mercoledì 21 gennaio 2015

provini - Il silenzio dell'indifferenza, Alessia Santorum


Il silenzio dell’indifferenza
Alessia Santorum

L’aurora rischiarava le sagome dei palazzi della città. Iniziava ad albeggiare e una luce brillante rendeva tutto più definito, netto. La notte stava ritirando veloce il suo buio, come se il sole prepotente volesse cacciar via le tenebre. Elena socchiuse gli occhi e respirò a fondo l’aria ancora frizzante della notte. <<E’ ora di muoversi>>, disse.

La città cominciava a scalpitare e la solita frenesia incurante stava per riprendere, Elena doveva riuscire a smontare tutto prima che il solito poliziotto scortese la trattasse come un animale e la spingesse via a malo modo, senza permetterle di raccogliere tutte le sue cose.

Elena, era il suo nome o forse no, non lo ricordava più dal giorno in cui nel pieno dell’ultima discussione con il capo ufficio aveva sbattuto la porta e, con la sua solita grinta, aveva rinunciato ad una brillante carriera come avvocato.

Uscendo da “quel dannato ufficio” aveva anche gettato il suo inseparabile cellulare in un secchione per sentirsi veramente libera, ma il destino per lei aveva in serbo ben altro, infatti, poco dopo si sedette su di una panchina al centro di Villa Borghese per rilassarsi un po’ e per godersi la sua nuova vita e si addormentò.

Al suo risveglio la luce fioca del pomeriggio aveva lasciato il posto al buio della notte e, soprattutto, la sua mente si era completamente svuotata ed Elena si era ritrovata senza più un’identità, né un effetto personale che potesse ricondurla alla sua precedente esistenza.

Si avviò in stato confusionale fino a che una “barbona”, chiamandola Elena, la invitò ad avvicinarsi al suo cartone e con la calma di chi impegni non ne ha e nemmeno né avrà, perché non possiede né agenda, né cellulare né orologio né tantomeno un lavoro, cercò di rassicurarla.

Elena era una donna splendida, elegante, intelligente ma la sua caratteristica principale era la forza d’animo, così dopo circa due settimane, era riuscita ad attrezzarsi e ad avere una “casa” tutta sua, raccontava ai suoi amici di processi in tribunale e di cause vinte, descriveva case sontuose e cene di gala ma non riusciva a collegarlo alla sua vecchia vita raccontava tutto come se lo avesse letto in un meraviglioso romanzo dove una splendida donna faceva carriera nel lavoro, sposava un uomo ricco e famoso e conduceva una vita piena ed appagante.

Tra gli oggetti che era riuscita a trovare c’era uno specchio nel quale riusciva a vedere solo il suo ritratto che ancora, malgrado la fame costante e la sporcizia in cui era costretta a vivere risultava assolutamente affascinante, aveva un qualcosa che in ogni caso la distingueva dagli altri, anche lo sporco sembrava donargli, la sua eleganza e grazia non venivano nemmeno scalfite.

Non pensava di aver avuto un marito, un lavoro, una famiglia perché si sentiva libera, la sua vita benché difficile era solo nelle sue mani, la mattina faceva il giro dei secchioni a bordo strada insieme alla sua amica Sandra dai quali riuscivano a trovare ogni cosa.

Ogni volta che trovava confezioni di cibo nemmeno aperte, bottigliette di succo appena assaggiato e poi gettate era una festa per lei e la sua carissima amica e si concedevano una cenetta sedute sul prato di Villa Borghese con la gioia negli occhi tipica di un bambino davanti ad un meraviglioso regalo.

Quando trovavano delle riviste di gossip, si sdraiavano sul prato e fingevano di essere delle turiste in vacanza nella più bella città del mondo e fantasticavano sugli abiti ed i gioielli delle attrici e modelle.

Si trovavano esattamente nella città più bella del mondo, dove le persone però sono troppo intente ad inseguire i loro progetti, da non accorgersi di lei, della sua amica e tutti quelli che per volontà o per casualità si ritrovano a vivere sulla strada a procurasi la spesa nei secchioni a specchiarsi nelle vetrine e dormire nei cartoni.

Ogni tanto erano prese e portate in centri di assistenza, dove venivano ripulite, sfamate e confrontate con foto di persone smarrite e poi in caso di esito negativo rispedite in strada.

Quella mattina avvenne proprio questo e tra le tante foto di persone disperse Sandra, ne notò una e disse all’assistente che secondo lei Elena era proprio quella persona che stavano cercando.

L’assistente chiamò Elena e avvicinò la foto al suo viso per poterla confrontare bene, vi era ritratta una donna con i capelli lunghi, mossi e di un rosso così intenso da emanare calore, gli occhi verdi meravigliosamente incorniciati da un trucco leggero ed una bocca carnosa resa luccicante da un delicato rossetto color carne il tutto adornato da meravigliosi orecchini di brillanti.

Elena stava lì in piedi con il suo viso reso magro dalla fame e i capelli corti che lasciavano intravedere dei riflessi mogano, gli occhi verdi infossati dalle occhiaie, era ancora molto bella ma sicuramente molto diversa dalla signora ritratta nella foto.

L’assistente chiamò una collega che con fermezza dichiarò che secondo lei si trattava solo di una vaga somiglianza quindi invitò con dispiacere le due signore ad uscire.

Elena fu felice di non essere quella della foto perché nella sua difficile vita lei infondo era felice. Poi la terrorizzava l’idea di dover vivere la frenesia e le ansie che caratterizzavano la maggior parte della gente, che ogni giorno movimentava Roma, non voleva separasi dalla sua cara amica e da quella inebriante sensazione di libertà.

Sandra, era sicura che l’avvocato Lucrezia Maria Elena di Valvasone fosse proprio la sua amica, lei ne era stata sempre convinta: dietro a quell’elegante modo di fare ci fosse un’ottima educazione ed un’altrettanta istruzione. Tornò al centro e chiese di poter far incontrare Elena con le persone che la stavano cercando e l’assistente, che comunque un dubbio lo aveva, le chiese di tornare insieme all’amica il giorno dopo alle 12 per incontrare i parenti.

Sandra uscì dal centro euforica, le sembrava un sogno: la sua meravigliosa amica avrebbe presto riabbracciato le persone care e sarebbe nuovamente tornata a splendere di bellezza.

Tornò a “casa”e decise di non dire nulla ad Elena, per paura che non gradisse questa intromissione nella sua vita, però le chiese di dormire quella notte accanto a lei per poter godere fino all’ultimo della sua compagnia. Era il 24 dicembre la vigilia di Natale e a Roma lungo il Tevere può fare molto freddo, troppo freddo.

Le sirene riecheggiarono nel silenzio di una città che riposava ancora prima di dare spazio alla giornata di festa, qualcuno, forse perché era il giorno di Natale, le aveva, finalmente, notate raggomitolate sotto ad un cartone, ancora una volta il destino aveva deciso per loro e se ne erano andate, così Elena e Sandra, nella notte in cui nessuno dovrebbe essere dimenticato.

Edoardo si fermò ad osservare le due donne che venivano caricate sull’ambulanza, sentì una fitta al cuore, poi riprese a dirigersi verso il centro accoglienza certo che quello sarebbe stato un meraviglioso Natale e che presto avrebbe riabbracciato la sua amatissima Lulli. Ma così non fu. Dopo aver atteso tutto il pomeriggio, Edoardo decise di tornare a casa, con la promessa dell’assistente di avvertirlo nel caso avesse ricevuto notizie o una visita di Elena. Ma la vita beffarda aveva già deciso il suo corso e Edoardo rimase in attesa di una chiamata che non arrivò mai.

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