mercoledì 21 gennaio 2015

provini - Dove io sono me, Oriana Tardo

Dove io sono me

Oriana Tardo 

 

L’aurora rischiarava le sagome dei palazzi della città. Iniziava ad albeggiare e una luce brillante rendeva tutto più definito, netto. La notte stava ritirando veloce il suo buio, come se il sole prepotente volesse scacciar via le tenebre. Elena socchiuse gli occhi e respirò a fondo l’aria ancora frizzante della notte. «E’ ora di muoversi», disse.

 

Guardò un’ultima volta quel balcone lassù, quello della camera da cui era fuggita. Una notte spezzata a metà. Aveva fatto scivolare piano le lenzuola per alzarsi dal letto, senza svegliare l’uomo che le si era addormentato a fianco. Fu assalita dalla paura, la paura di restare. Decise che doveva andarsene prima che lui si svegliasse, alle prime luci del mattino. Giunse a casa col fiatone, il cuore palpitava ancora e non sarebbe riuscita a prender sonno. Così, afferrò carta e penna per mettere a tacere le sue sensazioni caotiche, lasciandole scivolare fuori, sul foglio bianco…
Non so più distinguere la paura dalla bellezza che, con fare incerto, si muove intorno a noi. Non so più se la paura ha il sapore amaro di non averti o se ne assaporo l’eccitante scoperta senza fine, un continuo toccarsi senza mai raggiungersi. Non so più se chiamare paura la tua bocca che mi prende a morsi, e sbrana le labbra chiuse della mia anima, o chiamarla estasi. Vorrei non sentirmi bruciare nel frastuono delle tue carezze, vorrei non ritrovare la mia pelle in frammenti, strappata, pezzo per pezzo, da questa maledetta passione. Sento il mio corpo vibrare contro il tuo, confondendo piacere e dolore. Li sento entrambi prendermi mentre piango. Piango bellezza e dolore, l’immagine sfocata di un dolore che non conosco, ma forse non è dolore, è solo paura che di dolore si veste. E’ come trovarmi a un passo da me, forse la mia ombra proiettata in avanti, buia e vuota, che solo la luce tratteggia e rivela. Piacere e dolore, entrambi li piango sentendomi viva, con la paura di desiderarli ancora, e ancora. Ferirmi e leccarne la dolcezza. Cosa sei? Non so più distinguere i mostri dagli angeli, e tu non sei l’uno nè l’altro. Sei ciò che non so, l’altalena degli opposti, sei la culla dell’incertezza che mi addormenta nei boschi, e dondoli come un pendolo che mi ipnotizza. Sei uno stato ipnotico che si prende la mia voce, i miei movimenti. Ti sei preso i miei fogli e le mie dita e solo adesso riesco a liberarli.
Un salice piangente è la mia metamorfosi, ho mille braccia che avvolgono il mio corpo a proteggerlo, fronde che smuovi soffiando con leggerezza, e tendo sempre più a incurvarmi, tocco la terra con la punta delle dita, foglie che dondolano. Sono piegata, come un tronco immobile, mentre agito le braccia e i capelli vi si confondono.
Mi risveglio dalle metafore e torno a scriverti, scrivo perché non c’è tempo per parlare. Sembra fuggire il tempo di esserci, mi prendi muta e indifesa. Sembra sfuggire il tempo di concedersi e aspettare, perché il tempo non è fuori di noi e noi siamo l’attesa. Così non c’è tempo per nient’altro, perché siamo nient’altro.
Mi vuoi? Dove sono me o dove sono nient’altro?
Quando il tempo si è fermato al nostro passaggio, tu eri già fuggito. Correvi lontano, eri già andato via. Ho visto il tempo inseguirti senza mai raggiungerti. Ed io rimanevo tra lui e te, rimanevo lì a guardarvi, tenendo in mano una peonia nera. Non cercavi una primula nera ed io non ho trovato ancora il tuo cosmos atrosanguineus. Reggo una peonia nera, in attesa che il tempo ritorni e restituisca i fiori all’autunno.
Anche tu smetterai di fare confusione? Smetterai di giocare a nascondino? Smetterai di accarezzare i capelli alla tua bambola sul letto? Vuoi giocare ancora con lei o guardare i miei occhi? Mi riconosci? Vuoi farmi a pezzi e ricompormi? Ferirmi e ricucirmi? Vuoi dipingere la mia pelle bianca e farmi nodi fra i capelli? Vuoi giocare a svestirmi, guardarmi nuda e prendermi, poi rivestirmi? Vuoi giocare a spaventarmi?
Vuoi andartene o restare? Vuoi ingoiare le mie lacrime? Ma quali lacrime? Quelle degli occhi cambieranno sapore di volta in volta, se sai raggiungerle. Quelle che scendono sotto il monte di Venere le hai già prese e riprese, quasi ti appartengono, incatenate alle tue labbra, alle tue mani. Inarrestabile spasmodica attrazione, non riesco a sottrarmene e ne sono pervasa totalmente. Questo sai mi spaventa. E tu, tu non affilare la lama. Ti prego, non uccidermi. Non ancora. Vuoi ancora dormire sul mio seno? Sai, cominci a pesarmi sul cuore, prendilo o finirò per ucciderti.
Finiamo sempre per parlare degli altri, del mondo, dell’assurdo, e di noi si prende gioco il silenzio. Due burattini muti, sono stanca e non mi muovo. Sono schiava del silenzio e aspetto di sciogliere queste catene, come nodi fra i capelli, quando tornerò a pettinarli. Parole non dette e parole dette al vento che le restituisce falsate.
Cosa sento? Non sento. Sento solo che barcollo cercando di non cadere, in equilibrio instabile, da sempre. Vivo in un labirinto di specchi, dove non riconosco più me, per distinguerne le immagini riflesse. Moltiplicandosi esse si sono staccate da me e, forse per paura di perdermi, le ho spedite tutte a cercare la via d’uscita. Ma io, io mi sono fermata ad aspettare che una di esse tornasse a prendermi. Nell’attesa mi sono confusa tra loro, perché ciò che vedo è la mia proiezione declinata all’infinito.
Così voglio questo e quello, sento freddo e caldo, brividi e tepore, piacere e dolore. Sono il bianco e il nero, voglio il rosso e il blu, abbraccio l’aurora e il crepuscolo, aspettando l’imbrunire come un albore, vivo nel sole e mi vesto di luna. Ti voglio e ti respingo, ti perdo e ti aspetto, ti chiedo e non ti ascolto, ti sento e non chiedo altro, sei con me e contro di me, sei qui e lì, sei dentro di me. Paura. Non è altro che paura. Credi di salvarmi? Mi ucciderai o ti ucciderò. O entrambi ci risparmieremo. Dondola con me perché scrivo inventandoti, tramando una storia che non c’è. Come un’isola vergine, costruisco visioni, mi arrendo. Stento a crederti, ma amo le tue favole. Sto ancora aspettando la realtà. Raccontami il tuo dolore, sputa i desideri, sputameli addosso. Vorrei ingoiare le tue paure, se solo le conoscessi, potrei confonderle con le mie, se solo le conoscessi. Vieni con me, dove io sono me.

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