mercoledì 21 gennaio 2015

provini - La metamorfosi, Fausto Pirrello

La Metamorfosi 

Fausto Pirello

metamorfosi cop 

 1 Sole Contro

L’aurora rischiarava le sagome dei palazzi della città. Iniziava ad albeggiare e una luce brillante rendeva tutto più definito, netto. La notte stava ritirando veloce il suo buio, come se il sole prepotente volesse scacciar via le tenebre. Elena socchiuse gli occhi e respirò a fondo l’aria ancora frizzante della notte. “E’ ora di muoversi”, disse.
 
Le dava fastidio tutto quel chiarore, tutta quella luce. Odiava il sole.
Tutto quell’illuminare, quel dare vita.
Probabilmente era l’unica a soffrire la svastica per il valore simbolico e non per quello storico.
Odiava il sole perché la costringeva a vedere il suo essere, o meglio il suo non essere.
Si sentiva come trasformata in un enorme essere inetto ripugnante.
Come una novella Giosuè gridava “sole fermati in gabaon, e non venire a splendere sulla mia città”.
Se fosse rimasto dov’era, lei avrebbe fatto lo stesso.
“Smettila di illuminare quello che non ho, smettila di dare inizio ad un nuovo giorno che non vivrò.
Smettila di far crescere alberi che mi fanno respirare, che la mia vita è priva di momenti che il respiro me lo tolgono.”
Se ne stava a pancia su, sdraiata sul letto, inspirando sempre più forte l’aria della notte che entrava dalla finestra.
Aveva spesso sentito un legame quasi molecolare tra le sue vertebre e il materasso.
Le ossa unite al lattice sembravano formare una corazza dura capace di resistere agli urti che avrebbero potuto farle curvare la schiena.
E lei non poteva permetterselo.
Lei non poteva piegarsi.
Stare dritti da sdraiati è più facile.
Si sente meno la gravità, dei fatti.
“Smettila di essere d’ispirazione per santi e poeti.
Che i santi sono morti col gossip e i poeti sono solo scrittori pigri”
Alzando leggermente il capo guardava il ventre gonfio, dove tentava di digerire tutte le sofferenze della sua vita, che aveva deciso di mandar giù senza proferir parola.
Sentiva sempre in bocca il sapore di emozioni andate a male, di occasioni andate male.
Aveva lasciato marcire il frutto della passione, e provava gusto solo nell’amarezza non potendo più sopportare la dolcezza.
Lei non usciva per andare a mangiare fuori.
Restava lì a mangiarsi dentro.
“Smettila di riscaldare il mondo.
Lascia che sia io a influenzarne la temperatura.
Lasciami diffondere tutto il freddo che ho dentro.”
Spostando lo sguardo oltre lo stomaco pieno di delusione, poteva vedere le sue gambe.
Erano sempre state molto sottili e ciò comportava una maggior fatica nel sostenere il peso.
Da sempre aveva la sensazione che ancor più che camminare sulla terra, lei annaspasse nel mondo.
A queste condizioni era già difficile uscire, figuriamoci riuscire.
“Smettila di usare la tua gravità.
Smettila di attrarci col tuo peso.
Smettila di farci girare attorno alla tua massa.
Così che tutti possiamo cadere giù, e io possa finalmente sentirmi leggera.”
Eppure quella mattina un pensiero nuovo si faceva strada.
“E’ ora di muoversi”.

2 la donna è mobile

“E’ ora di muoversi” si disse.
“7,2 miliardi” era il numero che le ronzava in testa.
Sulla terra siamo 7,2 miliardi di persone.
Lo aveva sentito il giorno prima alla televisione.
7,2 miliardi.
Più di quanti chilometri avrebbe mai percorso nella sua vita.
“Alzati e cammina” si disse.
7,2 miliardi di persone, pensava.
E lei quante ne conosceva? Cento? Forse neanche ci arrivava a cento.
E tutto quel pensare la portò ad una prima conclusione:
Nessuno è eterno.
Nessuno è insostituibile.
L’unica persona con cui avrebbe convissuto per sempre era lei stessa.
Questo riduceva sensibilmente il peso delle azioni degli altri.
Concentrandosi più su se stessa.
L’amore per gli altri portava spesso ad una deificazione di questi, dimenticandosi quasi che in realtà erano semplici persone.
Questo non era amore, era idolatria.
E forse l’amore neanche esisteva.
L’amore è il dono di Dio ai cantanti pop.
Sentiva che il suo nuovo dogma avrebbe avuto al centro il culto di sé stessa, amandosi e compiacendosi quotidianamente, facendo sacrifici solo quando questi l’avrebbero fatta stare bene, e non è un ossimoro.
Venerandosi, ecco.
Venerandosi come una divinità.
E se siamo così tanti, va da se che nessuno si sarebbe curato di quello che lei faceva.
Si sorprese per la beatitudine che provava in questa nuova condizione, si stava concedendo un’indulgenza per quella perfezione che si era imposta autonomamente di raggiungere.
Nessun bene supremo come obiettivo.
Era pronta per una resurrezione, una nuova vita.
Sarebbe stata una divinità imperfetta, e no che non è un ossimoro.
Zeus oggi sarebbe considerato un sessodipendente.
Dioniso un alcolista.
Afrodite una ninfomane.
“E’ ora di muoversi” si disse.
7,2 miliardi.
Più di quanti chilometri avrebbe mai percorso.
Iside una necrofila.
Anubi un figlio illegittimo.
Ra il ragazzo padre dell’umanità.
Aveva scelto il suo letto come porto sicuro nel quale rifugiarsi per evitare qualsiasi insidia del mondo esterno.
Preferendo la sicurezza che derivava dall’evitare voli pindarici.
Sarebbe andata via da quella solitudine di ferro, via da quella cabina di regia dove la vita veniva proiettata e basta.
Loki un truffatore.
Odino un saccente.
Thor un culturista.
Non le sarebbe più accaduto nulla di male.
Semplicemente perché le cose non le sarebbero più accadute, ma sarebbe stata lei a farle succedere.
Strada facendo avrebbe imparato a fronteggiare ogni situazione.
Scese dal letto.
Per la prima volta era una donna con i piedi per terra.
Mosse il primo, mosse il secondo e non riusciva più a fermarsi.
Forse c’erano mille motivi per cui ora si stava muovendo, o forse non ce n’era neppure uno.
Non importava più, l’unica cosa che ora riusciva a fare era fare un passo dopo l’altro.
“Alzati e cammina.
E’ ora di muoversi
Ti rimangono 7.199.999.999,999 chilometri da percorrere.”

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