mercoledì 21 gennaio 2015

provini - L'incubo, Rossella Bordin

L’incubo

Rossella Bordin 


L’aurora rischiarava le sagome dei palazzi della città. Iniziava al albeggiare e una luce brillante rendeva tutto più definito, netto. La notte stava ritirando veloce il suo buio, come se il sole prepotente volesse scacciar via le tenebre. Elena socchiuse gli occhi e sospirò a fondo l’aria ancora frizzante della notte.<<E’ ora di muoversi>> disse.
La sveglia aveva già suonato ma Elena non ne voleva sapere di alzarsi, aveva passato l’intera notte ad agitarsi nel letto, ma per lei non era una novità ormai era così ogni singola notte, ormai la sua più grande paura erano le tenebre perché sapeva già cosa le riservavano.
Era in ritardo per andare a lavoro e la sveglia aveva ripreso a risuonare incessantemente come a ricordarli che aveva dieci minuti per fare colazione e vestirsi.
Una briosce veloce, un caffè amaro, un paio di jeans e una maglietta, ecco era pronta per affrontare la caotica Milano, ma ormai il caos di quella città non la spaventava più sapeva qualche scorciatoia per arrivare in ufficio senza imbattersi nell’ingorgo di macchine e tassisti furiosi che non la smettevano di strombazzare alle auto in coda.
Prese il suo cellullare fece una chiamata veloce <Ehi ciao Katherine come al solito sono in ritardo ormai non è una novità, il tempo di fare la strada e sono li> chiuse la telefonata con la sua collega e si precipitò in macchina.
Il suo lavoro non le dispiaceva infondo era un tranquillo impiego che le permetteva di mantenersi, ma la sua paura non era di giorno, era la notte che scalfiva in continuazione il suo animo già segnato da anni ormai.
Le ore volarono, tra scartoffie, fatture e chiamate terminò la giornata lavorativa e in un batti baleno era a casa nel suo piccolo appartamento poco fuori dal centro di Milano.
Una doccia veloce, una cena leggera e purtroppo era già ora di andare a letto, era già arrivato il momento che l’angosciava ogni volta come la prima.
Elena si era svegliata in piena notte di soprassalto, gocce di sudore che percorrevano la fronte e occhi sgranati e pieni di terrore, le sue mani tremavano perché per quanto la storia si ripetesse ogni singola notte, l’incubo riusciva sempre a terrorizzarla come la prima volta.
Un boato, uno scontro, fumo e urla che squarciavano la notte, forse un drink di troppo o forse un destino già segnato, una festa finita male, nei peggiori dei modi, una morte che ha trafitto un’anima troppo giovane.
Era condannata a notti insonni, legata, devastata da un ricordo che la perseguitava come una maledizione, accusata pesantemente da estranei e la parola che le rimbombava in testa era quella che faceva più male, quella che le segnava il viso con lacrime taglienti <Assassina,assasina>.
La colpa di trovarsi su quella macchina, in quella precisa sera e di aver perso il controllo della sua Pegeout 206, si accusava era tutta colpa sua o almeno era quello che continuava a ripetersi.
La data era marchiata a fuoco nella sua mente 13/05/14 , non sarebbe mai riuscita a cancellarla perché una morte le era troppo vicina, una giovane vita che aveva visto crescere e ridere accanto a lei,ora non c’è più.
Aveva calcolato male la distanza, una svolta troppo affrettata le aveva fatto perdere il controllo della macchina che è andata a finire nella muretta di una casa dalla parte opposta della strada, non le era mai successo prima di allora, non aveva esagerato con i drink,era stata sempre un ragazza prudente ma non quella sera e non riusciva a darsi una ragione.
Paralizzata dalla paura, circondata dal fumo, dal terrificante buio di quella notte infinita, veloci flash e immagini della festa dalla quale stava tornando invadevano la sua testa offuscandola, non riusciva a muoversi e non riusciva ad emettere nessun suono,sembrava che la voce le fosse sparita all’improvviso.
Una voce lontana sembrava voler attirare la sua attenzione <signorinaaa, la prego mi risponda, riesce a muoversi?> cercava di rispondere invano Elena, poteva udire il rombo della macchina ancora accesa e cercava di alzare il braccio per poter girare la chiave ma i suoi muscoli non rispondevano ai comandi.
A fatica e con un filo di voce riuscì a pronunciare un nome <Eros>, <E’ ancora viva aiutami a tirarla fuori> era la voce dell’estraneo che aveva sentito prima, si sentii sfilare dal sedile del guidatore per poi essere distesa su un’aiuola, l’erba umida le inumidiva i suoi vestiti.
La vista offuscata le faceva vedere due ombre intorno a lei ma non riusciva a definire i loro lineamenti, la solita voce di prima le faceva domande cercando di capire da dove venisse e chi fosse ma lei continuava a ripetere quel nome <Eros,Eros>, <signorina si calmi, purtroppo Eros non ce l’ha fatta è morto sul colpo, mi dispiace> Elena impallidì, quelle parole non potevano essere vere, non voleva crederci.
La rabbia e il dolore scatenarono in lei un’agitazione tanto forte da rendere il suo respiro irregolare e affannoso, <signorina la prego non si agiti, abbiamo chiamato i soccorsi e tra poco saranno qui> nessuno poteva placare quell’anima trafitta da quella valanga di emozioni.
Il soccorritore di Elena non sapendo più come gestire la ragazza si affrettò ad afferrarle la mano e ripeterli dolcemente che non l’avrebbe lasciata da sola, dopo quelle parole Elena a poco a poco si calmo fino a perdere i sensi, la troppa agitazione l’aveva scombussolata.
Erano passati cinque minuti e l’ambulanza era arrivata accompagnata da una pattuglia di carabinieri e vigili del fuoco, dei paramedici stavano caricando Elena per portarla in ospedale mentre alcuni si stavano occupando del ragazzo deceduto.
Era il 15/05/14,Elena era stata in coma per un giorno intero e si stava svegliando ancora intontita dal trambusto dell’incidente, la luce la infastidiva non riusciva ad aprire totalmente gli occhi ma quel poco che riuscì ad aprire notò sagome familiari, erano i suoi genitori.
Non si ricordava molto dei giorni precedenti, aveva delle lacune, ricordi annebbiati ma il suo volto era incancellabile, <Eros, dov’è Eros?, Erossss> incominciò ad agitarsi nel letto d’ospedale e urlava incessantemente il suo nome con le lacrime che le scendevano sul volto <Erossssssssssssss>.
Sua madre l’abbracciò e incominciò a piangere, <Elena calmati ti prego> <mamma dov’è Eros?>, cercò di rispondere a sua figlia nonostante non smettesse di piangere <Eros è lassù che ci guarda e ci protegge> <che stai dicendo, voglio vedere Eros>, <bambina mia tuo fratello è morto sul colpo non ce l’ha fatta>.
Sentiva il cuore scoppiarli nel petto, non voleva crederci, non voleva essere colei che ha ucciso suo fratello,<dovevo morire io, dovevo morire io> sua madre era sconvolta, sua figlia aveva perso in controllo e questo la preoccupava, la fece trasferire in neurologia.
Erano passati due anni da quell’incidente, ed ora Elena viveva a Milano, era stata seguita da un psicologo di Venezia per un anno prima di trasferirsi e lasciare tutto, aveva deciso di continuare a vivere per i suoi genitori che non avrebbero sopportato la perdita di entrambi i figli ma non se la sentiva di rimanere li dove tutto le ricordava lui.
Da quell’incidente lo stesso incubo l’accompagnava ogni notte come se potesse dimenticarlo, ma il dolore era sempre vivo e non avrebbe mai potuto spazzarlo via.
Una notte dopo lo stesso incubo decise di scrivere una lettera indirizzata al fratello:
<Caro Fratello, vorrei aver la possibilità di chiederti scusa, vorrei aver avuto tempo di dirti addio e di quanto ti voglio bene.
Ti ho tolto la tua giovinezza ma sarei disposta a darti la mia vita per farti ritornare, mi manca tutto di te, le tue risate, i tuoi continui scherzi e perfino il tuo modo di masticare con la bocca aperta, che tu sai quanto mi desse fastidio, ma ora come ora lo trovo adorabile.
Vorrei dirti tante cose e scusarmi all’infinito per quello che ti ho fatto, vorrei portare il tempo indietro per fermarmi prima di quel dannato incidente, ma purtroppo non posso farlo,posso solo piangere e ricordarti finché vivo.
Spero che tu da lassù possa perdonarmi perché quando ci rivedremo vorrei poterti abbracciare e non lasciarti mai più.
Ti voglio bene fratellino mio.>
Lasciò cadere la penna dalle sue mani e iniziò a piangere per quel destino ingiusto che doveva portarsi via lei e non suo fratello.
Esausta si addormentò sulla scrivania e la mattina seguente si svegliò pronta al solito tran tran della sua vita quotidiana, giunta velocemente sera si addormentò sul suo letto, ma non era una notte qualsiasi sarebbe stato l’inizio di una nuova vita perché l’incubo la lasciò libera di sognare per ritornare a vivere.

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