mercoledì 21 gennaio 2015

provini - Il cartellone sul palazzo, Valerio Vozza

Il cartellone sul palazzo 

Valerio Vozza


L’aurora rischiarava le sagome dei palazzi della città. Iniziava ad albeggiare e una luce brillante rendeva tutto più definito, netto. La notte stava ritirando veloce il suo buio, come se il sole prepotente volesse scacciar via le tenebre. Elena socchiuse gli occhi e respirò a fondo l’aria ancora frizzante della notte.
“E’ ora di muoversi”, disse, così appoggiò la sua tazza di caffellatte sul tavolino della cucina, e veloce corse a mettersi un filo di trucco sul suo volto che è paragonabile a quello della principessa Atalanta, si vestì frettolosamente e si sedette al suo posto. Napoli si svegliava poco a poco mentre lei doveva essere già lì alle prime luci. Deve essere difficile la giornata di una ragazza in un cartellone pubblicitario: Era ritratta con un uomo con il corpo disteso su un letto, un bel ragazzo, sia chiaro non lo dico per ammirazione, ma per invidia. Se ne stava lì a dormire, a mio giudizio era stato ucciso, avvelenato. Lei, Elena, era seduta sul dorso di lui e guardava aggressiva la fotocamera e quindi tutti noi piccoli uomini. Aveva un corpetto nero e delle autoreggenti che le fasciavano le gambe. Non ricordo cosa pubblicizzava, forse un profumo o una marca di intimo, o forse anche dei jeans e la lingerie è solo un falso ricordo, davvero non è importante! Il fatto è che io avevo preso l’abitudine di non prendere l’autobus per tornarmene a casa, ma me ne andavo a piedi fino alla metropolitana per poter guardare quel cartellone di 8 piani, poggiato su una parete di un palazzo vicino all’uscita della tangenziale. Un lunedì, proprio quando il semaforo giù Via Cinthia segnava verde e le automobili partivano iniziò una pioggia sempre più fitta, non c’era nessuno oltre me che non era riparato dal tetto di un’auto, mancava anche il solito extracomunitario che vendeva i fazzoletti a un euro al pacco, mi immaginavo come un frutto di mare dal cozzecaro, guardando quella foto. «Hai avvelenato, tu, il tuo uomo?» le domandai tanto per ingannare il tempo in attesa del verde dei pedoni. «Non l’ho avvelenato» rispose dall’alto della sua posizione «l’ho solo stancato, mi è bastata mezz’ora… Ora è mio e ne farò quello che voglio in attesa di un altro.» «Cerchi un altro schiavo?» interrompo impertinente «Sì, ma non scomodarti, non dureresti nemmeno il tempo per spogliarti» disse fredda e crudele «Grazie! Buonasera fa lo stesso!» le dissi deluso “tanto sto già accendendo la sigaretta del dopo coito” ovviamente fu immaginaria. Pensai che andava messa una scritta: “Guardare questa immagine nuoce gravemente all’autostima” e in basso se mi fosse permesso avrei scritto con lo spray: “Specialmente ai folli che per amore, durante la pioggia, preferiscono bagnarsi fino ai calzini, e non si riparano nei tettucci delle auto o degli autobus di linea.” Il Sole tramontava al di là delle nuvole perché la luce man mano che passavano i minuti calava sensibilmente, tanto che arrivato alla fermata della metro era già buio. Un treno per Gianturco si fermò insolitamente sul binario 3, i pendolari salivano confusi mentre una signora si garantì con il macchinista che il treno l’avesse portata a casa. Avrei bisogno anch’io di casa dove asciugare i calzini e dormire fino a domani per dimenticare Elena nell’oblio dei sogni. Mi sedetti in un vagone mezzo vuoto, una ragazza si siede di fronte a me, era bagnata. Si specchiava attraverso i vetri della metropolitana per aggiustarsi i capelli, era truccata diversamente e con altri vestiti, ma ero sicuro, era lei.
Le chiedo «Sei la ragazza sul poster?» lei stupita mi risponde: «Cosa scusami» mi riprendo «Ti ho visto in una foto di un cartellone pubblicitario su un palazzo» sorrise e si avvicinò, chinandosi leggermente, a me «Può darsi! prima di laurearmi lavoravo come modella per mantenermi agli studi, ci sarà ancora qualche foto in giro, mi chiamo Gemma, tu?»
Dissi il mio nome e poi aggiunsi: «Pensavo ti chiamassi Elena!»
«Immaginavi altro di me?»
Il treno partii e a Mergellina già si stavamo baciando, qualcuno avrebbe detto, in carrozza, che era stato un corteggiamento troppo veloce ma, Gemma è la mia ragazza, ci incontriamo senza darci un appuntamento preciso. Forse lei, conoscendo i miei orari, corse nella pioggia per incontrarmi oppure io avevo rallentato apposta e non avevo preso l’autobus sapendo che lei usciva da lavoro dopo di me. Giochiamo di non riconoscerci subito: Mi stupisco di incontrare quella ragazza che invade le fantasie erotiche mie e di tanti altri, così da ripetere il miracolo del nostro primo incontro, proprio sotto uno dei suoi cartelloni, anche se il miracolo vero lo fa lei che ogni notte che si stringe forte a me, lei che è così diversa da Elena tanto che ha riavvolto la mia vita come una VHS di una storia di uomo solo per farne una commedia romantica a finale aperto così ogni giorno è diverso.
L’aurora rischiara le sagome dei palazzi della città. Inizia ad albeggiare e una luce brillante rende tutto più definito, netto. La notte stava ritirando veloce il suo buio, come se il sole prepotente volesse scacciar via le tenebre. Gemma socchiude gli occhi e respira a fondo l’aria ancora frizzante della notte. «E’ ora di muoversi», dice, così appoggia la sua tazza di caffellatte su tavolino della cucina, e veloce corre a mettersi un filo di trucco sul suo volto, che è paragonabile a quello della principessa Atalanta, si veste frettolosamente poi bacia il suo fidanzato e mano nella mano si accompagnano al lavoro. Napoli si sveglia poco a poco insieme a loro. E’ una giornata splendente tanto che le nuvole e la pioggia sembrano un ricordo di un passato remoto…

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