ELENA
Daniela Vasarri
Daniela Vasarri
“L’aurora rischiarava le sagome dei palazzi della città. Iniziava ad albeggiare e una luce brillante rendeva tutto più definito, netto. La notte stava ritirando veloce il suo buio, come se il sole prepotente volesse scacciar via le tenebre. Elena socchiuse gli occhi e respirò a fondo l’aria ancora frizzante della notte. 'è ora di andare', disse.”
Raccattò la borsa da terra, che sempre posava
accanto alla porta ogni sera quando rientrava, il cui contenuto aveva
però modificato. Non più le chiavi di quella casa ma, al loro posto
nella cerniera interna, tanti piccoli tagli di denaro, racimolato nel
tempo con molte piccole rinunce facendo sempre attenzione a non destare
sospetti. Poi, un cambio di biancheria intima, perché Elena odiava
indossare qualcosa che non profumasse di bucato.
Quell’odore, fastidioso, intenso, non l’avrebbe mai più subìto.
“Che ci fai qui dentro, con queste mani?” le
aveva chiesto Lorenzo sorridendo e sfiorandogliele con gentilezza per
attaccare discorso.
“Lavoro, ma amo disegnare” gli aveva risposto
Elena impacciata ma stupita e affascinata da quel ragazzo che ne aveva,
unico fra molti, notato la forma aggraziata.
Lo aveva conosciuto sei anni prima, servendogli
una birra nel locale dove lei lavorava nel tentativo di guadagnare
qualche cosa per pagarsi quel corso. Avrebbe voluto diventare una
stilista, disegnare abiti per donne fortunate. Elena era capace di
trasformare un tovagliolo di carta in un piccolo quadro. Matita o penna
che fossero li domava, assoggettandole alla propria capacità e fantasia.
Una storia iniziata così, come mille altre nate quelle in borgate periferiche.
“Non vi erano quei palazzi alti, li hanno
costruiti dopo” pensò gettando un’occhiata all’esterno. Ma lo specchio
all’ingresso le rimandò, facendola quasi trasalire, la figura di
Lorenzo, il quale, pancia all’aria e bocca spalancata, russava
fragorosamente. Non si sarebbe mai abituata alle sue sbornie.
“Stai esagerando Lorenzo” gli aveva detto Elena, dopo solo un anno di convivenza.
Non era un compleanno o una data da ricordare, eppure Elena non la poté mai più dimenticare.
Lorenzo, con il suo grosso palmo sudato e lo
sguardo carico di rancore, l’aveva colpita con tale violenza che Elena
era stata costretta ad assentarsi dal lavoro e rimanere, per una
settimana, chiusa in casa perché nessuno potesse mai chiederle cosa
fosse successo. Il suo viso aveva cambiato colore ogni giorno, prima di
tornare a quello naturale. E il suo cuore non era più stato tranquillo.
Batteva, s’interrompeva, riprendeva, lei lo sentiva agitarsi nel suo
magro torace, era lì per ricordarle la delusione e la paura di avere
incontrato quel ragazzo. L’illusione, la fede o chissà che, le impedì
tuttavia di ammettere che non sarebbe riuscita a cambiarlo. Ma non vi è
amore femminile che riesca a fermare una mano maschile violenta. Ci
impiegò cinque anni a capirlo. Cinque anni che percepì come fossero
dieci.
Persino quel calcio là, ben assestato nelle reni,
e poi il sangue, la triste conferma che la sua prima gravidanza si era
così interrotta. La prima ma anche l’ultima.
Silenzio, nel cuore, non confidare a nessuno le
regole di quella prigionia, non chiedere consiglio, ma trovare in se
stessa la forza di capire, di analizzare, di riflettere … di andarsene.
Lorenzo aveva conservato un unico pregio ai suoi
occhi, quello di averle fatto comprendere la propria forza interiore,
della sopportazione prima e della ribellione dopo.
Elena aveva finalmente smesso di credere alle
favole, consapevole che, come nel bosco vi sono pericoli, così la città è
un enorme bosco di cemento dentro al quale si nascondono animali
aggressivi come Lorenzo.
La luce del primo raggio, quella mattina,
cercandosi strada tra le fessure delle persiane, infastidì però il buio
del sonno di lui, che movendo la propria mole, si mise a chiamarla,
ripetendo il suo nome in modo strascicato e meccanico.
“E’ ora di muoversi” ripeté spaventata di nuovo a
ste stessa, chiudendosi la porta alle spalle e volando giù per quei
gradini fatiscenti nel modo più silenzioso e veloce possibile.
Cinque piani con il cuore sospeso, cinque anni di sbalzi, come un tracciato impazzito.
I marciapiedi ancora deserti, sembravano indicare
meglio il percorso verso quei palazzi alti, che Elena aveva tante volte
osservati come fossero stati un miraggio irraggiungibile.
Un brivido le attraversò la schiena, l’emozione
che solo un’alba o un momento di paura superata possono regalare, poi
infine un respiro rigenerante la soprese.
“E’ ora di muoversi. Verso la libertà” ripeté a se stessa osservando le linee geometriche di quell’orizzonte mattutino.
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