mercoledì 21 gennaio 2015

provini - Tenebra, Lucia Carpenetti



TENEBRA
Lucia Carpenetti

L’aurora rischiarava le sagome dei palazzi della città. Iniziava ad albeggiare e una luce brillante rendeva tutto più definito, netto. La notte stava ritirando veloce il suo buio, come se il sole prepotente volesse scacciar via le tenebre. Elena socchiuse gli occhi e respirò a fondo l’aria ancora frizzante della notte.
-E’ ora di muoversi – disse.

Allargò le piccole ali dall’intelaiatura metallica, ancorate saldamente al suo esile torace e spiccò il volo verso il vuoto. Come a voler sfuggire all’avanzata dei raggi del sole, zigzagò nel corso della caduta libera dal palazzo di dodici piani del centro di Milano.
-Presto, presto. Maledizione- si auto incitò, puntellandosi con i tacchi contro le pareti delle costruzioni attigue. -Accidenti a quel buffone. Il male non ha orari, ma io sì. Rischio di far tardi a scuola. Senza contare che sarò uno straccio, non avendo dormito tutta la notte!-
Era stata una giornata impegnativa per Tenebra. Aveva assicurato alla giustizia un pazzo che continuava a terrorizzare la città con i suoi ordigni esplosivi. La polizia l’aveva inseguito per mesi e non era riuscita a evitare la strage lungo la ferrovia la settimana precedente.
Era evidente il bisogno di un aiuto esterno, un simbolo in cui credere, che potesse riportare la speranza.
Ciclicamente, i popoli hanno il bisogno di eroi, qualcuno a cui guardare per riacquistare la speranza ed era proprio questa la sua missione.
Elena s’intrufolò in camera propria, passando per la finestra e sfilò velocemente la tutina in lattice nero, spingendola con un piede sotto il letto.
Guardò distrattamente nello specchio le sue curve ancora acerbe, nonostante i muscoli tonici che le permettevano di dar vita alla fantomatica giustiziera.
Tenebra era una bomba sexy dalle doti eccezionali, ma ora era lei a doversi preparare per la battaglia più dura: uno dei soliti giorni al secondo liceo.
Come previsto, per una questione di minuti, aveva perso tutte le coincidenze: colazione fredda, metro successiva alla solita e ingresso in classe fuori tempo massimo, dopo una vana corsa forsennata che le aveva lasciato addosso un’ aura di rozza sciatteria.
Prese posto sotto lo sguardo severo della prof di filosofia, sentendosi 19 paia di occhi addosso.
“Brava Ranzi, bella mossa, una scossa alla tua popolarità” pensò mordendosi un labbro.
Ma al momento della ricreazione, le soddisfazioni non tardarono ad arrivare. Tenebra e le sue imprese erano sulla bocca di tutti e già cominciava a farsi strada la notizia della sua ultima impresa.
Certi commenti maschili non erano ripetibili, ma anche quelli equivalevano a far gongolare l’orgoglio della piccola, insignificante Elena Ranzi.
Lei si limitava a tendere l’orecchio, scartando con noncuranza il suo panino. Cercò di non sorridere troppo per non apparire una sempliciotta che si infervora per un nonnulla, limitandosi ad annuire alle frasi più sensate degli altri studenti.
Sollevando la salviettina dal banco, trovò un foglietto ripiegato che non aveva notato prima. Si guardò intorno con circospezione, studiando chi avesse potuto infilarlo lì, pensando allo sfottò di qualcuno.
Dispiegò con una scrollata il foglio a quadretti e si bloccò con il panino tra le labbra. Una semplice scritta in stampatello con lettere regolari:
SO CHI SEI
Un’affermazione che poteva voler dire tutto o niente. Ma nella sua posizione, il significato era inequivocabile. Era fottuta.
Appallottolò la cartina nel palmo e continuò a mangiare mestamente, passando in rassegna i volti dei suoi compagni.
Alla fine della giornata, aveva già stillato la sua lista di sospetti. A dire il vero, si era limitata a fare un elenco della classe, esclusa lei, mettendo delle crocette accanto a quelli che le stavano intorno al momento della merenda. Non era una cerchia troppo ristretta, il suo banco era quasi al centro e molti ci erano passati davanti o dietro in quel breve lasso di tempo.
Passò al microscopio anche il foglietto spiegazzato, ma non ci cavò nulla di utile: le lettere erano state studiate, quasi fossero state forgiate usando un normografo.
Poi, uscendo, nel cappuccio del giubbotto un altro biglietto. Lo afferrò e scappò fuori, come un animale braccato, anticipando già mentalmente il contenuto.
Aspettando la metro, dispiegò il foglio con trepidazione. La stessa scritta. Non era stato uno scherzo, era qualcosa di mirato. Da cacciatrice si stava trasformando in preda e non era sicura di essere pronta a ricoprire quel ruolo.
Trasalì all’arrivo del treno, affrettandosi a salire, nella speranza di trovare un posto a sedere. Ne individuò uno, un po’ più avanti e si fece strada tra due signore con le sporte piene. Ma non si sedette subito, qualcuno aveva appiccicato una pagina di quaderno sullo schienale. Le stesse lettere ben conosciute riportavano il nome di una fermata: San’Ambrogio, appena una più avanti della sua.
Che fare? Lei era Elena, ma era anche Tenebra. Si sentiva inerme senza il suo costume e i pochi ausili di cui disponeva, come se ci fossero realmente due personalità nella vita della vigilante misteriosa.
Non c’era nessun volto sconosciuto accanto a lei, nessuno che avrebbe potuto mettere il biglietto un attimo prima del suo arrivo. Doveva essere sceso subito dopo averlo appiccicato.
Cominciava a tremare e sudare freddo e la tentazione fu forte quando vide la sua fermata, ma proseguì.
“Cara Tenebra, sei veramente una pippa come eroina” pensò, cercando di rimanere lucida.
La porta a vetri si spalancò e lei si buttò fuori all’ultimo momento, tanto aveva indugiato su quella decisione. Sbattè contro un corpo davanti a lei sulla banchina, rimbalzando all’indietro. Se non fosse stato per il suo spiccato equilibrio e forza delle gambe, si sarebbe ritrovata seduta scompostamente a terra.
Sollevò il volto sgranando gli occhi:
-Tu?!- stava per aggiungere che, di tutti i sospetti, era la persona che meno si sarebbe aspettata di trovare lì ad attenderla. Ma decise di lasciar parlare la controparte. Non doveva farsi ingannare dalla personalità socievole che conosceva. In fondo, non ne sapeva un granchè, ci aveva parlato appena un paio di volte e le sue intenzioni non erano state palesate in alcun modo. Forse quella fermata era il capolinea per Tenebra.

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