L’incubo
Rossella Bordin
L’aurora rischiarava le sagome dei palazzi della città. Iniziava al albeggiare e una luce brillante rendeva tutto più definito, netto. La notte stava ritirando veloce il suo buio, come se il sole prepotente volesse scacciar via le tenebre. Elena socchiuse gli occhi e sospirò a fondo l’aria ancora frizzante della notte.<<E’ ora di muoversi>> disse.
La
sveglia aveva già suonato ma Elena non ne voleva sapere di alzarsi,
aveva passato l’intera notte ad agitarsi nel letto, ma per lei non era
una novità ormai era così ogni singola notte, ormai la sua più grande
paura erano le tenebre perché sapeva già cosa le riservavano.
Era
in ritardo per andare a lavoro e la sveglia aveva ripreso a risuonare
incessantemente come a ricordarli che aveva dieci minuti per fare
colazione e vestirsi.
Una
briosce veloce, un caffè amaro, un paio di jeans e una maglietta, ecco
era pronta per affrontare la caotica Milano, ma ormai il caos di quella
città non la spaventava più sapeva qualche scorciatoia per arrivare in
ufficio senza imbattersi nell’ingorgo di macchine e tassisti furiosi che
non la smettevano di strombazzare alle auto in coda.
Prese
il suo cellullare fece una chiamata veloce <Ehi ciao Katherine come
al solito sono in ritardo ormai non è una novità, il tempo di fare la
strada e sono li> chiuse la telefonata con la sua collega e si
precipitò in macchina.
Il
suo lavoro non le dispiaceva infondo era un tranquillo impiego che le
permetteva di mantenersi, ma la sua paura non era di giorno, era la
notte che scalfiva in continuazione il suo animo già segnato da anni
ormai.
Le
ore volarono, tra scartoffie, fatture e chiamate terminò la giornata
lavorativa e in un batti baleno era a casa nel suo piccolo appartamento
poco fuori dal centro di Milano.
Una
doccia veloce, una cena leggera e purtroppo era già ora di andare a
letto, era già arrivato il momento che l’angosciava ogni volta come la
prima.
Elena
si era svegliata in piena notte di soprassalto, gocce di sudore che
percorrevano la fronte e occhi sgranati e pieni di terrore, le sue mani
tremavano perché per quanto la storia si ripetesse ogni singola notte,
l’incubo riusciva sempre a terrorizzarla come la prima volta.
Un
boato, uno scontro, fumo e urla che squarciavano la notte, forse un
drink di troppo o forse un destino già segnato, una festa finita male,
nei peggiori dei modi, una morte che ha trafitto un’anima troppo
giovane.
Era
condannata a notti insonni, legata, devastata da un ricordo che la
perseguitava come una maledizione, accusata pesantemente da estranei e
la parola che le rimbombava in testa era quella che faceva più male,
quella che le segnava il viso con lacrime taglienti
<Assassina,assasina>.
La
colpa di trovarsi su quella macchina, in quella precisa sera e di aver
perso il controllo della sua Pegeout 206, si accusava era tutta colpa
sua o almeno era quello che continuava a ripetersi.
La
data era marchiata a fuoco nella sua mente 13/05/14 , non sarebbe mai
riuscita a cancellarla perché una morte le era troppo vicina, una
giovane vita che aveva visto crescere e ridere accanto a lei,ora non c’è
più.
Aveva
calcolato male la distanza, una svolta troppo affrettata le aveva fatto
perdere il controllo della macchina che è andata a finire nella muretta
di una casa dalla parte opposta della strada, non le era mai successo
prima di allora, non aveva esagerato con i drink,era stata sempre un
ragazza prudente ma non quella sera e non riusciva a darsi una ragione.
Paralizzata
dalla paura, circondata dal fumo, dal terrificante buio di quella notte
infinita, veloci flash e immagini della festa dalla quale stava
tornando invadevano la sua testa offuscandola, non riusciva a muoversi e
non riusciva ad emettere nessun suono,sembrava che la voce le fosse
sparita all’improvviso.
Una
voce lontana sembrava voler attirare la sua attenzione <signorinaaa,
la prego mi risponda, riesce a muoversi?> cercava di rispondere
invano Elena, poteva udire il rombo della macchina ancora accesa e
cercava di alzare il braccio per poter girare la chiave ma i suoi
muscoli non rispondevano ai comandi.
A
fatica e con un filo di voce riuscì a pronunciare un nome <Eros>,
<E’ ancora viva aiutami a tirarla fuori> era la voce
dell’estraneo che aveva sentito prima, si sentii sfilare dal sedile del
guidatore per poi essere distesa su un’aiuola, l’erba umida le inumidiva
i suoi vestiti.
La
vista offuscata le faceva vedere due ombre intorno a lei ma non
riusciva a definire i loro lineamenti, la solita voce di prima le faceva
domande cercando di capire da dove venisse e chi fosse ma lei
continuava a ripetere quel nome <Eros,Eros>, <signorina si
calmi, purtroppo Eros non ce l’ha fatta è morto sul colpo, mi
dispiace> Elena impallidì, quelle parole non potevano essere vere,
non voleva crederci.
La
rabbia e il dolore scatenarono in lei un’agitazione tanto forte da
rendere il suo respiro irregolare e affannoso, <signorina la prego
non si agiti, abbiamo chiamato i soccorsi e tra poco saranno qui>
nessuno poteva placare quell’anima trafitta da quella valanga di
emozioni.
Il
soccorritore di Elena non sapendo più come gestire la ragazza si
affrettò ad afferrarle la mano e ripeterli dolcemente che non l’avrebbe
lasciata da sola, dopo quelle parole Elena a poco a poco si calmo fino a
perdere i sensi, la troppa agitazione l’aveva scombussolata.
Erano
passati cinque minuti e l’ambulanza era arrivata accompagnata da una
pattuglia di carabinieri e vigili del fuoco, dei paramedici stavano
caricando Elena per portarla in ospedale mentre alcuni si stavano
occupando del ragazzo deceduto.
Era
il 15/05/14,Elena era stata in coma per un giorno intero e si stava
svegliando ancora intontita dal trambusto dell’incidente, la luce la
infastidiva non riusciva ad aprire totalmente gli occhi ma quel poco che
riuscì ad aprire notò sagome familiari, erano i suoi genitori.
Non
si ricordava molto dei giorni precedenti, aveva delle lacune, ricordi
annebbiati ma il suo volto era incancellabile, <Eros, dov’è Eros?,
Erossss> incominciò ad agitarsi nel letto d’ospedale e urlava
incessantemente il suo nome con le lacrime che le scendevano sul volto
<Erossssssssssssss>.
Sua
madre l’abbracciò e incominciò a piangere, <Elena calmati ti
prego> <mamma dov’è Eros?>, cercò di rispondere a sua figlia
nonostante non smettesse di piangere <Eros è lassù che ci guarda e ci
protegge> <che stai dicendo, voglio vedere Eros>, <bambina
mia tuo fratello è morto sul colpo non ce l’ha fatta>.
Sentiva
il cuore scoppiarli nel petto, non voleva crederci, non voleva essere
colei che ha ucciso suo fratello,<dovevo morire io, dovevo morire
io> sua madre era sconvolta, sua figlia aveva perso in controllo e
questo la preoccupava, la fece trasferire in neurologia.
Erano
passati due anni da quell’incidente, ed ora Elena viveva a Milano, era
stata seguita da un psicologo di Venezia per un anno prima di
trasferirsi e lasciare tutto, aveva deciso di continuare a vivere per i
suoi genitori che non avrebbero sopportato la perdita di entrambi i
figli ma non se la sentiva di rimanere li dove tutto le ricordava lui.
Da
quell’incidente lo stesso incubo l’accompagnava ogni notte come se
potesse dimenticarlo, ma il dolore era sempre vivo e non avrebbe mai
potuto spazzarlo via.
Una notte dopo lo stesso incubo decise di scrivere una lettera indirizzata al fratello:
<Caro
Fratello, vorrei aver la possibilità di chiederti scusa, vorrei aver
avuto tempo di dirti addio e di quanto ti voglio bene.
Ti
ho tolto la tua giovinezza ma sarei disposta a darti la mia vita per
farti ritornare, mi manca tutto di te, le tue risate, i tuoi continui
scherzi e perfino il tuo modo di masticare con la bocca aperta, che tu
sai quanto mi desse fastidio, ma ora come ora lo trovo adorabile.
Vorrei
dirti tante cose e scusarmi all’infinito per quello che ti ho fatto,
vorrei portare il tempo indietro per fermarmi prima di quel dannato
incidente, ma purtroppo non posso farlo,posso solo piangere e ricordarti
finché vivo.
Spero che tu da lassù possa perdonarmi perché quando ci rivedremo vorrei poterti abbracciare e non lasciarti mai più.
Ti voglio bene fratellino mio.>
Lasciò
cadere la penna dalle sue mani e iniziò a piangere per quel destino
ingiusto che doveva portarsi via lei e non suo fratello.
Esausta
si addormentò sulla scrivania e la mattina seguente si svegliò pronta
al solito tran tran della sua vita quotidiana, giunta velocemente sera
si addormentò sul suo letto, ma non era una notte qualsiasi sarebbe
stato l’inizio di una nuova vita perché l’incubo la lasciò libera di
sognare per ritornare a vivere.
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