mercoledì 21 gennaio 2015

provini - Jacqueline, Annarita Tranfici

Jacqueline

Annarita Tranfici


L’aurora rischiarava le sagome dei palazzi della città. Iniziava ad albeggiare e una luce brillante rendeva tutto più definito, netto. La notte stava ritirando veloce il suo buio, come se il sole prepotente volesse scacciar via le tenebre. Elena socchiuse gli occhi e respirò a fondo l’aria ancora frizzante della notte. <<E’ ora di muoversi>>, disse.

Quella notte non era riuscita a chiudere occhio e tra un libro e tante sigarette in veranda, aveva aspettato che giungesse l’orario in cui la sua giornata sarebbe cominciata. Spense l’ultimo mozzicone e rientrò in casa, diretta verso la cucina. Mentre saliva le scale sentì l’odore della polvere penetrarle fin dentro i polmoni. Erano le quattro del mattino e le ragazze con cui condivideva quell’appartamento malmesso e piuttosto sporco riposavano tranquille, sicuramente a pezzi per il turno di lavoro terminato poche ore prima. La sua giornata lavorativa, invece, sarebbe iniziata entro breve.

Il rumore della pioggia si sentiva appena, sovrastato da quello dell’acqua della moka poggiata sulla piastra elettrica. Nulla più di una buona dose di caffè bollente l’avrebbe aiutata a scrollarsi di dosso la stanchezza di una notte insonne.


Indossata la divisa e il sobrio k-way, scese le scale senza far rumore e chiuse lentamente la porta dietro sé. Nell’ora di viaggio in bus verso il luogo di lavoro, Elena ebbe modo di pensare che quel giorno erano esattamente tre mesi che si era trasferita a Londra. Com’era cambiata la sua vita nelle ultime settimane, quante persone aveva conosciuto, quante sensazioni le si erano affollate nella mente. Sensazioni che quel cambiamento improvviso e i vari impegni non le avevano ancora permesso di discernere e mettere a fuoco ma a cui pian piano avrebbe dato un nome.
Elena lavorava in un albergo a cinque stelle a South Kensington; era addetta alle colazioni e mentre gli ospiti dell’hotel si svegliavano con calma, sorseggiando un thé caldo e pianificando le tappe di una nuova giornata da turisti, lei vagava come una trottola da un capo all’altro della sala ristoro per far sì che ogni commensale fosse soddisfatto del servizio che aveva profumatamente pagato. Terminava di lavorare alle 11.00 del mattino, ma non aveva modo di dedicare il resto della giornata a nessun tipo di svago; quello all’albergo, infatti, era solo il primo lavoro. La vita a Londra era molto cara, specialmente per una ragazza sola che non poteva contare sull’appoggio di nessuno. Altri sessanta minuti di viaggio per rientrare a casa, un panino al volo e appena un paio d’ore di riposo prima di cominciare la seconda attività, quella che probabilmente la stancava di più, ma che senza dubbio le dava maggiori soddisfazioni. Durante il pomeriggio, Elena doveva prendersi cura di due bambini: Claire, di cinque anni ed Eric, di appena sei mesi. I genitori dei piccoli, italiani emigrati come lei, svolgevano attività che li tenevano impegnati buona parte della giornata, e per questo avevano deciso di comune accordo di farsi aiutare nella gestione della casa da una ragazza giovane e intraprendente. Nell’appartamento accanto a quello della famiglia viveva un’adorabile vecchietta di ottant’anni il cui nome era Jacqueline Moore. Jacqueline era una pacata lady inglese, estremamente cortese e paziente; sembrava che la sua lunga vita non le avesse mai dato ragioni sufficienti per essere arrabbiata, delusa o amareggiata. Aveva patito molte sofferenze, ma la sua anima non ne aveva mai pagato il prezzo; aveva conosciuto la povertà e gli orrori della guerra, perso due figli e osservato l’amore della sua vita spegnersi lentamente divorato da una silenziosa malattia, ma niente di tutto ciò era riuscito a congelarle il cuore. Sebbene non avesse potuto frequentare la scuola, Jacqueline era una donna colta, raffinata, dalla mente ancora fervidamente curiosa, la cui compagnia non stancava mai. Ogni volta che Elena aveva la possibilità di trascorrere qualche ora con lei dopo il lavoro, tutto ciò che riusciva a cogliere dalle loro intime conversazioni la faceva sentire profondamente arricchita, non solo da un punto di vista meramente linguistico, quanto soprattutto sotto il profilo umano. Presto Jacqueline diventò per lei quella nonna che non aveva mai conosciuto, un’umile donna che attraverso la spontaneità dei suoi racconti era in grado di fornirle sempre nuovi spunti di riflessione su temi importanti quali il valore dei sacrifici, l’importanza dei sentimenti e la sacralità della vita.
Purtroppo Elena poté godere di quella presenza benefica nella sua vita solo per pochi mesi: Jacqueline era gravemente malata e non le restava molto da vivere. Elena lo scoprì per caso, un pomeriggio che si fermò a scambiare qualche parola con il giardiniere venuto a potare le rose del suo giardino. Egli le raccontò che la povera donna gli aveva confidato di apprezzare molto la sua presenza, essendo ormai l’unica persona con cui poter scambiare qualche parola ogni tanto. Da quando sua nipote era partita, il figlio Charles si era gettato ancor più a capofitto nel lavoro, dimenticandosi della moglie e ancor prima della madre. L’anziana donna non era più in grado di ricordare l’ultima volta in cui lui fosse andato a farle visita, né la sua ultima telefonata. Si sentiva abbandonata, senza nessuno che fosse disposto ad alleviare il peso di quella vecchiaia che lei con fatica riusciva a sostenere, circondata solo dalle fotografie di un tempo talmente distante da sembrare irreale. Nonostante non si fosse mai risparmiata, nonostante l’amore donato superasse cento e più volte quello ricevuto, alla fine del suo lungo viaggio si vide completamente sola.
L’epilogo della sua vita sembrò tingersi dei colori dell’oblio e, a quelle parole, Elena immediatamente pensò quanto fosse facile sparire dai pensieri della gente, quanto la vita quotidiana fosse capace di assorbire ogni energia ponendo in secondo piano anche qualcosa di sacro come lo è l’amore di una madre. Prima ancora che l’uomo ebbe terminato la sua storia, Elena capì cosa fare. A Jacqueline probabilmente restavano pochi giorni da vivere e non avrebbe permesso che quella donna così dolce portasse dentro sé il peso di una delusione tanto amara. L’avrebbe ricordata sorridente e curiosa, nella sua mise elegante e col cuore allegro. Rientrata a casa, sfidando la stanchezza della giornata, accese il computer e iniziò la sua ricerca: non le fu difficile trovare l’indirizzo e il recapito telefonico di Charles Moore, era un uomo conosciuto nell’ambiente dell’alta finanza. Afferrò il cellulare e compose svelta il numero; dopo appena un paio di squilli, una voce fredda e forte rispose, ma passò qualche secondo prima che Elena trovasse il coraggio di parlare…

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