta l'ora di andare>>”.

Ecco, questo fu ciò che stavolta aveva scritto alla fine della veglia e che ad alta voce aveva letto a lui, suo maestro, suo giudice implacabile. E fremendo aspettò il verdetto, nella speranza mai sopita di aver finalmente imparato a scrivere non soltanto parole.

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