mercoledì 21 gennaio 2015

provini - Vigevano, Bianca Fasano


Vigevano
Bianca Fasano

L’aurora rischiarava le sagome dei palazzi della città. Iniziava ad albeggiare e una luce brillante rendeva tutto più definito, netto. La notte stava ritirando veloce il suo buio, come se il sole prepotente volesse scacciar via le tenebre. Elena socchiuse gli occhi e respirò a fondo l’aria ancora frizzante della notte.

“E’ ora di muoversi”, disse.

Ma non ne aveva nessuna voglia. Andò verso lo specchio nel piccolo bagno dell’albergo dove si era fermata una settimana e se lo ridisse, guardando se stessa, i suoi occhi che le sembravano come nuovi:- “Dai, Elena, è proprio ora di muoversi. Doveva ritornare nella sua città: Milano. Il lavoro l’attendeva. Si era nascosta al mondo per qualche giorno allo scopo di digerire la sua delusione per il tradimento del marito, ma non avrebbe potuto sfuggire per sempre.

Niente computer, reso silenzioso il cellulare, la sorella l’avrebbe data per morta. Ma non le importava nulla. Dieci anni di matrimonio senza figli e poi scoprire che Paolo aveva una donna, “altrove” e che quella donna gli aveva dato un erede: un maschio di nome Marco. Se l’era trovata davanti all’uscita del posto di lavoro (era traduttrice dal Giapponese, per una casa editrice), bionda, esile, dall’aria smarrita, un po’ pallida in volto. Si chiamava Luisa. L’aveva fermata senza troppe cerimonie: “Tu sei Elena?”- “Sì, mi dica…”. E lei aveva detto. Di Paolo, della loro storia che durava da tre anni, del bambino nato da sette mesi, che aveva gli occhi azzurri del padre…e… Sì, anche che aveva provveduto a fare le analisi per accertarne la paternità. Poi era arrossita :-“No, io dubbi non ne avevo, ma Paolo, si sa, avrebbe anche potuto credere che non fosse suo…”. Arrossita fino alla cima dei capelli, che aveva di un biondo tenero. Non era riuscita ad odiarla neanche per un attimo. Soltanto le aveva chiesto:-“ Perché mi dice tutto questo?”. E lei, pronta:-“Perché Paolo ama lei e non la lascerà mai se non sarà lei a lasciarlo”.

Già. Non l’avrebbe lasciata. Che dolce marito! Tre anni con un’altra donna, l’attesa di un figlio e, nel contempo, a fare l’amore con lei con la passione di sempre, ad accompagnarla in giro nel suo lavoro in quanto “lui era geloso”. A riempirla di regali. Lui l’amava.

Però, per qualche momento, l’aveva assalita l’idea che la donna fosse una bugiarda e che tutto fosse frutto soltanto di una vendetta di qualche nemico di Paolo. Lui. giudice, di nemici ne aveva tanti. Si era illusa unicamente qualche istante. Luisa aveva precisato subito: -“venga a casa da me, mi perdoni, ma deve farlo. Le farò vedere le foto che abbiamo scattato assieme, vedrà che nel certificato di nascita di Marco c’è il cognome di suo marito.”-. Ci era andata. Anzi, aveva preso l’auto dal garage ed erano andate assieme, in periferia, fino a Milano tre. Una bella galoppata in auto, con lei zitta ed il tom tom che le indicava la strada. Trovarono parcheggio, entrarono in un portone, salirono nel piccolo appartamento dove viveva la donna e lei vide: le foto del marito assieme a Luisa, il marito con il piccolo in braccio, l’interno della casa con il letto a due piazze e, nell’armadio, la camicia del marito che non le riusciva più di trovare, le calze nei cassetti, gli slip, il sapone da barba nel bagno…

Vide. Luisa le camminava a fianco come uno zombi, cercando di comprendere le sue emozioni, scrutandola ansiosamente, come se la sua vita dipendesse da lei. –“Ha il suo numero di cellulare”? Chiese, con un dolore sordo alla bocca dello stomaco. –“Sì”: Rispose lei. –“Lo chiami”-. Lei lo fece, mettendo il “viva voce” e le permise di riconoscere subito la voce vellutata del marito. Lei gli parlò del bambino, disse che a breve sarebbe andata all’asilo a penderlo. Lui domandò come stesse e promise che in serata li avrebbe raggiunti con delle pizze ed il latte per il biberon.

Logico: sapeva che la moglie, quella sera, sarebbe stata fuori sino a notte per l’incontro con un autore. Era libero.

Così Elena aveva compreso che la giovane donna bionda non le raccontava favole. Per scrupolo controllò il numero di cellulare: esatto. Poi l’accompagnò a prendere il piccolo all’asilo: doveva vedere anche lui. Piccolo davvero. Magrolino e biondo come la madre, non assomigliava affatto a Paolo e questo le diede una stupida sensazione di gioia subito sedata. -”Che cosa farà?”. Le chiese Luisa rientrando a piedi verso casa, spingendo nel passeggino il piccolo irrequieto. –“Vuole che dica che glielo lascio? Non sono certamente io a decidere. Io posso decidere soltanto di lasciarlo perché l’uomo che lei ama io non lo conosco. E’ un’altra persona. Dovrò lasciarlo per forza, ma poi sarà lui a decidere cosa vuole per sé, per suo figlio, per voi due…”- “Lei è una donna straordinaria!”. Sussurrò l’amante del marito. Non poté più restare, girò le spalle e corse a prendere l’auto. Quel giorno non era ritornata a casa e, con i soli abiti indosso, dopo essersi liberata telefonicamente dal lavoro scusandosi per un problema di famiglia, si era allontanata da Milano. Circa una settimana, in un piccolo albergo di Vigevano. Il padre, che aveva sempre potuto permettersi molto, le diceva, da piccola: -“Se hai denaro non ti servono valigie. Compri tutto sul posto”. Così aveva fatto. Circa cinquanta minuti di viaggio e qualche giorno come il fantasma di una turista ad aggirarsi per le strade, dove le scarpe non mancavano. Ne comprò sei paia. Visitò il Castello Sforzesco chiedendosi se il marito la stesse cercando, disperato. Forse Luisa gli aveva raccontato… forse no. Malgrado il crampo allo stomaco, in quei giorni divorò di tutto nei ristoranti del posto. E bevve spumante. Le piaceva e le rendeva il sonno della notte meno difficile. Visitò la Torre del Bramante, raggiungendo a piedi il punto più alto della città e volse lo sguardo sullo splendido panorama che vi si godeva. Visitò il Piazza Ducale e seguì un gruppetto di inglesi la cui guida parlava del Bramante che l’aveva progettata e di Ludovico il Moro che ne aveva deciso la realizzazione. Pensò che tanta gente nel tempo era nata, aveva vissuto ed era morta. Pensò che anche lei sarebbe sopravvissuta e un giorno sarebbe morta. Senza lasciare un figlio, mentre il marito… Fu nel Duomo che comprese come fosse giusto lasciare a Paolo la decisione. Non avrebbe potuto farlo lei. Così, quell’ultimo giorno, riprese in mano il cellulare che trovò pieno di telefonate del marito e messaggi disperati, sempre di lui. Lo chiamò, schiarendosi la voce, prima di rispondere al suo -“Pronto, Elena, dove sei? Stai bene?” – “Sono a Vigevano, rientro questa sera. Ci vediamo a casa. Dobbiamo parlare.”-

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