lunedì 27 ottobre 2014

provini - Incipit, Lamboston


Incipit
Lamboston

L'aurora rischiarava le sagome dei palazzi della città. Iniziava ad albeggiare e una luce brillante rendeva tutto più definito, netto. La notte stava ritirando veloce il suo buio, come se il sole prepotente volesse scacciar via le tenebre. Elena socchiuse gli occhi e respirò a fondo l'aria ancora frizzante della notte. <<E' ora di muoversi>>, disse.

Ma che diavolo stava succedendo? Nulla, semplicemente in quel momento il maxi schermo, posto in ogni camera e in ogni ambito di ogni casa, di ogni via, di ogni città del Paese si era spento. Aveva cessato di dare il “codice in caporale”, come si era soliti chiamarlo, ed era stato posto nella normale condizione di “occhio”.

Quando veniva dato un “codice in caporale” tutta la militanza letteraria aveva il compito di “immediatamente produrre un componimento recante la miglior soddisfazione di vita da parte di ciascun abitante elevato a rango di letterato”.

Niente di più. Quasi ordinaria amministrazione.

Certo, stavolta si era giocato duro. Il comando era perentorio e la decodifica di “Elena” stava per massima allerta, in quanto il giudice massimo di questa cosa, per tutti i letterati “over trenta”, sarebbe stata la famigerata GinniW, che avrebbe dovuto riferire, senza colpo ferire, al ben peggiore e temuto FabbiD!

Inoltre c'era il perentorio comando <<E' ora di muoversi>>. Ciò significava che il tempo non era infinito e che non si sarebbe potuto consegnare l'elaborato il giorno dopo.

Ciascun letterato era praticamente consegnato nella stanza dove era stato registrato al momento della diffusione del “codice” (ed era impossibile spostarsi in quanto il video-occhio aveva registrato tutto) e non si sarebbe potuto muovere da lì fino a che non avesse finito l'elaborato di “gioia e gaudio” sull'operato del Supremo e sulla vita splendida e piena di soddisfazione per ciascun essere vivente del Paese.

“Eh già”, rifletteva senza parlare e senza mostrare alcuna espressione facciale recante perplessità o stupore il nostro Peritòn, “bisogna proprio che faccia in fretta a comporre il testo; l'ultimo che lo consegna sarà condannato a due ore di lezione sul 'modus scrivendi' da parte del terribile FabbiD!”.

Senza emozioni alcuna si accinse a scrivere; peccato che era stato beccato in bagno mentre si radeva e questo lo sconvolse abbastanza, fino a che non ricordò che, proprio nel timore che qualcosa del genere poteva accadere, qualche giorno prima aveva messo sulla mensola della specchiera una penna e qualche foglio.

La cosa gli avrebbe consentito di scrivere, purtroppo senza poter fare errori perché non si poteva correggere quanto scritto a penna. Avesse pensato a mettere un piccolo tablet la cosa sarebbe stata più facile, ma ormai era fatta.

Odisseo nel frattempo, nella sua magione principesca, stanca da morire per le ultime gare fatte, stava già vergando la carta gialla che avvolgeva la pasta, e stava scrivendo qualcosa che aveva attinenza con la gioia di mangiare pasta bio prodotta dalla comunità, della assoluta digeribilità del prodotto, eccetera eccetera. Sembrava non avesse mai pensato ad altro.

Incredibile come il codice avesse messo in moto tutti, ma proprio tutti; già qualcuno era arrivato a mettere la parola fine sul componimento ed era a caccia dei maledetti “refusi”, non correggendo i quali si sarebbe andati incontro alle infrazioni previste dal decalogo dell'Autorità Suprema letteraria, che aveva il potere di conferire il premio, ma anche di condannare l'improvvido alla pena di “oblìo semestrale” da parte di tutta la comunità.
Quel che era peggio era che stavolta (e non accadeva sempre) il codice fosse stato diramato come “codice in caporale”. Tutti andavano scrivendo e dibattendo da giorni su questa cosa sulle pagine del “diario obbligatorio di bordo”, generosamente offerto dalla direzione letteraria. Era difficile da usare, quasi impossibile da trovare, probabilmente da scolpire con martello e scalpello ad ogni dichiarazione in prima persona.

Si era creata una sorta di psicosi che aveva generato un certo effetto collaterale: tanti tendevano a scrivere in terza persona! Incredibile. Ma a volte non se ne poteva fare a meno di far parlare qualcuno, e si ricadeva nella maledetta maledizione dei maledetti caporali!

Anche il vecchio Sam, esperto e navigato scrittore di vignette e raccontini si era adeguato ai caporali ma lui, forte della sua grande sagacia, aveva inventato anche “sergenti” e “sotto-tenenti” e quindi aveva maggiore spazio di gestione. Sornione attingeva alla sua grande esperienza e scriveva con una grande facilità: aveva trovato le soluzioni per una vita serena, ottenendo anche qualche buon privilegio.
Nella combriccola l'unico davvero tranquillo, come al solito, era sembrato proprio May; affatto sconvolto dalla cosa era stato subito pronto e, nel giro di qualche minuto, aveva sfornato la sua deliziosa “Ode al potere magnifico e ai suoi splendidi caporali”.

Naturalmente anche i più giovani “over trenta” si adoperavano per scrivere al meglio, in quanto sapevano che, a parte l'ultimo che avrebbe consegnato, anche diversi di loro sarebbero stati condannati a pene inferiori, ma comunque pene.

Era come in una sorta di caserma del secolo scorso, quando c'era il nonnismo e le reclute erano soggette a ogni tipo di scherno da parte dei più navigati, che raccontavano cose terribili sugli esiti di ogni “codice”.

Non era ancora calata del tutto la notte quando anche l'ultimo, il povero Lumachìn, aveva finito di scrivere la sua piccola opera, ben conscio che comunque sarebbe stato l'ultimo a consegnare. Si era già preparato alla punizione, ma non avrebbe dovuto subire (almeno questa volta) l'onta di non aver finito in tempo: proprio un attimo prima che il tempo scadesse era finalmente riuscito a scrivere l'ultima parola del racconto, ben caporalato: <<seimila>>!

Grande fu lo sconforto di Lumachìn quando scoprì che, a questo punto si era solo e semplicemente al cinquemilanovecentotrentotto.

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