lunedì 27 ottobre 2014

provini - Il verbo della morte, Andrea Agomeri

Il verbo della morte
Andrea Agomeri


L'aurora rischiarava le sagome dei palazzi della città. Iniziava ad albeggiare e una luce brillante rendeva tutto più definito, netto. La notte stava ritirando veloce il suo buio, come se il sole prepotente volesse scacciar via le tenebre. Elena socchiuse gli occhi e respirò a fondo l'aria ancora frizzante della notte. <<E' ora di muoversi>>, disse.

Nell'irreale silenzio che avvolgeva ogni cosa, il fruscio del suo mantello sembrava essere l'unica voce a pizzicare gli invisibili refoli di una brezza nascente. La nebbia dell'attesa si era finalmente dissolta, disperdendo millenni di storia nelle mortali fauci del tempo. Elena, questo era il nome di cui si era servita nella sua ultima vita mortale, procedeva a passo lento sottomessa in una crisalide di oscurità. Intrecci di angusti pensieri le si affastellarono nella testa, tessuti in reminiscenze di un passato logorato dai secoli. Ispirò a fondo, come a voler diluire i ricordi verso una dimensione astratta, senza confini e senza regole.

Le prime stille di brina iniziarono a indorarsi; minuti segni, poco più di illusioni, che scintillavano come se un'entità viva vi pulsasse dentro. Elena levò il capo al cielo. Lì, le tinte stavano virando verso colori più chiari. Il soffio della morente attesa le incipriò un volto indurito dalle invisibili cicatrici dell'eterna espiazione.

Iniziò a percepire la Sua presenza.

Il suo sguardo sfumò verso la vendetta, covata in millenni di storia che si erano sbriciolati in un'istante. Strizzò le palpebre, come a voler scacciare quel mosaico nascente di luci e colori, ma l'immagine di Lui che avanzava era viva ed incandescente nella sua mente. Attorno a lei le ombre si ritiravano, fugaci macchie che andavano sciogliendosi nelle auree acque invisibili che scrosciavano da quell'impalpabile cascata di luce che rifulgeva dalla volta celeste.

La mano le scivolò sull'elsa della spada. Impresse i polpastrelli sulle rune incise sul metallo, poi ghermì le dita attorno all'impugnatura così forte che le nocche biancheggiarono. La pelle scricchiolò. Lentamente la spada venne snudata; nell'impercettibile strofinio dell'acciaio sul fodero si materializzò l'esalazione di un respiro dormiente. Una goccia di luce prese a colare lungo il filo della lama, simile ad una dorata perla d'ambra.

Il passo di Elena si fece più deciso. Lo scontro era imminente. Lo scontro era inevitabile. L'aria s'acquietò in un placido giudizio. Tutt'attorno, la natura aveva smesso di pulsare il soffio vitale, anime perdute scolpite nelle algide mura di edifici eretti ad immagine di spettri. Lì, tra le cineree pareti della città, s'aggirava l'effigie della sopraffazione, il ritratto della devastazione, l'immagine speculare di lei che avanzava negli accecanti flutti della perdizione. Una spirale di emozioni le emerse dalle ceneri dell'oblio. Strali di luce irruppero dal lontano orizzonte, dove il cielo si unisce alla terra, gettando una colata d'oro sopra le nere proiezioni di una notte morente. Le pupille le si contrassero e le lacrime di frustrazione si volatilizzarono verso un mondo onirico. Le ombre la marcarono, contorsero dita informi come ad artigliarla, le si aggrapparono strenuamente.

Drappeggiata da un manto di tenebre, avanzò. Dal cielo parve scendere una gigantesca spada di luce che fendette in due le penombre del mondo terreno. Una fugace visione le attraversò quel baco di immaginazione che inesorabilmente andava maturando in cruda realtà. Ne percepì la provenienza, un richiamo tanto invisibile quanto assordante. Allora i suoi occhi puntarono il vuoto che gravava in uno svincolo schiacciato tra le alte mura di edifici feriti dalle intemperie...e attese. I secondi martellarono come magli giganteschi. Non vi fu indulgenza verso quell'attesa che logorò quell'impeto tessuto con le fibre dello sdegno e temprata dall'ira. Poi il vuoto si smembrò, l'attesa si estinse ed una cortina accecante imbiancò ogni cosa. Lui apparì. Lei s'irrigidì, con gli occhi che le si tinsero di rosso, ombreggiati dalle penombre racchiuse tra le falde del cappuccio. La sua spada si levò al cielo, nera come l'ossidiana sullo sfondo chiaro della cupola celeste, e il suo grido stillò il verbo della morte...



Velato da un manto di luce, avanzò. Dal suolo andavano contorcendosi scudi di ombre che nereggiavano sullo sfondo cupo. La proiezione di una fuggente percezione disegnò una coscienza che prese a sbocciare. Ne percepì la presenza, un influsso tanto arcano quanto funesto. I suoi occhi volsero in direzione di quel vuoto dinanzi a sé che sembrava risucchiarlo verso il sepolcro della tentazione. I secondi scrosciarono come la più tetra delle tempeste. Non vi fu appagamento verso quel momento che fortificò quel senso di giustizia cromato con le acque pure della redenzione. Il vuoto si dissolse, l'attesa si sciolse ed una nera bruma incupì il suo sentiero. Lei apparì. Lui fortificò il proprio animo, con gli occhi perlati da goccioline di speranza, coronati da un'aura di luce. La sua spada si levò al cielo, scintillante come il più limpido dei cristalli sullo sfondo tenebroso degli inferi, e il suo grido echeggiò il verbo della vita...

...e fu apocalisse.

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