mercoledì 21 gennaio 2015

provini - Una carezza d'amore, Barbara Pedrollo


Una carezza d’amore
Barbara Pedrollo



L’aurora rischiarava le sagome dei palazzi della città. Iniziava ad albeggiare e una luce brillante rendeva tutto più definito, netto. La notte stava ritirando veloce il suo buio come se il sole prepotente volesse scacciar via le tenebre. Elena socchiuse gli occhi e respirò a fondo l’aria ancora frizzante della notte. «È ora di muoversi», disse. 
 
Aprì la porticina e immediatamente tre musi le si avvicinarono accogliendola come ogni giorno, lei li accarezzò accucciandosi verso di loro. Adesso stavano bene, ma quando erano arrivati lì erano in condizioni penose. Jack il più anziano aveva ancora il corpo ricoperto di cicatrici, ma aveva imparato ad avere ancora fiducia nell’essere umano. Marlon era un incrocio con un segugio e aveva appena due anni, ma l’avevano abbandonato perché si erano semplicemente stufati di lui. Aveva sempre uno sguardo perso e spesso sbatteva la testa contro la rete della gabbia, voleva la libertà e una famiglia che lo amasse sul serio. Gli avevano tolto la voglia di vivere, perché essere abbandonati significava morire lentamente ogni secondo. Poi c’era Schizzo un Pittbull che avevano salvato dai combattimenti clandestini di cani. La prima volta che Elena l’aveva visto era scoppiata a piangere, il corpo del cane era ridotto a un ammasso di carne piena di sangue. Ma anche per lui c’era stata un’altra occasione, i volontari del rifugio l’avevano curato e non erano state solo le cure mediche a farlo guarire ma soprattutto l’amore che giorno dopo giorno gli avevano donato. Elena si rialzò, loro incominciarono a scodinzolare pieni d’amore e di riconoscenza. Pulì la gabbia e riempì le loro ciotole, i cani abbassarono le teste e iniziarono a mangiare. Richiuse con cura la gabbia guardandoli ancora una volta, poi passò a un’altra gabbia con degli altri ospiti. Faceva la volontaria nel rifugio per randagi della sua città da ormai tre anni e ne aveva viste di tutti i colori, ma nonostante questo si recava ogni giorno puntuale ad aiutare quelle creature fatte d’amore. Quando stava a contatto con quei cani si sentiva davvero bene, era nella sua dimensione. Si sentiva più in sintonia con loro che con le persone, perché i cani ti accettavano così com’eri con pregi e difetti senza giudicare, senza volerti cambiare, amavano incondizionatamente. Lei non era come la maggior parte delle ragazze della sua età, a vent’anni aveva le idee chiare, sapeva bene cosa avrebbe fatto da grande. Il suo sogno più grande era quello di diventare una veterinaria, sin da bambina il suo unico pensiero era quello di aiutare gli animali. I suoi genitori non erano entusiasti di quella scelta, preferivano un altro tipo di lavoro. Ma lei andava dritta per la sua strada, seguendo solo e unicamente il suo cuore. E il suo cuore le diceva di inseguire il suo sogno e di salvare più vite possibili. Fare la volontaria non era sempre facile, c’erano dei giorni in cui la morsa al cuore era talmente forte da impedirle il normale svolgimento delle mansioni. C’erano volte in cui avrebbe voluto poterli aiutare tutti, dal primo all’ultimo. Alle volte si soffermava a guardare i loro occhi e allora si perdeva nel loro infinito dolore, erano stati abbandonati, maltrattati, odiati eppure volevano solo poter amare ancora. Il momento più bello era quando i cani uscivano dalle gabbie per poter fare la loro passeggiata quotidiana, potevano assaporare per un solo breve momento la libertà. Quando li guardava correre e giocare insieme li vedeva davvero contenti, come se tutto il male che gli avevano fatto fosse svanito. Era incredibile come con una sola carezza, con un solo gesto d’affetto riuscissero ad amare di nuovo. Ogni tanto si recava davanti al box dei cani appena arrivati al rifugio, quelli che erano stati salvati da poco. Alcuni erano rintanati dentro le cucce di legno, e l’unica cosa che si scorgeva erano i nasini che sbucavano dall’apertura. Altri invece grattavano la rete per uscire ancora carichi di mille speranze. La cosa che la faceva soffrire di più era di non poterli portare a casa tutti quanti. Ma quella mattina si era alzata all’alba con il pensiero martellante di adottarne uno. Quando finì il suo giro andò davanti alla gabbia dei nuovi arrivi e appena aprì la porticina un piccolo meticcio completamente nero iniziò a saltare facendole le feste. Aveva due occhi color nocciola chiari e limpidi dove si poteva leggere tutto l’amore di cui era capace. Appena Elena lo accarezzò, sentì che c’era un’energia forte e particolare che stava scorrendo tra di loro. Era quasi una magia, come una scintilla di puro calore. Era come se il destino li avesse fatti incontrare e, Elena credeva fermamente nel destino. Nulla accadeva per caso, quel piccolo cane nero era un regalo del fato. Lo prese in braccio stringendolo a sé, non avrebbe più sofferto, non avrebbe più patito la fame e il freddo. Adesso avrebbe avuto una famiglia in grado di amarlo per sempre. Erano due anime che si erano riconosciute legate da un filo invisibile ma tangibile. Elena lo guardò ancora un attimo, poi lo portò fuori dalla gabbia e si accorse solo in quel momento che il sole era già alto nel cielo. Lo accarezzò ancora, adesso era davvero felice.

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