mercoledì 21 gennaio 2015

provini - La guerra di Elena, Michael Crisantemi

La guerra di Elena

Michael Crisantemi


 
L’aurora rischiarava le sagome dei palazzi della città. Iniziava ad albeggiare e una luce brillante rendeva tutto più definito, netto. La notte stava ritirando veloce il suo buio, come se il sole prepotente volesse scacciar via le tenebre. Elena socchiuse gli occhi e respirò a fondo l’aria ancora frizzante della notte. 
“E’ ora di muoversi”, disse. 

Le mattine possono sembrare tutte eguali, soprattutto per chi non le conosce, per chi non le vive. Elena, che non dormiva ormai da diverse settimane, aveva imparato a riconoscerle, aveva cominciato a studiarle, a decifrarle, un passatempo, come tanti altri, per scacciare la noia e vincere l’insonnia. Già dai primi raggi del sole, già dai primi canti di uccelli capiva se sarebbe stato un giorno sereno oppure no.
Si alzava sempre presto, verso le tre, non perché avesse riposato a sufficienza, ma perché era stanca di stare nel letto, da sola. Si vestiva di tutto punto, usciva per fare due passi, per prendere sonno, diceva, mentendo a se stessa: sapeva bene dove sarebbe andata.Prendeva sempre quella strada che costeggiava il fiume e procedeva fino a raggiungere quel quartiere, quella via, quella casa che tanto aveva amato: porto felice dei giorni felici. Ora era solo l’arrivo di quel giro disperato fatto di dubbi e di incertezze. Rimaneva lì per qualche minuto, sotto quella finestra da cui si era affacciata regina. Ora la spiava, poco più che serva. A volte aspettava persino le otto, quando Stefano usciva di casa e saliva sulla sua auto per andare a lavoro. Come se niente fosse. Aveva l’aria felice, anche senza di lei.
Una volta, solo una volta, si trattenne nel giardino, celandosi dietro i cespugli; rimase lì per mezz’ora, aspettando di veder uscire quella che aveva preso il suo posto. Rinunciò: tornò sui suoi passi sentendosi terribilmente stupida, patetica. Aveva provato sempre pena per quelle donne che si facevano rovinare l’esistenza da un uomo, come se la vita girasse tutto intorno a quel disgraziato che chiamavano amore.
Elena respirò a fondo l’aria di quella mattina che ancora non lasciava svelare il suo mistero: era più frizzante del solito, più sottile, più intrigante. Il vento le parlava all’orecchio, il fiume dabbasso le suggeriva propositi che ancora non riusciva a decifrare. Eppure sentiva che avrebbe dovuto fare qualcosa, qualcosa per salvare la sua storia. E lo avrebbe fatto appunto quella mattina.
Avrebbe fatto di tutto per riaverlo, non avrebbe rinunciato così facilmente ai suoi occhi, né ai suoi baci, né al suo sorriso. Gli avrebbe dimostrato quanto ancora lo amasse e avrebbe affrontato quell’altra che si era messa in mezzo, quella maledetta che gliel’aveva portato via.
Doveva essere bionda, alta, magari con il seno più grande del suo. O forse era più brava a letto, nonostante avesse sempre fatto tutto quello che Stefano gli avesse chiesto, per fargli piacere. Doveva avere qualcosa, qualcosa che lei non gli aveva saputo dare. Ma cosa? Cos’altro poteva offrirgli se Elena gli aveva già dato tutto? Gli aveva dato la sua vita, e non era bastato.
Provò a chiamarlo al telefono, ma non le rispose. Chissà cosa stavano facendo. Riprovò, ancora nessuna riposta. Chiamò di nuovo, Stefano le attaccò il telefono in faccia. Come aveva potuto? Come aveva osato? Lo richiamò: segreteria telefonica.
Improvvisamente tutta la collera che aveva represso in quelle settimane le affiorò e si impadronì di lei. Prese le chiavi dalla borsa: il suono della lamiera incisa le diede una certa soddisfazione. Non era certo l’opera di un artista, ma anche così ridotta la macchina di Stefano le sembrava ancora bella. Armò la mano di un sasso e lo lanciò contro il vetro che si frantumò in mille pezzi. D’altronde lui le aveva spezzato il cuore: doveva pur vendicarsi in qualche modo. Ripeté l’operazione rompendo tutti i finestrini.
Il sangue le salì alle tempie e le rimbombava nelle orecchie, facendole sembrare lontano il suono dell’antifurto. Sperava che lo avesse svegliato, che lo avesse tirato giù dal letto e sottratto alle braccia di quella puttana. Ma niente. Anche l’allarme si stancò di aspettarlo. Era il colmo.
Salì le scale come una furia, aprì la porta con le chiavi che non aveva nemmeno avuto il coraggio di riprendersi. Si aspettava di tutto, ma non quello.
Ora sapeva cosa non aveva potuto dargli. Chiuse gli occhi, non poteva tollerare la vista di Stefano che giaceva nudo nel letto, insieme al suo amico Leandro.
Cominciò a gridare. Leandro si coprì con il lenzuolo bianco, Stefano invece scese dal letto con un balzo felino e corse da lei.
Ti prego, non urlare. Posso spiegarti tutto… le disse, cercando di abbracciarla.
Non voglio sapere niente! Mi fai schifo! Gli urlò contro Elena, riempiendolo di pugni per sottrarsi al suo abbraccio. Stefano le immobilizzò le mani e la strinse forte a sé. 

Lasciami! Gridava Elena. Ma voleva dire “prendimi”. 

Stefano la portò sul letto e cominciò a baciarla come sempre, come se niente fosse. Elena non riusciva più a ribellarsi: ogni ira, ogni domanda, ogni pregiudizio scomparve nel piacere di quei baci che rimpiangeva ormai da giorni. Dopotutto era sempre lui, e lo avrebbe accettato anche così, ad ogni costo, pur di stargli accanto. Nel frattempo altre mani si posarono sul suo corpo, altri baci le risalivano furtivi lungo la schiena. Era Leandro. Elena guardò un attimo Stefano che per tutta risposta la ricambiò con un sorriso di approvazione.
Sotto il calore del corpo di Leandro, Elena riuscì a capire di cosa si fosse innamorato il suo uomo: ne avvertiva il desiderio, la passione, il suo respiro caldo su di sé, la voglia di stringerla e di possederla.
Era venuta per regolare i conti e finì per accettare un compromesso inaspettato.
Avrebbe continuato ad amarlo. Lui l’avrebbe amata come sempre, nonostante amasse anche l’altro. E l’altro avrebbe capito perché lui l’amava.
E poco importava se qualcuno di sotto aveva chiamato la polizia che già bussava alla porta…
 

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