lunedì 27 ottobre 2014

provini - L'arte della sopravvivenza, Salvatore Anfuso

L'arte della sopravvivenza
Salvatore Anfuso

“L’aurora rischiarava le sagome dei palazzi della città. Iniziava ad albeggiare e una luce brillante rendeva tutto più definito, netto. La notte stava ritirando veloce il suo buio, come se il sole prepotente volesse scacciar via le tenebre. Elena socchiuse gli occhi e respirò a fondo l’aria ancora frizzante della notte. «È ora di muoversi», disse.”

Poco lontano, sulla cima di un altro edificio, un uomo attendeva solitario la stessa alba. Sedeva sul bordo della terrazza, con le gambe incrociate e gli occhi serrati. Le mani poggiate placidamente sulle ginocchia trattenevano un fucile disteso di traverso. La linea che demarcava il confine tra il buio e la luce arretrava con costanza, lasciando esposte all’avanzata del giorno porzioni sempre più ampie della casupola di accesso alle sue spalle. Lì una porta metallica pendeva da cardini arrugginiti, stonando con una telecamera intonsa montata sul muro sopra di essa. L’uomo aprì gli occhi e osservò la città sotto di sé. Edifici ancora in piedi come quello erano ormai pochi nella città vecchia. Il resto era un rottame di calcinacci, palazzi sventrati e tetti crollati. Crateri ampi come automobili solcavano strade deserte. Una pace irrequieta vegliava sui morti come un antico scialle sul dorso di un re defunto.

Il suono lungo e monodico di una sirena ruppe il silenzio. A quel richiamo l’uomo impugnò il fucile e iniziò a caricarlo con gesti fluidi che si susseguirono con un automatismo fatto di abitudine e addestramento. Le cartucce, inserite una dietro l’altra, erano intervallate solo dal click del meccanismo.

«Ti ho beccato, bello».

La voce giunse dalle scale, sottolineata dal rumore di un’arma che veniva sbloccata. Ad accompagnare i due suoni se ne sarebbe potuto quasi udire un terzo: il lento formarsi di un sorriso di scherno. L’uomo non fece nessun tentativo di voltarsi o fuggire. Rimase semplicemente fermo, con il fucile in una mano e l’ultima cartuccia trattenuta nell’altra.

«Ehi, mi hai sentito? Ti ho beccato finalmente, Capitano. Questa volta sei fregato!».

Il Capitano non rispose. Invece avvicinò con calma la cartuccia al fucile e l’inserì. «Perché lo pensi?» disse tirando indietro una leva e rilasciandola. La cartuccia prese posto in canna.

«Mi sembra evidente, no? Ti ho sotto tiro! Adesso voltati, voglio guardarti negli occhi mentre ti uccido».

«Conosci le regole, suppongo».

«Me ne fotto delle regole».

«Sai come vengono puniti nella città nuova quelli che non rispettano il coprifuoco?».

«Te l’ho detto, me ne frego». Tuttavia nelle mani del ragazzo il fucile sembrò diventare scivoloso. «Non mi importa quello che decidono i burocrati» aggiunse, ma con voce più incerta.

«Dicono che nella città nuova non vadano molto per il sottile quando si tratta di regole, ma forse nel tuo caso faranno un eccezione» disse il Capitano, poggiando il fucile a terra.

«Devono riuscire a dimostrarlo che ti ho ucciso prima della seconda sirena!».

«Forse non hai notato la telecamera che ci sta inquadrando» disse il Capitano. Estrasse tranquillamente un sigaro dal taschino della giacca e ne morse l’estremità che sputò via. «Se te lo stai chiedendo, si trova alle tue spalle. Proprio sopra la porta da cui sei entrato».

«Mi prendi per un idiota?» domandò il ragazzo. «Questo trucco è vecchio come mio nonno». Il dubbio però si era insinuato. Incapace di resistere, il ragazzo si voltò giusto un attimo. La telecamera era lì.

«Sono sorpreso che tuo nonno sia ancora in vita» disse il Capitano facendo scorrere la capocchia di un fiammifero sul cemento. «Di questi tempi è una cosa piuttosto rara».

«Non lo è infatti» rispose il ragazzo. Scrutò l’uomo che aveva davanti. La serenità lo sconvolse. La sua fama era corretta. Aveva sperato di coglierlo di sorpresa, ma non si era aspettato di trovare quell’arnese.

«E la telecamera invece, è lassù?».

Il ragazzo deglutì.

«Ci sono stato sotto tutta la notte» aggiunse il Capitano. «Sai, per evitare malintesi con le canaglie che sbucano alle spalle».

Il ragazzo allentò e strinse la presa sul fucile, come a volersi rassicurare della sua presenza. Il silenzio calò fra i due, protraendosi per troppi secondi. Lo sguardo corse involontariamente verso la cupola dell’antica cattedrale. Il sole ormai la illuminava completamente. Mancavano pochi secondi. Le gambe gli sembrarono più molli. Un groppo in gola gli bloccò quasi il respiro. Sentì lacrime calde riempirgli gli occhi e appannargli la vista. Pensò alla sua stupidità. Pensò che non sarebbe dovuto saltare fuori tanto presto. Se avesse atteso di più… Se solo avesse atteso un po’ di più!

«Sei una recluta, vero?» chiese il Capitano interrompendo il silenzio.

Il ragazzo, sorpreso, impiegò qualche secondo prima di rispondere: «Sì».

«Da quanto, sei mesi?».

«Più o meno, signore, sì».

Il Capitano sorrise, ma era un sorriso amaro. «Vi mandano al macello ultimamente».

«La guerra la stiamo vincendo noi però!» affermò il ragazzo con uno scatto di orgoglio.

«Può darsi,» disse il Capitano, «ma alla fine non vince mai veramente nessuno».

Il secondo fischio giunse quasi inaspettato per entrambi. Il ragazzo sobbalzò e quasi perse la presa sul fucile. La voglia di vivere però era forte. Strinse i denti, afferrò con maggiore decisione l’arma e la puntò rapidamente verso la schiena immobile del Capitano. È fatta, si disse, sono stato più veloce. Il dito indugiò sul grilletto solo l’attimo necessario per esultare, poi un toc alla base del cranio rese tutto scuro e silente.

«Avresti potuto aspettare ancora un po’!» affermò con sarcasmo il capitano.

«Vuoi farmi credere che ignoravi fossi lì?» rispose gioviale una voce di donna. Elena scavalcò il bordo atterrando con agilità sulla terrazza.

Era bella come sempre, notò il Capitano. «Lo ignoravo infatti» rispose tirandosi su e afferrandola per i fianchi, «ma non ne ho dubitato neanche per un istante. Solo, non attendere così a lungo la prossima volta. Le fanno sempre più nervose queste reclute».

Elena afferrò la testa del Capitano e premette con forza le labbra sulle sue. Poi lo allontanò da sé e chiese: «Ti va di fare colazione con me?».

«Certo. Frugagli nella sacca,» rispose il Capitano, «vediamo cosa ci ha portato di buono».

Mentre Elena esaminava la sacca, il Capitano si avvicinò alla telecamera. Staccò la base dal muro, spense il led da un interruttore sul retro e la ripose nel proprio zaino.

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