mercoledì 21 gennaio 2015

provini - Solo 8 minuti, Andrea Khaldi

Solo 8 minuti 

Andrea Khaldi (Rumigal)


 
L’aurora rischiarava le sagome dei palazzi della città. Iniziava ad albeggiare e una luce brillante rendeva tutto più definito, netto. La notte stava ritirando veloce il suo buio, come se il sole prepotente volesse scacciar via le tenebre. Elena socchiuse gli occhi e respirò a fondo l’aria ancora frizzante della notte. 
“E’ ora di muoversi”, disse. 
 
Iniziò a correre verso la stazione, decisa a non pensare ad altro. Ormai era tardi per farlo.
Arrivare in ritardo era sempre stata la sua costante, d’altronde.
Ad esempio non capiva mai chi fosse il cattivo, quando guardavano “The Mentalist” assieme. Ricordava ancora la risatina di Leo quando alla fine lei si sorprendeva.
E quando aveva un appuntamento? Mai una volta che fosse arrivata puntuale. I suoi amici, e anche Leo, poi, avevano iniziato a dirle di presentarsi almeno mezz’ora prima quando dovevano vedersi, sicuri che comunque non sarebbe arrivata puntuale, ma almeno avrebbero aspettato di meno.
Ma era arrivata tardi anche nella vita. Era nata venti giorni dopo la data comunicata dai medici. Era stata bocciata in terza liceo perché non riusciva a studiare. Aveva perso la verginità dopo essere diventata maggiorenne, quando tutte le sue amiche avevano passato gli anni del liceo a raccontare delle loro esperienze. Aveva iniziato a lavorare dopo il liceo, convinta di aver bisogno di un anno sabbatico. E poi si era iscritta alla facoltà di legge. Con un anno di ritardo rispetto a quelli che erano diventati compagni di corso prima, e amici poi.
Ma la volta in cui era stata più in ritardo, era quando Leo le aveva detto di essere innamorato di lei. Aveva preso le sue mani piccole tra le sue grandi mani da giocatore di basket e aveva detto quelle semplici due parole che l’avevano spiazzata. Perché lei non ne era sicura. E lui era stato gentile. Poteva aspettare, aveva detto.
Ma queste cose non possono aspettare. I sentimenti sono istintivi. E se non vengono colti, o vissuti quando ci sono…si perdono.
E cosi Leo aveva deciso di lasciarla. E andare via, perché lei era l’unico motivo per cui continuava a restare qui in Città. Le aveva scritto una lettera in cui le aveva detto che sarebbe partito, dato che ormai non aveva più niente che lo legasse qui, dopo la morte di suo padre.
“Ho aspettato che capissi cosa provi per me. Ma dopotutto, se hai bisogno di capirlo, non dev’essere niente di bello. E di sicuro non ho intenzione di aspettare qualcosa che forse non arriverà mai.”
La lettera l’aveva vista la sera prima. Era scesa a gettare l’immondizia e si era accorta che c’erano delle lettere nella cassetta della posta. Aveva pensato fosse della pubblicità, ma poi l’aveva controllata.
Era rimasta seduta a leggere quella lunga lettera per venti minuti, prima di rendersi conto che stava morendo di freddo. Era tornata in casa, continuando a leggere quelle parole. E la sua mente sempre cosi oscura, come piena di un denso groviglio di pensieri che la facevano distrarre si era come distesa e li, proprio allora, con una chiarezza che probabilmente non aveva mai sperimentato, Elena aveva capito che aveva una sola, ultima possibilità.
Cosi si era vestita di corsa ed era uscita mentre la Città si preparava ad accogliere l’ennesima alba. 


Aveva iniziato a correre perché quello era il momento di sbrigarsi, il momento in cui un ritardo non sarebbe stato ammissibile.
Leo aveva scritto che sarebbe partito con il treno delle 6:07 per Roma. Se solo avesse visto prima la lettera avrebbe potuto chiamarlo, avrebbero potuto chiarirsi senza fretta. O forse avrebbe comunque aspettato fino alla fine prima di capire che anche lei lo amava.
Elena corse come non aveva fatto mai, nel silenzio mattutino in cui i suoi passi risuonavano ritmicamente.
Arrivò fino alla stazione e controllò i treni in partenza per Roma.
“Partito”
Elena rimase ferma in mezzo alla stazione, a guardare lo schermo con su gli orari dei treni. Le tornò in mente una frase de “Il Ciclone”.
“I treni sono fatti apposta per gli addii”
A lei non era stato concesso neanche questo invece. Rimase li a pensare che ci aveva provato, che questa volta aveva corso con tutta se stessa per arrivare in tempo. E non se ne rese conto, ma iniziò a piangere, nell’indifferenza generale di chi non era ancora sufficientemente sveglio per pensare ad altro che al viaggio di due ore per andare a lavorare.
Aveva sbagliato tutto, per l’ennesima volta era arrivata tardi.
“Per fortuna che ti ho detto che avrei preso il treno delle sei, invece che quello delle sette.”
La voce di Leo, alle sue spalle, la colpì con la potenza di un tifone. Si voltò e lui era li, bello e alto e con quei stupidi capelli troppo biondi per sembrare veri.
“E sei persino arrivata con… solo 8 minuti di ritardo. Direi che posso accontentarmi, per un po”, disse lui ridendo, mentre lei si infilò tra le sue braccia, sorridendo e piangendo ad un tempo.

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