mercoledì 21 gennaio 2015

provini - Una stagione per rinascere, Viviana Cardone

Una stagione per rinascere

Viviana Cardone


L’aurora rischiarava le sagome dei palazzi della città. Iniziava ad albeggiare e una luce brillante rendeva tutto più definito, netto. La notte stava ritirando veloce il suo buio, come se il sole prepotente volesse scacciar via le tenebre. Elena socchiuse gli occhi e respirò a fondo l’aria ancora frizzante della notte. <<È ora di muoversi>>, disse. 
Aveva programmato infatti, di alzarsi presto quella mattina, presa com’era dall’irrefrenabile euforia di revisionare il suo ultimo racconto che avrebbe dovuto consegnare il giorno seguente per un concorso letterario che le stava fortemente a cuore. Erano appena le cinque e la ragazza si diresse, in punta di piedi, in cucina dove avrebbe consumato del caffè e latte per poi mettersi subito a lavoro. Stranamente la porta che di solito lasciavano aperta, era chiusa. E quando Elena l’aprì uno straordinario scenario le si mostrò dinnanzi: amici e parenti erano tutti riuniti intorno ad una graziosa torta, e intonavano allegramente i loro auguri. Quanta esultanza nelle voci, che si confondevano l’una nell’altra, calorose ed entusiaste di esprimere tutto il loro affetto. Travolta dagli abbracci, Elena fu invitata ad accostarsi alla torta: una simpatica torta, disposta su tre piani e decorata con pasta di zucchero colorata di giallo e arancio, che sua madre le aveva preparato, con immensa premura, nel giorno del suo venticinquesimo compleanno. I suoi profondi occhi riflettevano ora, lo scintillio delle allegre fiammelle che ardevano sulle candeline rosa, e si apprestavano ad esprimere un desiderio. La bandana color magenta che le avvolgeva il capo rendeva più luminoso il candore del suo viso, più vivo il colore scarlatto delle sue labbra, più intenso il pigmento dei suoi occhi giallo grano. Un leggero soffio spense le candeline, le voci cessarono e per qualche istante un velo di tristezza le si posò sul cuore. Rammentò gli eventi trascorsi appena un anno prima: un brivido le percosse la schiena, le sembrò fossero lontani un’eternità. Quattordici mesi prima infatti, una notizia devastante aveva sconvolto la sua vita. Da un po’ di tempo a quella parte avvertiva un’insolita stanchezza, dolori frequenti e spesso febbre. Elena non ci badava affatto visto che la sua salute era sempre stata cagionevole. Si era appena laureata a pieni voti in architettura, ma aveva sempre nutrito velleità letterarie, che la portavano a trascorrere intere stagioni allontanandosi dalla frenesia del quotidiano e a rifugiarsi nella scrittura, in un mondo tutto suo, fatto di arte e di magia. E che di arte fosse tessuta la sua vita nessuno poteva dubitarne, lei stessa ne pareva l’incarnazione: oltre alla scrittura amava suonare il pianoforte, il clarinetto e il violino, sapeva dipingere, danzare e cantare. A seguito delle pressioni della madre la ragazza aveva consultato un medico e si era sottoposta a delle analisi; ricordava benissimo quell’uomo barbuto, dal volto superbo che con un freddo colloquio durato all’incirca dieci minuti le aveva spezzato il cuore. Susseguirono ulteriori pareri medici ma la diagnosi era sempre la stessa: leucemia. Da quel momento tutto parve crollarle addosso. Quell’orribile parola veniva scandita ritmicamente nel suo cervello e produceva un frastuono assordante; tutto ad un tratto la vita le apparve in tutta la sua precarietà. Tuttavia non vi era tempo per compiangersi, doveva prepararsi a lottare e il suo avversario era già in vantaggio. E proprio quando il mondo intero si apprestava a festeggiare il Natale, il 17 dicembre Elena si sottopose alla sua prima chemioterapia. Durante quei lunghi mesi si era guardata pochissime volte allo specchio. Quale orrore era stato svegliarsi ogni mattino e dover raccogliere sul cuscino ciocche sempre più folte. Giorni grintosi in cui Elena si proponeva di sfidare e combattere il suo nemico, si alternavano a giorni in cui vi era il buio più totale. Poi si avvicinò l’estate; i timidi raggi filtrati dalle finestre e il piacevole tepore dell’aria la richiamavano alla vita. Erano mesi che non usciva a parte che per i frequenti ricoveri in ospedale per le chemio. Fu allora che suo padre insistette per farle prendere una boccata d’aria. Era una giornata incantevole e Elena si chiedeva perché la natura gioisse mentre ella fosse allo stremo delle forze. In lontananza, aldilà del parco, scorse una piccola chiesa. Era sempre stata lì ma non l’aveva mai notata. Volle raggiungerla e Giorgio ve la condusse. L’intenso odore dell’incenso le piaceva molto, le ruote della sua carrozzina ruppero quel silenzio solenne. Il suo volto fu illuminato dai raggi di luce che filtravano dai mosaici dei finestroni. Si avvicinò all’altare e contemplò l’imponente crocifisso scolpito in legno. Mai aveva guardato un crocifisso dotato di tale intensità nell’espressione, per la prima volta si rivelavano dinnanzi al suo sguardo le sembianze di un uomo reale e vivo. Le sembrava che il sangue scorresse davvero dalle mani, dalla fronte e dal costato; rabbrividì. Il crocifisso sembrava guardarla. Elena provò un profondo senso di riverenza, avrebbe voluto inginocchiarsi, e per un istante aveva dimenticato di essere seduta sulla carrozzina, e non appena si rese conto del suo ostacolo una lacrima le bagnò il viso. Congiunse le mani e senza remore pregò come non aveva mai fatto prima. Percepiva allora serenità e conforto, si sentiva profondamente vicina a Dio. Quella soprannaturale visita le si impresse indelebilmente nel cuore. L’estate avanzava e la sua salute migliorava sempre di più. Era diventata un lottatore forte. E non era sola a combattere: Dio era con lei. Non dimenticò mai il giorno in cui il Dottor Manzi non poteva credere ai suoi occhi quando il referto delle ultime analisi riportava dei valori perfetti. Nessuno immaginava cosa fosse accaduto tra lei e Dio in quella chiesa così come adesso nessuno degli invitati immaginava quale desiderio avrebbe espresso davanti alle venticinque candeline.

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