mercoledì 21 gennaio 2015

provini - Il sole mi ucciderà, Tiziana Carrato

Il sole mi ucciderà

Tiziana Carrato



L’aurora rischiarava le sagome dei palazzi della città. Iniziava ad albeggiare e una luce brillante rendeva tutto più definito, netto. La notte stava ritirando veloce il suo buio, come se il sole prepotente volesse scacciar via le tenebre. Elena socchiuse gli occhi e respirò a fondo l’aria ancora frizzante della notte. <<E’ ora di muoversi>>, disse.

Iniziò a correre, aveva poco tempo, ma ne era valsa la pena. La luce del sole non le lasciava tregua, la stava inseguendo come il gatto col topo, e in quel frangente lei era la preda. Pochi metri la separavano dalla salvezza, il cuore le batteva a mille, respirava a fatica per lo sforzo, i muscoli delle gambe le bruciavano. Doveva farcela, non era questo il suo destino. I raggi solari illuminarono ogni centimetro del quartiere e Elena si catapultò in casa appena in tempo e le tenebre l’avvolsero. Ansimava piegata in due con le mani sulle ginocchia, non era abituata a scappare, era sempre molto attenta all’ora, non voleva di certo morire. Quella notte, però, qualcosa, o meglio qualcuno, l’aveva trattenuta, in realtà le aveva fatto perdere la cognizione del tempo. Quando si accorse della luce che iniziava a divorare l’oscurità era in una così totale estasi che la preoccupazione non la invase. Lui se ne era andato e lei era rimasta lì, senza parole ma con mille domande che continuavano a vorticarle per la testa anche mentre era accasciata a terra per la stanchezza. Al buoi, al sicuro.
Si svegliò urlando, era tutta sudata e sentiva che il cuore le stesse per uscire dal petto. Fece dei respiri profondi per calmarsi. Era solo un sogno, si ripeteva, solo un terribile incubo, niente di cui preoccuparsi. Si alzò dal grande letto a baldacchino po’ vintage, diceva lei, inquietante, lo definiva Mary, andò alla finestra e spostò le tende color pesca, sperando di vedere, oltre vetri oscuranti, il sole che cedeva il cielo alla Luna. Era il tramonto, aveva il tempo necessario per riprendersi dalla brutta dormita e farsi una doccia. L’acqua che cadeva dal soffione a cascata l’avvolse in un abbraccio, facendola rilassare completamente, ma il sogno continuava a tornarle in mente in scene agghiaccianti. Era sdraiata sul prato di un parco, non riusciva a riconoscerlo, le immagini era confuse, e guardava le stelle, poi improvvisamente scomparirono, come risucchiate da un buco nero, e spuntò il sole, senza il preavviso dell’alba, come se dalla mezzanotte, in un minuto, fosse già mezzogiorno. Lei cercava di muoversi per scappare, ma avevi tutti i muscoli bloccati, urlava e urlava mentre la luce le ustionava ogni centimetro del corpo fino a quando non si svegliò. Non era la prima notte che viveva quelle scene, ormai erano mesi che la tormentavano.
Uscì di casa con i suoi adorati jeans stretti, una canotta verde, il solito giubbotto di pelle e l’immancabile tracolla color cammello, non le importava l’abbinamento bizzarro di colori che era solita fare, chi l’avrebbe mai notati di notte? La sua giustificazione al suo poco gusto in campo vestiario. Una volta aveva tentato, guardando programmi alla tv sulla moda, di migliorare il suo abbigliamento, ma non era durata più di un giorno, preferiva fare dolci nel tempo libero.
Era primavera, l’aria frizzante della notte era così familiare, era diventata la sua compagna di vita. Il quartiere era illuminato da alti lampioni lungo i lati delle strade, c’era poca gente in giro, non era quel posto l’anima della città. Elena camminava con passo svelto, passando davanti ai soliti edifici, delle palazzine che avevano un aspetto macabro con quelle finestre buie, come se delle ombre si nascondessero all’interno. Perché si stava facendo prendere dalla paura? L’oscurità era la sua vita ormai, doveva smetterla di essere così paranoica, era la luce che doveva temere. Oltrepassò il supermercato all’angolo, l’unico che rimanesse fino alle nove di sera aperto, dove poteva fare tranquillamente la spesa, ma non quella sera, i suoi piani erano molto diversi, aveva un unico obiettivo, vederlo di nuovo. Sperava di rincontrarlo nel locale dove era stata la notte prima.
Era dentro L’Eclissi, la puzza di alcool, fumo e vomito era nauseante ma era così determinata a rivederlo che non ci fece molto caso. Avanzò tra la folla sulla pista a forza di spintoni e gomitate fino a quando non riuscì a raggiungere il bar. Un ragazzo tutto muscoli, con dei meravigliosi tatuaggi le sorrise da dietro il bancone, doveva ammettere che non era male con quel taglio di capelli irregolare, diciamo adatto al posto in cui lavorava. Elena gli sorrise di rimando chiedendo una birra, aveva bisogno di tranquillizzarsi, era nervosa, lui le metteva ansia, le faceva perdere il controllo della situazione e lei odiava quando le succedeva, ma aveva bisogno di risposte e lui sembrava averle tutte, anche se no era altrettanto disposto a condividerle con lei. Il motivo era questo, nient’altro, si stava ripetendo mentre il barista le porgeva una birra continuando a sorridere.
<<Cerchi qualcuno?>> le chiese mentre prendeva la birra con lo sguardo fisso sulla folla in pista.
<<Ehm…a dire il vero, sì. Sto cercando un ragazzo che era qui anche ieri notte.>>
<<Sai il suo nome? Conosco quasi tutti quelli che vengono qui, potrei aiutarti.>> le disse con un sguardo gentile.
<<Il suo nome…>> ripeté lei.
<<Sì>> confermò il ragazzo mentre serviva una ragazza dai capelli viola che si era seduta in uno sgabello del bancone.
<<Il fatto è che non ho idea di come si chiami, è alto, i capelli sono castani e ha gli occhi verdi.>> dissi con enfasi, sperando che lo riconoscesse, ma non era mica l’unico ragazzo con i capelli castani, quindi il barista mi congedò dispiaciuto di non potermi aiutare ma disponibile per qualunque altra cosa avessi avuto bisogno. Lo ringraziai e mi ributtai nella mischia cercando di raggiungere i divanetti. Era lì, accanto a due ragazze che strusciavano le loro viscide mani sulla sua camicia aperta quanto bastava per intravedere il petto scolpito. Perché doveva essere così attraente? Le dava terribilmente fastidio. Era decisa a parlargli, così gli di parò davanti urlandogli un “ehi”. Lui alzò la testa e la fissò come se cercasse di metterla a fuoco per ricordarsi chi fosse e poi sorrise, segno che l’avesse riconosciuta. Si alzò, lasciando quelle due da sole, e trascinò Elena fuori dal locale.
<<Ehi! Lasciami il braccio!>> le urlò lei.
<<Calma, calma. Volevo solo tirati fuori da quel postaccio.>> le disse indicando la porta dalla quale erano appena usciti.
<< Non mi sembra così terribile.>> ribatté lei, in tono di sfida.
<< Se vuoi tornarci, sei libera di farlo, non sarò certo io a fermarti. Ma non ti aspettare che ti segua.>>
<< Sembrava che ti stessi divertendo sul divano.>> disse Elena sarcastica.
<< Ti stavo aspettando.>> rispose lui e iniziò a camminare . << Hai intenzione di seguirmi o devo scriverti un invito?>>
<< Non sarebbe una cattiva idea.>> disse raggiungendolo.
<< Allora cosa vuoi sapere?>> Le chiese lui mentre attraversavano il parco.
<< Come ti chiami?>>
<< Non era questa la domanda che mi aspettavo…ma…James>>
<< Bene James, cosa sono io?>> le chiese lei, sostenendo il suo sguardo, con tono deciso.
<< Una creatura della notte.>> Le disse in un sussurro.

Nessun commento:

Posta un commento