Una stagione per rinascere
Viviana Cardone
L’aurora rischiarava le sagome dei palazzi della città. Iniziava ad albeggiare e una luce brillante rendeva tutto più definito, netto. La notte stava ritirando veloce il suo buio, come se il sole prepotente volesse scacciar via le tenebre. Elena socchiuse gli occhi e respirò a fondo l’aria ancora frizzante della notte. <<È ora di muoversi>>, disse.
Aveva programmato infatti, di alzarsi presto quella mattina,
presa com’era dall’irrefrenabile euforia di revisionare il suo ultimo
racconto che avrebbe dovuto consegnare il giorno seguente per un
concorso letterario che le stava fortemente a cuore. Erano appena le
cinque e la ragazza si diresse, in punta di piedi, in cucina dove
avrebbe consumato del caffè e latte per poi mettersi subito a lavoro.
Stranamente la porta che di solito lasciavano aperta, era chiusa. E
quando Elena l’aprì uno straordinario scenario le si mostrò dinnanzi:
amici e parenti erano tutti riuniti intorno ad una graziosa torta, e
intonavano allegramente i loro auguri. Quanta esultanza nelle voci, che
si confondevano l’una nell’altra, calorose ed entusiaste di esprimere
tutto il loro affetto. Travolta dagli abbracci, Elena fu invitata ad
accostarsi alla torta: una simpatica torta, disposta su tre piani e
decorata con pasta di zucchero colorata di giallo e arancio, che sua
madre le aveva preparato, con immensa premura, nel giorno del suo
venticinquesimo compleanno. I suoi profondi occhi riflettevano ora, lo
scintillio delle allegre fiammelle che ardevano sulle candeline rosa, e
si apprestavano ad esprimere un desiderio. La bandana color magenta che
le avvolgeva il capo rendeva più luminoso il candore del suo viso, più
vivo il colore scarlatto delle sue labbra, più intenso il pigmento dei
suoi occhi giallo grano. Un leggero soffio spense le candeline, le voci
cessarono e per qualche istante un velo di tristezza le si posò sul
cuore. Rammentò gli eventi trascorsi appena un anno prima: un brivido le
percosse la schiena, le sembrò fossero lontani un’eternità. Quattordici
mesi prima infatti, una notizia devastante aveva sconvolto la sua vita.
Da un po’ di tempo a quella parte avvertiva un’insolita stanchezza,
dolori frequenti e spesso febbre. Elena non ci badava affatto visto che
la sua salute era sempre stata cagionevole. Si era appena laureata a
pieni voti in architettura, ma aveva sempre nutrito velleità letterarie,
che la portavano a trascorrere intere stagioni allontanandosi dalla
frenesia del quotidiano e a rifugiarsi nella scrittura, in un mondo
tutto suo, fatto di arte e di magia. E che di arte fosse tessuta la sua
vita nessuno poteva dubitarne, lei stessa ne pareva l’incarnazione:
oltre alla scrittura amava suonare il pianoforte, il clarinetto e il
violino, sapeva dipingere, danzare e cantare. A seguito delle pressioni
della madre la ragazza aveva consultato un medico e si era sottoposta a
delle analisi; ricordava benissimo quell’uomo barbuto, dal volto superbo
che con un freddo colloquio durato all’incirca dieci minuti le aveva
spezzato il cuore. Susseguirono ulteriori pareri medici ma la diagnosi
era sempre la stessa: leucemia. Da quel momento tutto parve crollarle
addosso. Quell’orribile parola veniva scandita ritmicamente nel suo
cervello e produceva un frastuono assordante; tutto ad un tratto la vita
le apparve in tutta la sua precarietà. Tuttavia non vi era tempo per
compiangersi, doveva prepararsi a lottare e il suo avversario era già in
vantaggio. E proprio quando il mondo intero si apprestava a festeggiare
il Natale, il 17 dicembre Elena si sottopose alla sua prima
chemioterapia. Durante quei lunghi mesi si era guardata pochissime volte
allo specchio. Quale orrore era stato svegliarsi ogni mattino e dover
raccogliere sul cuscino ciocche sempre più folte. Giorni grintosi in cui
Elena si proponeva di sfidare e combattere il suo nemico, si
alternavano a giorni in cui vi era il buio più totale. Poi si avvicinò
l’estate; i timidi raggi filtrati dalle finestre e il piacevole tepore
dell’aria la richiamavano alla vita. Erano mesi che non usciva a parte
che per i frequenti ricoveri in ospedale per le chemio. Fu allora che
suo padre insistette per farle prendere una boccata d’aria. Era una
giornata incantevole e Elena si chiedeva perché la natura gioisse mentre
ella fosse allo stremo delle forze. In lontananza, aldilà del parco,
scorse una piccola chiesa. Era sempre stata lì ma non l’aveva mai
notata. Volle raggiungerla e Giorgio ve la condusse. L’intenso odore
dell’incenso le piaceva molto, le ruote della sua carrozzina ruppero
quel silenzio solenne. Il suo volto fu illuminato dai raggi di luce che
filtravano dai mosaici dei finestroni. Si avvicinò all’altare e
contemplò l’imponente crocifisso scolpito in legno. Mai aveva guardato
un crocifisso dotato di tale intensità nell’espressione, per la prima
volta si rivelavano dinnanzi al suo sguardo le sembianze di un uomo
reale e vivo. Le sembrava che il sangue scorresse davvero dalle mani,
dalla fronte e dal costato; rabbrividì. Il crocifisso sembrava
guardarla. Elena provò un profondo senso di riverenza, avrebbe voluto
inginocchiarsi, e per un istante aveva dimenticato di essere seduta
sulla carrozzina, e non appena si rese conto del suo ostacolo una
lacrima le bagnò il viso. Congiunse le mani e senza remore pregò come
non aveva mai fatto prima. Percepiva allora serenità e conforto, si
sentiva profondamente vicina a Dio. Quella soprannaturale visita le si
impresse indelebilmente nel cuore. L’estate avanzava e la sua salute
migliorava sempre di più. Era diventata un lottatore forte. E non era
sola a combattere: Dio era con lei. Non dimenticò mai il giorno in cui
il Dottor Manzi non poteva credere ai suoi occhi quando il referto delle
ultime analisi riportava dei valori perfetti. Nessuno immaginava cosa
fosse accaduto tra lei e Dio in quella chiesa così come adesso nessuno
degli invitati immaginava quale desiderio avrebbe espresso davanti alle
venticinque candeline.
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