mercoledì 21 gennaio 2015

provini - Rinascita, Valerio Zavaglia

RINASCITA

Valerio Zavaglia

 
L’aurora rischiarava le sagome dei palazzi della città. Iniziava ad albeggiare e una luce brillante rendeva tutto più definito, netto. La notte stava ritirando veloce il suo buio, come se il sole prepotente volesse scacciar via le tenebre. Elena socchiuse gli occhi e respirò a fondo l’aria ancora frizzante della notte.
“E’ ora di muoversi”, disse. 
 
Si alzò dal letto ma un giramento di testa improvviso la costrinse a stendersi nuovamente. Chiuse gli occhi e respirò a fondo. Tentò nuovamente di alzarsi, questa volta lentamente. Seduta sul bordo del letto fece vagare lo sguardo per la stanza. Alla sua sinistra la porta di noce che conduceva fuori, nel corridoio dell’hotel, a destra – invece – quella socchiusa del bagno. Una lama di luce filtrava dallo spiraglio lasciato aperto. Elena si passò una mano tra i capelli e ripensò alla sera prima, a lui. Era una sabato sera come altri, senza pensieri né preoccupazioni, una serata all’insegna del divertimento. Era seduta nel locale, uno dei migliori della movida romana, quando si era avvicinato. Era affascinante e dai modi che la maggior parte degli uomini aveva dimenticato. Aveva chiesto se poteva offrirle da bere, lei aveva accettato. Tra un Cosmopolitan e un Martini avevano cominciato a parlare, lanciandosi in una fitta conversazione che li aveva estraniati dal mondo. Il suo profumo le dava alla testa e i cocktail che continuava a mandar giù non l’aiutavano a restare lucida. Un argomento dopo l’altro, parola che segue parola, si era trovata a seguirlo in macchina: una berlina più nera della notte. Si erano allontanati da quella musica, da quella gente che muoveva i corpi a un ritmo frenetico. Si erano allontanati, i fari allo xeno che fendevano l’oscurità. Erano arrivati davanti a un hotel. Lui, veloce, era sceso e le aveva aperto la portiera, tendendole la mano. Entrarono nell’hotel, nell’ascensore e poi nella stanza. Le offrì da bere e lei non mancò di accettare. Quello che seguiva era confuso, annebbiato dal troppo alcool. Ricordava le labbra fredde che le percorrevano il collo, le mani abili che le toglievano il vestito e si andavano a posare sui seni, stringendoli. Ricordava quell’uomo così affascinante sopra di lei, dietro di lei. Poi il nulla. Ora, seduta sul bordo di quel letto, aveva un leggero mal di testa e una voglia impellente di pisciare. Si alzò e attese qualche secondo, i piedi scalzi sulla moquette, per assicurarsi che qualche simpatico giramento di testa non l’avrebbe stesa dopo il primo passo. Quando fu sicura di essere abbastanza stabile si avvicinò alla porta del bagno e picchiò le nocche sulla porta. “Marco sei lì dentro?” domandò.
Nessuna risposta.
Spinse la porta ed entrò. Il bagno era vuoto, nessuna traccia della presenza dell’uomo. Andò al wc e urinò. Mentre si voltava per tirare lo sciacquone rimase di sasso. Del sangue riempiva la tazza e dell’altro le colava tra le cosce, andando a macchiare il pavimento. Trattenne un urlo.
“Andiamo, saranno delle perdite dovute al rapporto” pensò, cercando di rassicurarsi. Ma il sangue perso era tanto, troppo.
Si chinò per tirare la catena e una fitta atroce all’addome la lasciò senza fiato. Si portò la mano al ventre e quello che sentì la terrorizzò ancor più del sangue.
Era gonfio.
Poi un’altra serie di fitte la costrinsero a terra. Si trascinò alla parete e guardò la pancia gonfiarsi in maniera inquietante. La pelle, fredda e dura, era irregolare. Altre fitte, ancor più violente di prima, la fecero urlare. Poi, sotto la sua mano, sentì qualcosa muoversi prima lentamente e poi sempre più veloce. Il dolore crebbe d’intensità mentre quella cosa dentro di lei cresceva. Il suono sinistro delle sue ossa che si spezzavano la fece entrare nel panico. Iniziò a urlare con tutto il fiato che aveva mentre il ventre le si stava lacerando dall’interno. Elena iniziò a piangere. Non voleva morire, non in quel modo. Urlò, fino a soffocare con il suo stesso sangue. Con le ultime forze mosse lo sguardo verso il ventre devastato e gli occhi, prima di spengersi, le si colmarono d’orrore. 
 
******
Marco entrò nella stanza, sapeva che era tutto finito. Osservò il letto, dove poche ore prima aveva fottuto quella puttana, e si diresse nel bagno. La scena che vide lo eccitò. Il pavimento e i muri erano sporchi di sangue. Riversa a terra, come una bambola di pezza, c’era Elena. Marco si avvicinò, colmo di piacere e gioia nel vedere la creatura seduta sulle gambe del cadavere. Aveva le fattezze di un neonato. Gli occhi neri e famelici, la pelle bianca macchiata di sangue. In una mano grassoccia reggeva gli intestini della troia, se ne cibava.
Era magnifico.
Il bambino mosse la testa e puntò gli occhi neri su di lui, attirato dalla sua presenza. Marco, veloce, poggiò un ginocchio per terra e s’inchinò.
 
“Bentornato mio Signore”disse.

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