venerdì 23 gennaio 2015

[maglaxwriters] - Ringraziamenti e novità

A contest concluso, consentiteci due parole...
 
La prima edizione del "MaglaxWriters", il contest che abbiamo ideato noi di Magla, l'isola del libro con il patrocinio di Arpeggio Libero Editore, si è conclusa! 

Un'impresa titanica, messa in piedi con pochi mezzi e tanta passione, che ha visto più di 80 autori e autrici di tutta Italia gareggiare per arrivare in finale. Contest impegnativo, certo, dal punto di vista organizzativo e per l'ulteriore ruolo da coach che noi di Magla abbiamo svolto, supportando il nostro team anche nell'editing dei racconti in gara. 

Ringraziamo tutti i concorrenti, per l'impegno profuso e per la condivisione del proprio talento, in tutti questi mesi che hanno caratterizzato le fasi del contest. 

Ringraziamo Laura Bassutti, Silvia Devitofrancesco, Mariangela Di Nanno, Pieroni Marina, Laura Roggero e Daniela Vitali, che hanno composto la nostra giuria nella fase della semifinale: si sono sobbarcate la lettura di tanti racconti e l'onere di valutarli, svolgendo il loro compito con precisione e professionalità.

Ringraziamo Arpeggio Libero, per il supporto decisivo nell'ultima fase e lo staff di Arpeggio, per l'onere di valutare i racconti finalisti in qualità di giuria. 

Ci teniamo a sottolineare la generosità di Fabio Dessole e Manuela Dessole, gli editori di Arpeggio, che hanno agito per far fare quel salto di qualità a questo contest, che già straordinario era ma che ancor più straordinario è diventato, con la realizzazione nei prossimi mesi di un'antologia cartacea e di un ebook che avrà il timbro Arpeggio Libero. 
Ci preme informarvi che i premi messi in palio da questa straordinaria Casa editrice sono stati più di quelli previsti: Arpeggio Libero ha, infatti - a sorpresa -, deciso di premiare anche le posizioni di spicco nei vari team, aumentando il numero dei libri e degli ebook offerti ai concorrenti.

Tanto di cappello alle tre vincitrici assolute di questa prima edizione del MaglaxWriters: Annalisa Rizzi, Annarita Tranfici e Bianca Fasano, che hanno saputo sbaragliare la concorrenza degli altri talentuosi autori con i loro bei racconti. Il fatto che il podio sia tutto al femminile ci inorgoglisce in quanto donne e scrittrici (giusta solidarietà femminile!).

Un ringraziamento speciale, se ce lo consentite, lo vogliamo fare anche a noi stesse, le 4 Maglozze: Alessandra Nitti, Annalisa Caravante, Loriana Lucciarini e Marta Tempra. Quattro autrici che meno di un anno fa si sono incontrate e che hanno creato un gruppo unico e speciale: dove sinergia e entusiasmo hanno portato alla realizzazione di molte idee e progetti, compreso questo contest. Un contest dall'esito non scontato, partito anzi quasi come un'avventura un po' folle, una scommessa o un gioco, ma che si è rivelato davvero una bella esperienza, con risvolti inaspettati e un bel successo! Ognuna di noi, pur con altri mille impegni professionali e personali, ha dato l'input vitale e il contributo per arrivare fino a qui!


Un'avventura che non finisce qui...
A tutti i concorrenti vogliamo ricordare che l'avventura non termina ora: nei prossimi mesi verrà realizzata l'antologia cartacea edita da Arpeggio Libero, con i racconti di tutte le autrici e gli autori giunti in finale. Antologia che, successivamente, verrà presentata in varie città d'Italia in un tour di promozione che vedrà coinvolti oltre agli organizzatori anche tutti gli autori partecipanti al contest!

Inoltre, sempre dalla casa editrice Arpeggio Libero, è prevista le realizzazione di un sito internet (quello che state visitando) che contiene la storia del contest,  che vedrà coinvolti tutti i partecipanti (dai provini alla semifinale), con i profili di tutti i partecipanti, i loro racconti nonché interviste ai giudici, commenti degli autori e tante altre curiosità... un modo in più per scoprire la storia di questa prima edizione del MaglaxWriters!

...SO: STAY TUNED!


* Magla staff * 





mercoledì 21 gennaio 2015

[MaglaxWriters] - goodnews 1



[maglaxwriters] - goodnews 2



[MaglaxWriters] - goodnews 3






Provini - selezione Team Uomini Under 30

TEAM UOMINI UNDER 30 (coach: Loriana Lucciarini)

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scheda Andrea Khaldi Rumigal
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Valutazioni e selezione autori Team

SIETE STATI TUTTI MOLTO BRAVI E NON E’ STATO FACILE PER ME VALUTARE CHI AMMETTERE E CHI ELIMINARE. MI SONO FATTA PROMOTRICE DELL’INNALZAMENTO DA 8 A 10 PROPRIO PER DARE A MOLTI DI VOI LA POSSIBILITA’ DI ARRIVARE ALLA GARA 1, PERCHE’ AVETE TUTTI TALENTO E MERITATE QUEST’OPPORTUNITA’… DETTO QUESTO PERO’ QUALCHE ELIMINAZIONE E’ STATA NECESSARIA E PER DECIDERE HO UTILIZZATO DEI CRITERI ANALOGHI PER TUTTI, PER UN GIUDIZIO ONESTO E UNIVOCO… QUINDI ORA SONO ORGOGLIOSA E FIERA DI ANNUNCIARE I 10 SCRITTORI IL TEAM UNDER 30 UOMINI, CHE PARTECIPERANNO ALLA GARA 1 DEL CONTEST MaglaxWriters! OTTIMI I RACCONTI IN GARA E BEI TALENTI NELLA MIA SQUADRA!

COMPLIMENTI RAGAZZI!

Fausto Pirrello
Andrea Di Lauro
Michael Crisantemi
Matteo Iacobucci  Valerio Vozza (Iacobucci rinuncia, sostituito da Vozza)

Simone Piani
Daniele Imbornone
Francesco Piscitelli
Andrea Khaldi (Rumigal)
Valerio Zavaglia
Luca Giovagnola

…IN BOCCA AL LUPO PER LA GARA 1!

perché ho scelto questi autori ed escluso altri? leggi le mie valutazioni qui


Fausto Pirrello “La metamorfosi”  25/30

Stile e grammatica 9/10
Argomento 8/10
Emotività 8/10

Uno stile originale, assolutamente personale, un po’ criptico e incline all’interpretazione, unito a una profonda capacità di riflessione psicologica e a implicazioni filosofiche. Questo racconto breve è la sintesi di una buona capacità narrativa e di astrazione, di approfondimento delle dinamiche psicologiche e del “male di vivere”. L’autore in questo suo racconto rende un’ottima prova, sicuramente più elevata in termini di impatto emotivo e di stile rispetto agli altri concorrenti. Il lettore trova tra le righe la propria libertà di interpretazione, assolutamente personale, in quella che per l’autore è il racconto di una rinascita.
“Smettila di illuminare quello che non ho, smettila di dare inizio ad un nuovo giorno che non vivrò. Smettila di far crescere alberi che mi fanno respirare, che la mia vita è priva di momenti che il respiro me lo tolgono.”
“L’unica persona con cui avrebbe convissuto per sempre era lei stessa. Questo riduceva sensibilmente il peso delle azioni degli altri.”

Andrea Di Lauro “Io sono…”   24/30

Stile e grammatica 7/10
Argomento 9/10
Emotività 8/10

In questo racconto si analizza il divario tra ciò che siamo e ciò che vorremmo essere, tra il conosciuto e la parte più nascosta di noi stessi. Elena si trova ad affrontare la prova più difficile della sua esistenza, di agente infiltrato, rispetto a una vita che è diventata sempre meno la sua da quando ha iniziato ad interpretarne un’altra. Un’altra Elena, per tutti Irina, che nonostante la finzione diventa sempre più vera, tridimensionale, reale.
“Morivo, o finalmente nascevo? Chi sono io? Il fatto è che fino a quando continuiamo a dire io sono, non conosceremo mai chi siamo.”
La capacità narrativa e l’approfondimento psicologico suppliscono ad alcuni errori grammaticali, il racconto ben articolato fornisce una buona prova di scrittura.

Michael Crisantemi “La guerra di Elena”  24/30

Stile e grammatica 8/10
Argomento 8/10
Emotività 8/10

Il titolo, scontato, inganna il lettore, che si ritrova in una storia fatta di abbandono e tradimento, nella quale la moderna Elena vuole trovare riscatto, decidendo di riconquistare il suo amore perduto. Ma il finale, assolutamente inaspettato, sorprenderà un po’ tutti… L’autore ha una buona capacità lessicale ed espositiva. Approfondisce il lato psicologico del senso di abbandono e di tradimento. Riesce a far crescere la rabbia della donna nei confronti dell’amato fedifrago e porta ad un finale a sorpresa. Le capacità narrative ci sono tutte e ben utilizzate. Un racconto ben scritto e ben realizzato.
“Elena respirò a fondo l’aria di quella mattina che ancora non lasciava svelare il suo mistero: era più frizzante del solito, più sottile, più intrigante. Il vento le parlava all’orecchio, il fiume dabbasso le suggeriva propositi che ancora non riusciva a decifrare. Eppure sentiva che avrebbe dovuto fare qualcosa, qualcosa per salvare la sua storia. E lo avrebbe fatto appunto quella mattina.”

Matteo Iacobucci “Ti strapperò l’amore”  22/30

Stile e grammatica 6/10
Argomento 8/10
Emotività 8/10

L’autore affronta un tema delicato, come quello della sottrazione di un figlio alla propria madre da parte di un uomo rabbioso e vendicativo, legato all’implosione di una storia d’amore a causa di un tradimento, tradimento che proprio Elena – la protagonista, in un momento di debolezza, ha commesso e durante il quale è stata scoperta. Giancarlo, l’uomo tradito soffre e si carica di odio e, in questo caso (e forse troppo spesso anche nella vita reale), non riuscendo a superarlo decide di attuare la sua vendetta. Una vendetta tesa a rovinare la vita a chi, per prima, l’ha rovinata a lui, sottraendole la figlia e poi dandole un appuntamento in cui le sorti di entrambi cambieranno per sempre. Il racconto prende una svolta inaspettata nelle ultime righe finali. Giancarlo rivolge l’odio verso se stesso: ormai ha vita frantumata e poca voglia di vivere, ma attua la sua personale contorta vendetta, lasciando ad Elena un rimorso incancellabile.
“Il sangue raggiunse le scarpe di Elena, che con un respiro affannoso sembrò fondersi col rosso del cielo. Quell’incubo l’avrebbe rivisto negli occhi di sua figlia.”
Molte le implicazioni etiche, morali e psicologiche che l’autore riesce a gestire con intelligenza e capacità narrativa. Lo stile è fluido e privo di orpelli, peccato per alcuni errori sintattici che però nulla tolgono al valore del racconto. Una buona prova.

Daniele Imbornone “Le impurità del cuore”  22/30

Stile e grammatica 8/10***
Argomento 8/10
Emotività 8/10

L’autore si cala nella psicologia femminile di Elena, una giovane donna dalla doppia vita: madre e moglie di giorno, escort di lusso di notte. Una vita sdoppiata che ora, a Elena, pesa sempre di più come un macigno: una palude di bugie nella quale è sempre più invischiata. L’approfondimento emotivo è notevole: il lettore scivola, riga dopo riga, nel senso di ineluttabilità in cui la protagonista è precipitata. Gli inganni son diventati un muro invalicabile, la verità nascosta è una ragnatela che la soffoca, l’impossibilità di cambiare il presente è un peso troppo grande da sopportare. Elena ne è sopraffatta e, troppo stanca, è incapace di proseguire questa vita fatta di bugie e identità sdoppiate, dove in entrambe non ritrova né un barlume di verità né l’ombra di se stessa.
“L’ampia porta-finestra era rimasta per tutto il tempo socchiusa, in attesa che quell’interminabile dialogo tra lei e la silente città cancellasse la sporcizia che si sentiva addosso. Elena sperava che il sole nascente illuminasse un po’ di buio che si portava dentro; ma invano.”
Il finale inaspettato, un’esplosione di luce nella palude nera dei suoi devastanti sensi di colpa, le offrirà un futuro diverso. L’autore offre prova di un racconto ben narrato, dove si intravedono doti di scrittura e introspezione.

***Qualche punto in meno per aver superato le battute richieste, ma tolleranza per il numero minimo delle stesse, ai fini della conclusione del racconto.


 Simone Piani “Elena”  22/3

Stile e grammatica 8/10***
Argomento 8/10
Emotività 8/10

Nelle prime fasi del racconto troviamo una Elena intorpidita e confusa, in un angolo di mondo sconosciuto. Nelle brevi descrizioni successive riusciamo ad ipotizzare che si stia raccontando della famosa Elena dei classici della letteratura ellenica, che tutti abbiamo potuto conoscere sui banchi di scuola. Ma appena qualche riga più avanti rimaniamo spiazzati del prosieguo della storia… Una narrazione intrigante e fluida, che sembra giocare nel concedere stupore, per arrivare infine a dipanare una storia che tutto è tranne ciò che ci si aspetta. Perché nulla è come sembra.
“La strada cominciava ad arretrare sotto i loro piedi come se si riavvolgesse; anche i suoi ricordi, sfuggendo al suo controllo, si arrotolavano. Le parve che l’aurora scomparisse e tutto fosse tornato a quella lontana notte, il 17 maggio.”
Un argomento difficile, nelle sue implicazioni emotive e sociali, che l’autore ha ben utilizzato in questo racconto breve.

***Qualche punto in meno per aver superato le battute richieste, ma tolleranza per il numero minimo delle stesse, ai fini della conclusione del racconto.


Francesco Piscitelli “La campana”   22/30

Stile e grammatica 8/10***
Argomento 8/10
Emotività 8/10

Qual è il confine che separa la propria mente – certezza di pensieri ed emozioni consolidate – dall’abisso dell’altrove dei pensieri oscuri e dei cattivi presagi? Perché alcuni di noi vanno oltre, in quella terra sconosciuta fatta di paure e buio, di istinti e d’orrore? Quali sono gli effetti che l’assenza di questa barriera provoca negli esseri umani? Il destino di Elena è rimasto incastrato nel ricordo di quel gioco che le cambiò tragicamente la vita.
’Piede sulla fessura, aria di sepoltura”, la frase che in modo ossessivo continuava a sentire nella mente. Ripensò a quegli avvenimenti continuando a restare ferma nella identica posizione, con il piede sulla fuga della mattonella. Le strade cominciavano a popolarsi, le persone osservavano quella ragazza immobile sul marciapiede con un misto di curiosità e divertimento.”
Buon ritmo e suspance per un racconto fuori dagli schemi, ben articolato nei suoi flashback, originale nell’argomento e ben scritto.

***Qualche punto in meno per aver superato le battute richieste, ma tolleranza per il numero minimo delle stesse, ai fini della conclusione del racconto.


 Andrea Khaldi (Rumigal) “Solo 8 minuti”  22/30

Stile e grammatica 8/10
Argomento 6/10
Emotività 8/10

Non si può non immedesimarsi con questa Elena un po’ pasticciona e ritardataria, perché lo stile fluido e limpido dell’autore porta proprio a riconoscersi negli stessi dubbi, errori e indecisioni che vive la protagonista. La capacità dello scrittore sta proprio in questo: riuscire a suscitare istintiva simpatia e compartecipazione alle vicende della giovane Elena. Qualche approfondimento in più e una revisione più accurata del testo avrebbero sicuramente arricchito di valore questa breve storia, che comunque risulta essere ben scritta, di stampo romantico e da un lieto fine a sorpresa, che non guasta mai!
“Elena rimase ferma in mezzo alla stazione, a guardare lo schermo con su gli orari dei treni. Le tornò in mente una frase de ‘Il ciclone’: i treni sono fatti apposta per gli addii.”

Valerio Zavaglia “Rinascita”  21/30

Stile e grammatica 8/10
Argomento 8/10
Emotività 5/10

 Il genere horror qui è ben utilizzato, in un crescendo di ritmo e suspance, per rendere uno spaccato su un mondo oscuro e crudele. All’inizio pensiamo di star leggendo un classico racconto su una notte d’amore tra due solitudini che s’incontrano, ma appena la sfortunata Elena si risveglia, subiamo l’accelerazione del ritmo narrativo e una precipitosa caduta verso un orrore che si consuma velocemente, trasformando la protagonista in uno strumento di passaggio, quasi un portale macabro e sanguinolento, per il ritorno del Signore del male. Eppure i piccoli segnali di comprensione dell’inaspettato finale c’erano fin dall’inizio “ricordava le labbra fredde che le percorrevano il collo”, segnali che l’autore si è divertito a lanciare all’ignaro lettore, quasi in un gioco in punta di penna.
Buona narrazione, stile fluido, suspance e ritmo ottimi, inaspettata sorpresa finale. Ovviamente quello che manca è l’emotività, ma credo che la sensazione di terrore e di paura possano compensarla ampiamente!

Luca Giovagnola “La coscienza”  19/30

Stile e grammatica 5/10
Argomento 6/10
Emotività 8/10

Un racconto con buoni presupposti, se non fosse per lo stile narrativo troppo prolisso e privo di ritmo narrativo. Periodi lunghi, che si perdono in ulteriori digressioni rendono difficoltosa la lettura di una storia che, al contrario, è interessante e ben analizzata negli aspetti psicologici/emotivi. C’è buon potenziale, perché l’autore è un attento osservatore e conoscitore dell’animo umano, tanto da tratteggiare la figura dell’amico di Elena e della stessa giovane Elena con una sensibilità inaspettata. Ma c’è anche molto lavoro da fare per “pulire” uno stile di scrittura forse ancora troppo acerbo, che deve imparare a utilizzare la sintesi per diventare più d’impatto.
“A lei bastava che l’ascoltassi e che dopo un discorso che spesso non capiva le dicessi:“ Non sei cambiata”, lei era contenta di ciò, si sentiva meglio, liberata, e gli compariva sul volto un sorriso da infante felice, come se per lei quella frase bastasse a tornare bambina; eppure integra non era mai stata mai, era compromessa, ma come biasimarla…”

 Valerio Vozza “Il cartellone sul palazzo”  18/30

Stile e grammatica 5/10
Argomento 8/10
Emotività 5/10

E’ stato molto complicato per me valutare questo racconto e decidere per la sua eliminazione. Perché da una parte c’è un’idea divertente e sicuramente originale (la ragazza del cartellone pubblicitario e il suo innamorato), con un incipit ben utilizzato anche per riallacciarsi alla parte finale. Tutte qualità che denotano una capacità creativa dell’autore in gara, combinata con uno stile frizzante e ironico. Dall’altra purtroppo troviamo invece un’ortografia e una sintassi scadente: i tempi verbali passano dal passato al presente con una rapidità e una incoerenza quasi sconcertante [“Non ricordo cosa pubblicizzava” – “lei stupita mi risponde… sorrise e si avvicinò”]. Espressioni verbali dialettali [“mi immaginavo come un frutto di mare dal cozzercaro”] fanno capolino tra le righe. E se, a volte, queste possono suscitare un sorriso di divertimento, in questo caso vanno a sommarsi agli errori sintattici e alle digressioni e diventano un ulteriore punto a sfavore nella narrazione. Troppi errori grammaticali, anche ingenui, mi portano a credere che l’autore abbia fatto una stesura del testo troppo frettolosa e una revisione poco accurata, prima di inviarlo al nostro contest. Ciò è stato un errore, purtroppo, perché se questo racconto fosse stato scritto con più accuratezza e più attenzione, avrebbe potuto sicuramente essere tra quelli promossi. L’idea era buona, il risultato purtroppo risulta essere al di sotto delle aspettative.

Tiziano Fares “La lama prezzolata”  17/30

Stile e grammatica 7/10
Argomento 5/10
Emotività 5/10

L’autore di questo racconto mostra buone qualità narrative, una scrittura corretta e la capacità di rendere in poche righe l’ambientazione e il personaggio. Un buon talento per la scrittura che però viene penalizzato dalla scelta del testo: a mio avviso un brano estrapolato da un racconto più ampio, preso e utilizzato estraniandolo dal contesto originario e che risulta essere narrativamente sospeso e non concluso.
Ci troviamo nelle prime righe e scopriamo che Elena, ha appena ucciso Gregor, governatore della città di Urus. Poi la ritroviamo, qualche ora dopo, in un vicolo in attesa di ritirare i soldi per l’incarico concluso, premio che non ritirerà mai perché viene stordita e chiusa in carcere da Token, il figlio del governatore, il mandante dell’omicidio compiuto da Elena. Perché Token ha voluto far uccidere il padre? Questo lo si intuisce, ma non viene esplicitato nel racconto.
Elena però non si dà per vinta e riesce con uno stratagemma ad uccidere la guardia e fuggire dalla prigione, non senza aver prima scoperto che Token si è autoproclamato reggente e ha dichiarato guerra al paese vicino, agli Axoniani. Anche qui, il lettore intuisce della trama ordita dal figlio del governatore appena ucciso, ma non viene mai esplicitata dall’autore, tale informazione risulta quindi assente nella narrazione.
Nelle ultime cinque righe poi, Elena arriva da Kerr e lo uccide, ricevendo dal moribondo la sua pesante maledizione. Kerr, e chi è, ora, costui? Se ne parla come se fosse una nostra vecchia conoscenza, invece lo incontriamo solo in queste ultime frasi, ciò lascia supporre che sia davvero un brano estrapolato da altro testo!
Cimentarsi in un racconto breve, contrariamente a quanto si pensa, non è affatto cosa semplice: questo genere di scrittura merita attenzione e impegno, perché bisogna riuscire a condensare una storia fatta di emozioni, trama, approfondimento psicologico e ambientazione in poche battute. Tiziano Fares è riuscito in parte a questo compito, perché, da una parte dimostra doti di scrittura buone (buon ritmo e buona sintassi), dall’altra non è stato in grado di dare una vita autonoma al racconto in gara: il suo testo, infatti, rimane “appeso”, come se fosse incompiuto anche dal punto di vista della narrazione (perché Token aveva voluto far uccidere suo padre? Cosa aveva in mente? Elena decide di “far luce sull’intrigo ordito da Token” ma il lettore non ne saprà nulla, perché non viene raccontato. Perché il vecchio Kerr, morente, dice che il gesto di Elena condanna tutta la città? Cosa intende? Cosa avviene dopo?).
…Insomma troppe domande in sospeso e un senso di incompiuto che, purtroppo, penalizzano l’intero lavoro. Peccato.
La coach team "Uomini under 30" Loriana Lucciarini

Team Uomini Under 30 - coach: Loriana Lucciarini

provini - La metamorfosi, Fausto Pirrello

La Metamorfosi 

Fausto Pirello

metamorfosi cop 

 1 Sole Contro

L’aurora rischiarava le sagome dei palazzi della città. Iniziava ad albeggiare e una luce brillante rendeva tutto più definito, netto. La notte stava ritirando veloce il suo buio, come se il sole prepotente volesse scacciar via le tenebre. Elena socchiuse gli occhi e respirò a fondo l’aria ancora frizzante della notte. “E’ ora di muoversi”, disse.
 
Le dava fastidio tutto quel chiarore, tutta quella luce. Odiava il sole.
Tutto quell’illuminare, quel dare vita.
Probabilmente era l’unica a soffrire la svastica per il valore simbolico e non per quello storico.
Odiava il sole perché la costringeva a vedere il suo essere, o meglio il suo non essere.
Si sentiva come trasformata in un enorme essere inetto ripugnante.
Come una novella Giosuè gridava “sole fermati in gabaon, e non venire a splendere sulla mia città”.
Se fosse rimasto dov’era, lei avrebbe fatto lo stesso.
“Smettila di illuminare quello che non ho, smettila di dare inizio ad un nuovo giorno che non vivrò.
Smettila di far crescere alberi che mi fanno respirare, che la mia vita è priva di momenti che il respiro me lo tolgono.”
Se ne stava a pancia su, sdraiata sul letto, inspirando sempre più forte l’aria della notte che entrava dalla finestra.
Aveva spesso sentito un legame quasi molecolare tra le sue vertebre e il materasso.
Le ossa unite al lattice sembravano formare una corazza dura capace di resistere agli urti che avrebbero potuto farle curvare la schiena.
E lei non poteva permetterselo.
Lei non poteva piegarsi.
Stare dritti da sdraiati è più facile.
Si sente meno la gravità, dei fatti.
“Smettila di essere d’ispirazione per santi e poeti.
Che i santi sono morti col gossip e i poeti sono solo scrittori pigri”
Alzando leggermente il capo guardava il ventre gonfio, dove tentava di digerire tutte le sofferenze della sua vita, che aveva deciso di mandar giù senza proferir parola.
Sentiva sempre in bocca il sapore di emozioni andate a male, di occasioni andate male.
Aveva lasciato marcire il frutto della passione, e provava gusto solo nell’amarezza non potendo più sopportare la dolcezza.
Lei non usciva per andare a mangiare fuori.
Restava lì a mangiarsi dentro.
“Smettila di riscaldare il mondo.
Lascia che sia io a influenzarne la temperatura.
Lasciami diffondere tutto il freddo che ho dentro.”
Spostando lo sguardo oltre lo stomaco pieno di delusione, poteva vedere le sue gambe.
Erano sempre state molto sottili e ciò comportava una maggior fatica nel sostenere il peso.
Da sempre aveva la sensazione che ancor più che camminare sulla terra, lei annaspasse nel mondo.
A queste condizioni era già difficile uscire, figuriamoci riuscire.
“Smettila di usare la tua gravità.
Smettila di attrarci col tuo peso.
Smettila di farci girare attorno alla tua massa.
Così che tutti possiamo cadere giù, e io possa finalmente sentirmi leggera.”
Eppure quella mattina un pensiero nuovo si faceva strada.
“E’ ora di muoversi”.

2 la donna è mobile

“E’ ora di muoversi” si disse.
“7,2 miliardi” era il numero che le ronzava in testa.
Sulla terra siamo 7,2 miliardi di persone.
Lo aveva sentito il giorno prima alla televisione.
7,2 miliardi.
Più di quanti chilometri avrebbe mai percorso nella sua vita.
“Alzati e cammina” si disse.
7,2 miliardi di persone, pensava.
E lei quante ne conosceva? Cento? Forse neanche ci arrivava a cento.
E tutto quel pensare la portò ad una prima conclusione:
Nessuno è eterno.
Nessuno è insostituibile.
L’unica persona con cui avrebbe convissuto per sempre era lei stessa.
Questo riduceva sensibilmente il peso delle azioni degli altri.
Concentrandosi più su se stessa.
L’amore per gli altri portava spesso ad una deificazione di questi, dimenticandosi quasi che in realtà erano semplici persone.
Questo non era amore, era idolatria.
E forse l’amore neanche esisteva.
L’amore è il dono di Dio ai cantanti pop.
Sentiva che il suo nuovo dogma avrebbe avuto al centro il culto di sé stessa, amandosi e compiacendosi quotidianamente, facendo sacrifici solo quando questi l’avrebbero fatta stare bene, e non è un ossimoro.
Venerandosi, ecco.
Venerandosi come una divinità.
E se siamo così tanti, va da se che nessuno si sarebbe curato di quello che lei faceva.
Si sorprese per la beatitudine che provava in questa nuova condizione, si stava concedendo un’indulgenza per quella perfezione che si era imposta autonomamente di raggiungere.
Nessun bene supremo come obiettivo.
Era pronta per una resurrezione, una nuova vita.
Sarebbe stata una divinità imperfetta, e no che non è un ossimoro.
Zeus oggi sarebbe considerato un sessodipendente.
Dioniso un alcolista.
Afrodite una ninfomane.
“E’ ora di muoversi” si disse.
7,2 miliardi.
Più di quanti chilometri avrebbe mai percorso.
Iside una necrofila.
Anubi un figlio illegittimo.
Ra il ragazzo padre dell’umanità.
Aveva scelto il suo letto come porto sicuro nel quale rifugiarsi per evitare qualsiasi insidia del mondo esterno.
Preferendo la sicurezza che derivava dall’evitare voli pindarici.
Sarebbe andata via da quella solitudine di ferro, via da quella cabina di regia dove la vita veniva proiettata e basta.
Loki un truffatore.
Odino un saccente.
Thor un culturista.
Non le sarebbe più accaduto nulla di male.
Semplicemente perché le cose non le sarebbero più accadute, ma sarebbe stata lei a farle succedere.
Strada facendo avrebbe imparato a fronteggiare ogni situazione.
Scese dal letto.
Per la prima volta era una donna con i piedi per terra.
Mosse il primo, mosse il secondo e non riusciva più a fermarsi.
Forse c’erano mille motivi per cui ora si stava muovendo, o forse non ce n’era neppure uno.
Non importava più, l’unica cosa che ora riusciva a fare era fare un passo dopo l’altro.
“Alzati e cammina.
E’ ora di muoversi
Ti rimangono 7.199.999.999,999 chilometri da percorrere.”

provini - Elena, Simone Piani

Elena 

Simone Piani

elena cop
 
L’aurora rischiarava le sagome dei palazzi della città. Iniziava ad albeggiare e una luce brillante rendeva tutto più definito, netto. La notte stava ritirando veloce il suo buio, come se il sole prepotente volesse scacciar via le tenebre. Elena socchiuse gli occhi e respirò a fondo l’aria ancora frizzante della notte.
“E’ ora di muoversi”, disse.

Ma una sagoma d’un tratto smorzò ogni suo intento e proposito: solenne si ergeva all’angolo tra corso Piave e via dei Martiri, lo conosceva, sapeva che la sua presenza lì era questione di vita o di morte. E’ ora di muoversi…
L’aria sembrava essersi fatta più calda e la poesia sulla sommità degli edifici era diventata una flebile filastrocca.
Istanti immobili, poi i muscoli si riattivarono, a testa bassa le gambe si flessero e si contrassero di nuovo, mosse da qualcosa. La forza di volontà non c’entrava nulla, era bisogno di sapere, capire perchè fosse arrivato proprio in quel momento, perchè se ne stesse lì senza dire nulla, perchè di nuovo dopo tanto tempo.
Lo raggiunse e si stupì di avercela fatta, l’aveva desiderato davvero?
L’aveva mai davvero voluto, o era stato un capriccio, come di una bambina egoista e viziata. Quanto male aveva generato quel desiderio, tremendo ed immortale. Un male che aveva attraversato secoli. Elena non lo guardò in viso, le bastava percepirne la presenza a fianco per ricordare. Era stato tanto tempo fa, così tanto che la mente doleva a farne memoria.
Lo prese per mano e quasi come un pupazzo di pezza, senza opporre nessuna resistenza, quasi rassegnato nei movimenti egli la seguì e si fece trasportare.
La strada cominciava ad arretrare sotto i loro piedi come se si riavvolgesse; anche i suoi ricordi, sfuggendo al suo controllo, si arrotolavano. Le parve che l’aurora scomparisse e tutto fosse tornato a quella lontana notte, il 17 maggio. Si svegliò come da un incubo. Tutto roteava. Tutto era differente. Perchè, perchè proprio a lei? La più bella, la preferita delle Muse, Elena prima di Troia.
Impastata di alcol, la sua mente seguiva malapena il suo sguardo mentre si alzava dal marciapiede fradicio di pioggia e di sporco. Senza forze, con l’asfalto della città nel petto; senza poterci fare nulla camminava.
Luci. Una Bmw parcheggiata, con pendaglio a forma di dado allo specchietto retrovisore. L’asfalto viscido. Heartbreaking Hotel. Un picchiettio dissonante della pioggia. Lo scorrere di pneumatici sull’asfalto e l’eco di pozzanghere violate. Una babele. Due ubriachi, fidanzati, forse conoscenti. Una vita alle spalle e qualche anno per biasimarla. Louis Vouitton. Delle insegne accese, delle vetrine serrate.
Un vecchio campanile avrebbe risuonato, battendo tre volte.
Nello sconquasso che porta le ferite di un’altra giornata, nella New York del profondo della notte, il rumore era una pastosa sarabanda di strumenti artificiali.
Ebbene dove erano i vecchi templi alti appena come dieci uomini? Le vecchie strade, ricoperte da ciottoli ognuno essenziale, differente?
Le persone, da dove veniva, ridevano anche se gonfie di vino. In quel luogo che lei non capiva vomitavano, barcollavano e invocavano una sbronza per dimenticare quella precedente. Quella città le pareva gracchiasse come un corvo e si impregnasse di vapore maleodorante, di gas di scarico, come le piume di uno sparviero sotto il diluvio. Quanto le mancava la sua terra, a misura d’uomo. Da quando nacque e fu allevata nella casa di Tindaro fino ad essere promessa sposa di Menelao re di Sparta. E poi quando, come toccò a Pompei ed Ercolano, un vulcano di nome Paride le sconquassò la vita.
I suoi passi procedevano uguali e automatici su quei neri sentieri, la sua attenzione si spostò su un locale saturo di note distorte, di stereoscopiche figure e di caldi umori. Quanti mondi conteneva quella scatola? Entrò.
Elena mentre teneva per mano Paride si ricordò che era proprio in quel bar che lo aveva rivisto per la prima volta, sperduta, disorientata, vittima e carnefice di se stessa, l’immortale Elena. Allora non le aveva risposto, le era sfuggito, come fumo tra le mani.
Ora però, con prepotenza, senza nemmeno chiederle il permesso, era lì con lei, o per lei.
Attraversarono un corso, il semaforo lampeggiava di una pallida luce arancione.
“Perchè sei qui?”. Si stupì della chiarezza con cui la sua voce si era fatta viva. Silenzio. “Perchè sei qui?!” riprovò.
“Per riportarti a casa”. Qualcosa in lei si spezzò. Possibilità, desideri, equilibri instabili, mondi che si erano sovrapposti in modo imperfetto e che si sgretolavano ora sotto il peso di poche parole.
“Come?”.
“La tua guerra dura ormai da troppo tempo.”
“Tu, Paride, maledetto il padre che ti generò, l’hai voluta! La guerra è tua! Sei pazzo”.
“Elena calmati adesso, stai urlando.”
Si voltò per guardarlo in faccia per la prima volta dopo secoli.
Le venne da piangere, ma a forza si trattenne; solo un singhiozzo.
Era esattamente lo stesso Paride che aveva conosciuto in mezzo a quei Troiani stranieri, al suo banchetto nuziale? Ogni singolo ricciolo le riportava alla mente le grida di uomini trafitti dalle lance, gli zigomi come scogli che affondavano le navi, gli occhi come braceri ardenti, come fuoco dirompente. Eppure lo amava. Lo amava più di quanto avesse mai amato se stessa, la sua patria, i suoi avi. Per lui aveva scelto di non morire, per lui aveva sopportato ogni uccisione, ogni massacro. Pazza. Ebbra. Ed ora strade colanti fango e benzina. Si odiava, lo amava e odiava tutto quello che erano stati. Gli avrebbe strappato via le labbra. Si battè il petto e cadde a terra. Le ginocchia si ferirono sul ruvido asfalto.
Elena l’immortale, che era stata il premio di due nazioni, Elena che ora stava rannicchiata ai piedi di un uomo su un marciapiede di una cupa città.
Il dottor Paride Alessandro prese tra le braccia quella creatura spezzata dalla febbre e chiamò a voce alta e sicura gli infermieri che stavano poco più in là, in attesa di istruzioni. La sua guerra interiore andava fermata, la sua mente del resto non avrebbe sopportato altra sofferenza.
“Preparate la stanza, appena arriviamo.” intimò ai camici bianchi che, rapidi, li raggiungevano. E’ l’ultima volta che scappa, povera ragazza.
E intanto Elena cantava: «E molte vite sono morte per me sullo Scamandro, e io, che pure tanto ho sofferto, sono maledetta, ritenuta da tutti traditrice di mio marito e rea d’aver acceso una guerra tremenda per la Grecia.»

provini - La lama prezzolata, Tiziano Fares

La Lama Prezzolata 

Tiziano Fares

cop Fares
 
L’aurora rischiarava le sagome dei palazzi della città. Iniziava ad albeggiare e una luce brillante rendeva tutto più definito, netto. La notte stava ritirando veloce il suo buio, come se il sole prepotente volesse scacciar via le tenebre. Elena socchiuse gli occhi e respirò a fondo l’aria ancora frizzante della notte.
“E’ ora di muoversi”, disse.

La timida luce che affiorava all’orizzonte si stava lentamente alzando ed Elena doveva fare in fretta. Riverso al centro della stanza con un pugnale conficcato nel collo vi era Gregor, governatore della città di Urus. Un’intera notte per penetrare nella villa senza essere notata dalle sentinelle e soltanto invece pochi attimi c’erano voluti per completare l’incarico che gli era stato assegnato il giorno precedente da quella strana figura incappucciata. Un efferato delitto per chiunque, ma non per Elena, la “Lama Prezzolata di Rivocorto”. Il pensiero della borsa d’oro che l’aspettava nel vicolo del porto era talmente ridondante nella mente della donna che, dirigendosi verso la finestra per calarsi giù nei giardini, urtò un mobile facendo cadere rovinosamente a terra un portagioie di cristallo. Fuori dalla porta subito si udirono i passi veloci delle sentinelle allarmate dal rumore ed Elena non avrebbe mai potuto affrontarle in uno scontro frontale sola contro più uomini e dunque non gli rimaneva altro che gettarsi giù dalla finestra.
Con tre passi fu subito al davanzale e con un salto si proiettò in picchiata. L’atterraggio non fu dei migliori ma la vita vale sicuramente di più di una caviglia malconcia e grazie alla sua scelta ardita di saltare riuscì ad uscire dalla villa. Con passo incerto dovuto al dolore alla caviglia Elena si diresse verso il porto dove ad attenderla ci sarebbe stato il mandante dell’omicidio con la borsa d’oro da lei tanto desiderata. Le strade ben presto divennero brulicanti di guardie che correvano su e giù come dei cani da caccia. Elena capì allora che la morte del governatore era ormai affare pubblico e decise di rallentare i suoi passi per poter meglio osservare dove si poteva o meno passare. Dopo un paio d’ore finalmente la donna giunse al vicolo del porto dove ad attenderla seduto su un barile c’era l’incappucciato che vedendola si alzò battendo le mani compiaciuto e disse: “Se vuoi un lavoro perfetto non c’è nessuno migliore della Lama Prezzolata!”. Estrasse allora da sotto la sua tunica una borsa piena d’oro e la porse ad Elena che con un gesto di intesa la prese. La bramosia di ricchezza era stata da sempre il punto debole di Elena ed anche questa volta, nel momento in cui prese la borsa, abbasso la guardia e quando si voltò l’incappucciato la colpì violentemente alla nuca facendola crollare rovinosamente a terra. Elena intontita girò il capo verso l’incappucciato che delicatamente scoprì il suo viso rivelando la sua identità: Token, il figlio del governatore.
Il colpo subito aveva fatto perdere i sensi ad Elena che si risvegliò soltanto poche ore più tardi in un’umida ed angusta cella. In pochi secondi mille e più pensieri affollarono la mente dell’assassina. Era stata incaricata dal figlio del governatore di uccidere il governatore stesso, ma la legge parlava chiaro in merito alla successione nel ruolo del governatore che doveva essere per voto e non per linea ereditaria e dunque non si capacitava del motivo per cui Token volesse la morte di suo padre Gregor perdendo così gran parte dei benefici che la posizione del padre gli recava. Non riuscendo a trovare una risposta ai suoi quesiti decise di rinviare la soluzione dell’enigma e rivolse la sua attenzione alla guardia assopita fuori dalla sua cella.
La guardia era un po’ avanti con gli anni ed il suo fisico grassoccio ne era una chiara dimostrazione. Elena fischiò rumorosamente e la guardia sobbalzò destata dal suo torpore ed esclamò: “Si è svegliata la bella addormentata! La Lama Prezzolata che tanto viene decantata che si fa catturare con tante belle monete del regno di Axon è veramente un brutto affare sai? Per fortuna che non durerà la tua sofferenza”. Finendo la frase il carceriere indicò la finestra sbarrata dalla quale si scorgeva il cortile esterno e nel cui mezzo era in allestimento una forca. Elena non aveva altra scelta, doveva fuggire ora per salvare la propria vita e per far luce sull’intrigo ordito da Token.
Ai suoi piedi giacevano dei resti umani nei quali spiccava un piccolo acuminato ossicino. La Lama si piegò su se stessa come per stirare la schiena dolorante e con un movimento rapido raccolse e strinse nel proprio pugno l’ossicino. La guardia non si era accorta di nulla e riprese a parlare: “Sai ragazzina per la tua bravata scoppierà una guerra. Token, il figlio del governatore, ha dichiarato lo stato di allarme e si è autoproclamato protettore della cittadella richiamando tutti i soldati alle armi per combattere quei luridi Axoniani e questo sai che vuol dire? Vuol dire che io, il vecchio Kerr, dovrò tornare a combattere una guerra e razza di sgualdrina credi che un vecchio come me possa farcela?” . Elena lo fissò negli occhi e gli rispose: “Non ti preoccupare vecchio non ci andrai in guerra”. Spostò leggermente il corpo in avanti guadagnando una posizione maggiormente aerodinamica di modo che il suo proiettile potesse viaggiare più velocemente, ritrasse brevemente la mano destra come un giocatore d’azzardo che si prepara a lanciare la sua ultima fiche e lasciò partire poi l’acuminato ossicino che in un attimo squarciò la gola di Kerr che cadde sanguinante davanti la cella.
Elena lo tirò a se cosi da poter prendere dalla sua cintura le chiavi della prigione e poter completare la sua fuga. Uscita dalla cella raccolse i suoi coltelli da lancio e il suo pugnale che erano tenuti da Kerr sulla scrivania e si diresse verso la porta quando sentì lo stesso Kerr con il suo ultimo goccio di vita sussurrare: “Che tu sia maledetta Lama. Hai condannato questa città e tutta la sua gente”.
 

provini - La campana, Francesco Piscitelli

La campana 

Francesco Piscitelli

 
L’aurora rischiarava le sagome dei palazzi della città. Iniziava ad albeggiare e una luce brillante rendeva tutto più definito, netto. La notte stava ritirando veloce il suo buio, come se il sole prepotente volesse scacciar via le tenebre. Elena socchiuse gli occhi e respirò a fondo l’aria ancora frizzante della notte.
“E’ ora di muoversi”, disse.

Poggiò con delicatezza la mano sulla maniglia della porta, senza girarla. Ebbe un attimo di esitazione, poi si voltò di scatto per dirigersi in cucina, dove si assicurò che la manopola del gas e i rubinetti del lavello fossero ben chiusi. Ripeté l’operazione tre volte prima di spostarsi con passi corti e rapidi verso il bagno, per ispezionare lavabo e doccia. Sospirò. Passò davanti lo specchio nel corridoio e vi sostò il tempo di sistemarsi con una mano la frangia, col timore che qualche segno di acne sulla fronte fosse visibile. Tornò verso l’ingresso e aprì la porta, varcando la soglia solo quando la lancetta dei secondi dell’orologio si sovrappose a quella dei minuti. Chiamò l’ascensore, pigiando cinque volte il dito sulla pulsantiera. Giunta al piano terra percorse l’androne dello stabile prestando attenzione a impiegare sette passi esatti sino al portone.
«Forza, Elena» sussurrò socchiudendo gli occhi, uscendo. Si incamminò spedita verso la metropolitana, nella città che non si era ancora del tutto svegliata. Aveva quasi raggiunto l’ingresso delle scale quando si bloccò di colpo, come se qualcuno le avesse intimato di fermarsi. Un terribile sospetto le attraversò la mente, la mano in modo inconscio andò nella borsa a tastare il mazzo di chiavi: non ricordava se avesse chiuso la porta dell’appartamento. Mentre cercava di rammentare abbassò lo sguardo e il viso le sbiancò di colpo. Alzò la testa e guardò altrove sperando di aver visto male. Con il cuore che accelerava i battiti, tornò con lo sguardo sulla propria scarpa e si rese conto che aveva commesso una imperdonabile leggerezza. Nel fermarsi, non si era avveduta di aver lasciato che il piede sostasse sulla fuga tra due mattonelle. Sentì il principio di un mancamento come in seguito a un attacco di panico, mentre si voltava in cerca di un soccorso che nessuno poteva darle. Un motociclista fermo al semaforo la osservò, incuriosito, poi l’illuminarsi del verde lo portò via da quella scena. Un uomo distinto le passò accanto. Le rivolse un’occhiata veloce e passò dritto. Elena era sola, come sempre, alla prese con il proprio dramma interiore.
«Con quale piede?» disse il bambino con gli occhiali, guardando le linee disegnate con espressione corrucciata.
«Quello che vuoi, scemo!» urlarono le due gemelle dai capelli rossi. La calda giornata di settembre consentiva attività all’aperto nel cortile della scuola d’infanzia. Elena osservava i propri nuovi compagni che si divertivano. Quello della campana era il gioco che più la intrigava.
«Dai Elena, va’ a fare amicizia con qualcuno» disse la maestra, rivolta alla piccola, accompagnando le parole con una leggera carezza di incoraggiamento.
Elena si avvicinò al gruppetto che circondava il tracciato di gesso. Procedeva con passi lenti, la testa abbassata e le braccia lungo i fianchi, con le mani chiuse a pugno che stringevano il grembiulino. Il bambino con gli occhiali, saltellando, aveva intanto appena completato il percorso. Una delle gemelle notò la nuova arrivata e la indico all’altra, sussurrando qualcosa.
«Vuoi giocare?» disse poi rivolta a Elena.
Elena rispose con un cenno del capo.
«Prendi un sasso!» esclamò un altro.
Si chinò a raccogliere un sassolino da terra. Nel piegarsi, la gonnellina le si alzò leggermente mostrando la biancheria e uno scoppiò di risa generale sottolineò la cosa. Lei sobbalzò e si coprì d’istinto con la mano, rossa in viso. Lanciò la pietra nella prima casella e si apprestò a saltare, incerta e malferma sulle esili gambe.
«Com’è imbranata!» disse quello con gli occhiali.
Avrebbe voluto fuggire per la vergogna di essere sotto gli occhi di tutti, pronta a essere giudicata. Oramai non era più un semplice gioco, ma un rito di iniziazione, riuscire nell’impresa avrebbe significato acquisire valore agli occhi dei nuovi compagni. Saltò verso la seconda casella. Anche quell’ostacolo era superato. Alla terza casella, purtroppo, fallì nell’atterrare in modo corretto, fermandosi con un piede sulla linea di gesso tra due caselle.
«Ha sbagliato!» disse uno dei bambini, indicandola col dito. Altre risate investirono Elena.
«Piede sulla fessura, aria di sepoltura!» esclamarono all’unisono le gemelle.
Elena avrebbe voluto scomparire. Osservava i compagni con aria smarrita, come a interrogarli sulla gravità dell’errore appena commesso.
«Piede sulla fessura, aria di sepoltura!» continuavano a ripetere le due bambine. Al coro si unì il resto del gruppo.
«Ora sei maledetta!» disse un altro bambino, con un sorriso beffardo.
Mentre la macabra cantilena continuava, Elena fuggì via in lacrime, rimproverandosi per essere stata così goffa e col timore di una disgrazia incombente. Nei mesi successivi non dimenticò l’accaduto, vivendo col terrore che prima o poi ne avrebbe pagato le conseguenze.
L’anno successivo sua madre perse la vita in un incidente stradale. Durante il funerale il pensiero di Elena corse a ricollegare il tragico evento con la maledizione della campana. Non riusciva a perdonarsi per non aver affrontato con la dovuta attenzione quella prova e rimproverava ai compagni di non averla messa al corrente del pericolo cui si stava esponendo, in quell’occasione. “Piede sulla fessura, aria di sepoltura”, la frase che in modo ossessivo continuava a sentire nella mente.
Ripensò a quegli avvenimenti continuando a restare ferma nella identica posizione, con il piede sulla fuga della mattonella. Le strade cominciavano a popolarsi, le persone osservavano quella ragazza immobile sul marciapiede con un misto di curiosità e divertimento. Un ragazzo le gettò una moneta, come si fa con un’artista di strada che si prende gioco dei passanti. Uno scherzo, come quello che aveva imprigionato la mente di Elena per venti anni e che ora la costringeva a bloccarsi anche nel corpo. Il cerchio si chiudeva.

provini - Le impurità del cuore, Daniele Imbornone

Le impurità del cuore 

Daniele Imbornone

 
L’aurora rischiarava le sagome dei palazzi della città. Iniziava ad albeggiare e una luce brillante rendeva tutto più definito, netto. La notte stava ritirando veloce il suo buio, come se il sole prepotente volesse scacciar via le tenebre. Elena socchiuse gli occhi e respirò a fondo l’aria ancora frizzante della notte.
“E’ ora di muoversi”, disse.

L’Ampia porta-finestra era rimasta per tutto il tempo socchiusa, in attesa che quell’interminabile dialogo tra lei e la silente città cancellasse la sporcizia che si sentiva addosso. Elena sperava che il sole nascente illuminasse un po’ il buio che si portava dentro; ma invano. Anche il sole era sporco. Sporco e coperto di nubi. Con una mano spinse delicatamente l’imposta e s’immerse nella penombra della stanza dove la notte prima si era consumato l’ennesimo delitto nei confronti di se stessa.
La moquette l’accompagnò alla poltrona dove giacevano i suoi abiti, complici essi stessi della sua doppia vita. Si fermò un istante a specchiarsi nelle ante dell’imponente armadio in noce.
I capelli biondi e scompigliati e il trucco sfatto le davano un aria disordinata e stanca. E disordinata e stanca si sentiva anche dentro. Ma soprattutto… sporca. Lanciò un’occhiata fugace al letto in parte disfatto. Le lenzuola di seta si muovevano sinuose su di un corpo a lei sconosciuto, ma nello stesso tempo conosciuto fin nell’intimo. Un uomo che non apparteneva al suo mondo, un uomo che però incontrava ogni notte con volti sempre diversi. 
- Jhon, Jeffry, James… Diamine, non ricordo nemmeno il suo nome – rifletté lei. Raccolse i vestiti attillati dalla poltrona e li scambiò con quelli contenuti nella busta di plastica portata da casa. Lo svestirsi davanti ad un altro uomo, benché addormentato, non le provocava più quel senso di vergogna che l’aveva attanagliava da quando aveva iniziato a lavorare. Ciò la preoccupava più dell’atto stesso. Vestita a metà, Elena sprofondò nella poltrona di pelle. Per un attimo le lacrime furono sul punto di abbattere lo specchio della sua anima. Dalla borsetta di Louis Vuitton prese uno specchietto. Fece anche per prendere una salvietta imbevuta di tonico, ma le dita sfiorarono un oggetto imbevuto invece di promesse mancate. La salvietta non le servì più; il mascara le scivolò sulle guance in modo naturale, struggente. Tirò fuori il simbolo della sua promessa; quella promessa più volte mancata, infangata, tradita. Tra le sue mani quell’anello era un fuoco divorante, ma riuscì comunque a infilarlo all’anulare. Un secondo e per Elena quella reggia immensa divenne una stalla claustrofobica. La lasciò dopo aver contemplato per un’ultima volta, amara, la soddisfazione sul volto del suo cliente. La colpa era sua, lo sapeva e se ne dispiacque.Si strinse nella giacca. L’aria primaverile era ancora troppo fredda, e lei, troppo leggera. L’autobus la raccolse poco dopo le cinque. Obliterò e si sedette in ultima fila. Partito l’autobus, Elena si concentrò sulla musica. Credeva che il ricordo dalla notte appena passata si sarebbe eclissata con l’aiuto degli auricolari; ma la sua fu solo ingenuità. Rigirava l’anello con le dita e pensava. Lo aveva ricevuto da meno di due anni ma gli pesavano come eternità stessa. Amava Luca con tutto il cuore; ma l’amarezza di una vita di stenti saturata dall’ingiustizia aveva schiacciato la loro gioia. Odiava la sua codardia e il patto stretto con quel sistema corrotto dove i ricchi predominano. Odiava il suo aspetto fisico, odiava la sua paga eccellente e odiava il fatto di essere una “d’alto bordo”. Avvolse le braccia attorno alle spalle e pianse tremando. Desiderò che quelle braccia fossero del suo Luca ma, probabilmente lo avrebbe allontanato per evitare che le sue colpe sporcassero anche lui. Alla fine… si addormentò.
- Mi scusi signorina, siamo al capolinea – Elena riemerse dalla sua trance al terzo richiamo dell’autista.
Non lo guardò nemmeno in faccia. Si alzò e scese in silenzio; emettendo solo un mezzo sussurro prima che le porte si chiudessero. 
- E’ signora comunqe… – 
Percorse il chilometro che la separava da casa senza fretta, guardando l’asfalto e, a volte, i visi di coloro che come lei avevano lasciato una casa e un letto caldo. Unica differenza: il letto da cui Elena era scesa, era un letto di rose… trapuntato di spine. Entrò nel suo condominio poco prima delle sei. Aprì la porta di casa senza fare rumore e la richiuse nello stesso modo. - Sei in ritardo. – Elena sobbalzò. La voce veniva dal salotto. «Non c’è nulla di strano» pensò col cuore a mille «Luca sa che turni faccio e che mi ci vuole molto per tornare a casa.» Aveva costruito bene la sua facciata. Ciononostante, era turbata.
- Amore sono a casa. Non ti dico che stanchezza… sono veramente a pezzi. - Il tavolino era colmo di lattine di birra vuote e tazze di caffè. C’era anche un termos aperto ai piedi del divanetto. La TV trasmetteva pubblicità, ma l’attenzione di Luca era sintonizzata su altro. Fissava lo specchio e, di riflesso, sua moglie. Si alzò barcollando. Era in pigiama e il suo aspetto tradiva una notte insonne piena di pensieri.
- Amore non avresti dovuto aspettarmi! Sai che il bar chiude all’alba! -Luca non disse nulla; il suo volto parlava per lui. Elena si sentì scrutare sin dentro l’anima e avvertì due occhi navigare nei suoi segreti inconfessati. Un brivido gli corse per tutto il corpo. Alla fine, quando la tensione fu al culmine, Luca confessò. – So tutto. – 
La piccola Magda iniziò a piangere, ma la culla era lontana dalla dimensione solitaria nella quale i genitori vivevano. Elena cadde in ginocchio e pianse.Pianse lacrime di vergogna, disperazione e rassegnazione. Luca la lasciò da sola con le sue colpe. Elena stentava a crederci. Era stata abbattuta due volte: dalla vita e dall’uomo che amava. Un colpo di vento scostò le tende e mostrò un sole forte, deciso. Elena si sentì chiamare. Aprì la finestra. Il vento le seccò subito le lacrime, gelandole le guance rosse.
Si sedette sul cornicione del balcone e proiettò lo sguardo in lontananza. In un attimo rivide tutta la sua vita e non trovò un solo episodio che la incoraggiasse a continuare. Perciò respirò a fondo. “Addio.”
Un vagito le giunse da dietro e un abbraccio lo seguì.
Il cuore di lei perse un battito. Si voltò. Luca le sorrise e poi la baciò con passione.
- So perchè lo hai fatto… e ti perdoniamo. Resta solo con noi e sporcati solo con me. -