Il cartellone sul palazzo
Valerio Vozza
L’aurora
rischiarava le sagome dei palazzi della città. Iniziava ad albeggiare e
una luce brillante rendeva tutto più definito, netto. La notte stava
ritirando veloce il suo buio, come se il sole prepotente volesse
scacciar via le tenebre. Elena socchiuse gli occhi e respirò a fondo
l’aria ancora frizzante della notte.
“E’ ora di muoversi”, disse, così
appoggiò la sua tazza di caffellatte sul tavolino della cucina, e
veloce corse a mettersi un filo di trucco sul suo volto che è
paragonabile a quello della principessa Atalanta, si vestì
frettolosamente e si sedette al suo posto. Napoli si svegliava poco a
poco mentre lei doveva essere già lì alle prime luci. Deve essere
difficile la giornata di una ragazza in un cartellone pubblicitario: Era
ritratta con un uomo con il corpo disteso su un letto, un bel ragazzo,
sia chiaro non lo dico per ammirazione, ma per invidia. Se ne stava lì a
dormire, a mio giudizio era stato ucciso, avvelenato. Lei, Elena, era
seduta sul dorso di lui e guardava aggressiva la fotocamera e quindi
tutti noi piccoli uomini. Aveva un corpetto nero e delle autoreggenti
che le fasciavano le gambe. Non ricordo cosa pubblicizzava, forse un
profumo o una marca di intimo, o forse anche dei jeans e la lingerie è
solo un falso ricordo, davvero non è importante! Il fatto è che io avevo
preso l’abitudine di non prendere l’autobus per tornarmene a casa, ma
me ne andavo a piedi fino alla metropolitana per poter guardare quel
cartellone di 8 piani, poggiato su una parete di un palazzo vicino
all’uscita della tangenziale. Un
lunedì, proprio quando il semaforo giù Via Cinthia segnava verde e le
automobili partivano iniziò una pioggia sempre più fitta, non c’era
nessuno oltre me che non era riparato dal tetto di un’auto, mancava
anche il solito extracomunitario che vendeva i fazzoletti a un euro al
pacco, mi immaginavo come un frutto di mare dal cozzecaro, guardando
quella foto. «Hai avvelenato, tu, il tuo uomo?» le domandai tanto per
ingannare il tempo in attesa del verde dei pedoni. «Non l’ho avvelenato»
rispose dall’alto della sua posizione «l’ho solo stancato, mi è bastata
mezz’ora… Ora è mio e ne farò quello che voglio in attesa di un altro.»
«Cerchi un altro schiavo?» interrompo impertinente «Sì, ma non
scomodarti, non dureresti nemmeno il tempo per spogliarti» disse fredda e
crudele «Grazie! Buonasera fa lo stesso!» le dissi deluso “tanto sto
già accendendo la sigaretta del dopo coito” ovviamente fu immaginaria.
Pensai che andava messa una scritta: “Guardare questa immagine nuoce
gravemente all’autostima” e in basso se mi fosse permesso avrei scritto
con lo spray: “Specialmente ai folli che per amore, durante la pioggia,
preferiscono bagnarsi fino ai calzini, e non si riparano nei tettucci
delle auto o degli autobus di linea.”
Il Sole tramontava al di là delle
nuvole perché la luce man mano che passavano i minuti calava
sensibilmente, tanto che arrivato alla fermata della metro era già buio.
Un treno per Gianturco si fermò insolitamente sul binario 3, i
pendolari salivano confusi mentre una signora si garantì con il
macchinista che il treno l’avesse portata a casa. Avrei bisogno anch’io
di casa dove asciugare i calzini e dormire fino a domani per dimenticare
Elena nell’oblio dei sogni. Mi sedetti in un vagone mezzo vuoto, una
ragazza si siede di fronte a me, era bagnata. Si specchiava attraverso i
vetri della metropolitana per aggiustarsi i capelli, era truccata
diversamente e con altri vestiti, ma ero sicuro, era lei.
Le chiedo «Sei la ragazza sul poster?» lei stupita mi risponde: «Cosa scusami» mi riprendo «Ti ho visto in una foto di un cartellone pubblicitario su un palazzo» sorrise e si avvicinò, chinandosi leggermente, a me «Può darsi! prima di laurearmi lavoravo come modella per mantenermi agli studi, ci sarà ancora qualche foto in giro, mi chiamo Gemma, tu?»
Dissi il mio nome e poi aggiunsi: «Pensavo ti chiamassi Elena!»
«Immaginavi altro di me?»
Il treno partii e a Mergellina già si stavamo baciando, qualcuno avrebbe detto, in carrozza, che era stato un corteggiamento troppo veloce ma, Gemma è la mia ragazza, ci incontriamo senza darci un appuntamento preciso. Forse lei, conoscendo i miei orari, corse nella pioggia per incontrarmi oppure io avevo rallentato apposta e non avevo preso l’autobus sapendo che lei usciva da lavoro dopo di me. Giochiamo di non riconoscerci subito: Mi stupisco di incontrare quella ragazza che invade le fantasie erotiche mie e di tanti altri, così da ripetere il miracolo del nostro primo incontro, proprio sotto uno dei suoi cartelloni, anche se il miracolo vero lo fa lei che ogni notte che si stringe forte a me, lei che è così diversa da Elena tanto che ha riavvolto la mia vita come una VHS di una storia di uomo solo per farne una commedia romantica a finale aperto così ogni giorno è diverso.
L’aurora rischiara le sagome dei palazzi della città. Inizia ad albeggiare e una luce brillante rende tutto più definito, netto. La notte stava ritirando veloce il suo buio, come se il sole prepotente volesse scacciar via le tenebre. Gemma socchiude gli occhi e respira a fondo l’aria ancora frizzante della notte. «E’ ora di muoversi», dice, così appoggia la sua tazza di caffellatte su tavolino della cucina, e veloce corre a mettersi un filo di trucco sul suo volto, che è paragonabile a quello della principessa Atalanta, si veste frettolosamente poi bacia il suo fidanzato e mano nella mano si accompagnano al lavoro. Napoli si sveglia poco a poco insieme a loro. E’ una giornata splendente tanto che le nuvole e la pioggia sembrano un ricordo di un passato remoto…
Le chiedo «Sei la ragazza sul poster?» lei stupita mi risponde: «Cosa scusami» mi riprendo «Ti ho visto in una foto di un cartellone pubblicitario su un palazzo» sorrise e si avvicinò, chinandosi leggermente, a me «Può darsi! prima di laurearmi lavoravo come modella per mantenermi agli studi, ci sarà ancora qualche foto in giro, mi chiamo Gemma, tu?»
Dissi il mio nome e poi aggiunsi: «Pensavo ti chiamassi Elena!»
«Immaginavi altro di me?»
Il treno partii e a Mergellina già si stavamo baciando, qualcuno avrebbe detto, in carrozza, che era stato un corteggiamento troppo veloce ma, Gemma è la mia ragazza, ci incontriamo senza darci un appuntamento preciso. Forse lei, conoscendo i miei orari, corse nella pioggia per incontrarmi oppure io avevo rallentato apposta e non avevo preso l’autobus sapendo che lei usciva da lavoro dopo di me. Giochiamo di non riconoscerci subito: Mi stupisco di incontrare quella ragazza che invade le fantasie erotiche mie e di tanti altri, così da ripetere il miracolo del nostro primo incontro, proprio sotto uno dei suoi cartelloni, anche se il miracolo vero lo fa lei che ogni notte che si stringe forte a me, lei che è così diversa da Elena tanto che ha riavvolto la mia vita come una VHS di una storia di uomo solo per farne una commedia romantica a finale aperto così ogni giorno è diverso.
L’aurora rischiara le sagome dei palazzi della città. Inizia ad albeggiare e una luce brillante rende tutto più definito, netto. La notte stava ritirando veloce il suo buio, come se il sole prepotente volesse scacciar via le tenebre. Gemma socchiude gli occhi e respira a fondo l’aria ancora frizzante della notte. «E’ ora di muoversi», dice, così appoggia la sua tazza di caffellatte su tavolino della cucina, e veloce corre a mettersi un filo di trucco sul suo volto, che è paragonabile a quello della principessa Atalanta, si veste frettolosamente poi bacia il suo fidanzato e mano nella mano si accompagnano al lavoro. Napoli si sveglia poco a poco insieme a loro. E’ una giornata splendente tanto che le nuvole e la pioggia sembrano un ricordo di un passato remoto…
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