mercoledì 21 gennaio 2015

provini - Abbraccio mortale, Angela Catalini



ABBRACCIO MORTALE
Angela Catalini

L’aurora rischiarava le sagome dei palazzi della città. Iniziava ad albeggiare e una luce brillante rendeva tutto più definito, netto. La notte stava ritirando veloce il suo buio, come se il sole prepotente volesse scacciar via le tenebre. Elena socchiuse gli occhi e respirò a fondo l’aria ancora frizzante della notte. – E’ ora di muoversi – disse.

Walter raccolse lo zaino e se lo mise a tracolla. – Come la signora comanda – rispose.

Elena gli lanciò un’occhiata di rimprovero. – Ricordati che se siamo qui è anche colpa tua.

Si avviarono lungo il viale senza guardarsi, bisognava fare in fretta perché la luce durava pochissimo in quella stagione e trascorrere la notte allo scoperto poteva essere fatale.

Prima di superare il ponte Elena inforcò gli occhiali a raggi gamma che le permettevano di vedere se c’era qualche forma di vita nei paraggi. Fece un giro completo su sé stessa poi disse: – Libero.

Attraversarono il ponte girandosi spesso. Walter aveva tolto la sicura alla pistola che portava legata alla cintura.

Non so – disse il ragazzo. – Ho la sensazione che qualcuno ci stia spiando, non sono tranquillo.

In questo caso – rispose Elena – sarà bene affrettarci. Io direi di fare il resto della strada di corsa. Non mi piace tutto questo silenzio.

Walter annuì, le prese la mano e la precedette.

Una volta superato il ponte iniziava la città vecchia, le strade erano piene di calcinacci, rifiuti, pezzi di muraglioni venuti giù durante il bombardamento. I palazzi, o ciò che ne restava, si erano riempiti di arbusti che si insinuavano ovunque, nelle finestre divelte, nelle crepe, sui tetti sfondati.

La corsa di Elena e Walter si interruppe davanti al palazzo Presidenziale.

Incredibilmente era l’unica costruzione ancora intatta, il marmo bianco splendeva sotto i raggi del sole facendogli assumere un’aria sinistra.

“Sembra una lapide” pensò Elena.

Walter gli passò lo zaino. – Un solo tentativo – le disse.

Elena prese il cellulare e lo tenne stretto tra le mani. – Ti prego, non ci deludere.

Walter le fissò le labbra più a lungo di quanto avrebbe dovuto. – Dai, Ele, ormai ci siamo.

Vide che lei aveva gli occhi colmi di lacrime e per un istante pensò di abbracciarla. Ma poi scacciò quel pensiero, sapeva che legata ad un altro.

Il segnale del cellulare era debole, la luce che segnalava l’accensione lampeggiava. Elena provò ad alzarlo, sopra le loro teste, si arrampicò sulla carcassa di una macchina e tese il braccio verso l’antenna centrale.

Ma non accadde nulla.

Quando il dolore al braccio divenne insopportabile, scese e si accasciò sul marciapiede. – Siamo isolati. Fuori da ogni rotta. Non ci troveranno mai!

Walter si sedette accanto a lei e le prese di nuovo la mano. Elena non si sciolse da quel contatto, ma restò rigida.

Non gli perdonava di aver perduto la radio e di aver lasciato che la loro automobile fosse inghiottita dal burrone. Da quando si erano separati dagli altri, per andare in ricognizione, lui aveva fatto un’errore dopo l’altro e il risultato era stato quello di averli divisi dal gruppo. Probabilmente non avrebbe più rivisto la sua famiglia né il suo ragazzo.

L’antenna del palazzo presidenziale era l’unica in decine di miglia, la sua speranza era quella di ricevere un giorno, in qualche modo, un segnale.

Non poteva sapere che l’antenna era spezzata, Walter aveva usato l’unico colpo in canna della sua pistola per distruggerla.

A lui importava solo di stare con lei, a qualunque costo.

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