mercoledì 21 gennaio 2015

provini - La campana, Francesco Piscitelli

La campana 

Francesco Piscitelli

 
L’aurora rischiarava le sagome dei palazzi della città. Iniziava ad albeggiare e una luce brillante rendeva tutto più definito, netto. La notte stava ritirando veloce il suo buio, come se il sole prepotente volesse scacciar via le tenebre. Elena socchiuse gli occhi e respirò a fondo l’aria ancora frizzante della notte.
“E’ ora di muoversi”, disse.

Poggiò con delicatezza la mano sulla maniglia della porta, senza girarla. Ebbe un attimo di esitazione, poi si voltò di scatto per dirigersi in cucina, dove si assicurò che la manopola del gas e i rubinetti del lavello fossero ben chiusi. Ripeté l’operazione tre volte prima di spostarsi con passi corti e rapidi verso il bagno, per ispezionare lavabo e doccia. Sospirò. Passò davanti lo specchio nel corridoio e vi sostò il tempo di sistemarsi con una mano la frangia, col timore che qualche segno di acne sulla fronte fosse visibile. Tornò verso l’ingresso e aprì la porta, varcando la soglia solo quando la lancetta dei secondi dell’orologio si sovrappose a quella dei minuti. Chiamò l’ascensore, pigiando cinque volte il dito sulla pulsantiera. Giunta al piano terra percorse l’androne dello stabile prestando attenzione a impiegare sette passi esatti sino al portone.
«Forza, Elena» sussurrò socchiudendo gli occhi, uscendo. Si incamminò spedita verso la metropolitana, nella città che non si era ancora del tutto svegliata. Aveva quasi raggiunto l’ingresso delle scale quando si bloccò di colpo, come se qualcuno le avesse intimato di fermarsi. Un terribile sospetto le attraversò la mente, la mano in modo inconscio andò nella borsa a tastare il mazzo di chiavi: non ricordava se avesse chiuso la porta dell’appartamento. Mentre cercava di rammentare abbassò lo sguardo e il viso le sbiancò di colpo. Alzò la testa e guardò altrove sperando di aver visto male. Con il cuore che accelerava i battiti, tornò con lo sguardo sulla propria scarpa e si rese conto che aveva commesso una imperdonabile leggerezza. Nel fermarsi, non si era avveduta di aver lasciato che il piede sostasse sulla fuga tra due mattonelle. Sentì il principio di un mancamento come in seguito a un attacco di panico, mentre si voltava in cerca di un soccorso che nessuno poteva darle. Un motociclista fermo al semaforo la osservò, incuriosito, poi l’illuminarsi del verde lo portò via da quella scena. Un uomo distinto le passò accanto. Le rivolse un’occhiata veloce e passò dritto. Elena era sola, come sempre, alla prese con il proprio dramma interiore.
«Con quale piede?» disse il bambino con gli occhiali, guardando le linee disegnate con espressione corrucciata.
«Quello che vuoi, scemo!» urlarono le due gemelle dai capelli rossi. La calda giornata di settembre consentiva attività all’aperto nel cortile della scuola d’infanzia. Elena osservava i propri nuovi compagni che si divertivano. Quello della campana era il gioco che più la intrigava.
«Dai Elena, va’ a fare amicizia con qualcuno» disse la maestra, rivolta alla piccola, accompagnando le parole con una leggera carezza di incoraggiamento.
Elena si avvicinò al gruppetto che circondava il tracciato di gesso. Procedeva con passi lenti, la testa abbassata e le braccia lungo i fianchi, con le mani chiuse a pugno che stringevano il grembiulino. Il bambino con gli occhiali, saltellando, aveva intanto appena completato il percorso. Una delle gemelle notò la nuova arrivata e la indico all’altra, sussurrando qualcosa.
«Vuoi giocare?» disse poi rivolta a Elena.
Elena rispose con un cenno del capo.
«Prendi un sasso!» esclamò un altro.
Si chinò a raccogliere un sassolino da terra. Nel piegarsi, la gonnellina le si alzò leggermente mostrando la biancheria e uno scoppiò di risa generale sottolineò la cosa. Lei sobbalzò e si coprì d’istinto con la mano, rossa in viso. Lanciò la pietra nella prima casella e si apprestò a saltare, incerta e malferma sulle esili gambe.
«Com’è imbranata!» disse quello con gli occhiali.
Avrebbe voluto fuggire per la vergogna di essere sotto gli occhi di tutti, pronta a essere giudicata. Oramai non era più un semplice gioco, ma un rito di iniziazione, riuscire nell’impresa avrebbe significato acquisire valore agli occhi dei nuovi compagni. Saltò verso la seconda casella. Anche quell’ostacolo era superato. Alla terza casella, purtroppo, fallì nell’atterrare in modo corretto, fermandosi con un piede sulla linea di gesso tra due caselle.
«Ha sbagliato!» disse uno dei bambini, indicandola col dito. Altre risate investirono Elena.
«Piede sulla fessura, aria di sepoltura!» esclamarono all’unisono le gemelle.
Elena avrebbe voluto scomparire. Osservava i compagni con aria smarrita, come a interrogarli sulla gravità dell’errore appena commesso.
«Piede sulla fessura, aria di sepoltura!» continuavano a ripetere le due bambine. Al coro si unì il resto del gruppo.
«Ora sei maledetta!» disse un altro bambino, con un sorriso beffardo.
Mentre la macabra cantilena continuava, Elena fuggì via in lacrime, rimproverandosi per essere stata così goffa e col timore di una disgrazia incombente. Nei mesi successivi non dimenticò l’accaduto, vivendo col terrore che prima o poi ne avrebbe pagato le conseguenze.
L’anno successivo sua madre perse la vita in un incidente stradale. Durante il funerale il pensiero di Elena corse a ricollegare il tragico evento con la maledizione della campana. Non riusciva a perdonarsi per non aver affrontato con la dovuta attenzione quella prova e rimproverava ai compagni di non averla messa al corrente del pericolo cui si stava esponendo, in quell’occasione. “Piede sulla fessura, aria di sepoltura”, la frase che in modo ossessivo continuava a sentire nella mente.
Ripensò a quegli avvenimenti continuando a restare ferma nella identica posizione, con il piede sulla fuga della mattonella. Le strade cominciavano a popolarsi, le persone osservavano quella ragazza immobile sul marciapiede con un misto di curiosità e divertimento. Un ragazzo le gettò una moneta, come si fa con un’artista di strada che si prende gioco dei passanti. Uno scherzo, come quello che aveva imprigionato la mente di Elena per venti anni e che ora la costringeva a bloccarsi anche nel corpo. Il cerchio si chiudeva.

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