lunedì 27 ottobre 2014

provini - Conflitto, Antonio Borghesi

Conflitto
Antonio Borghesi

L'aurora rischiarava le sagome dei palazzi della città. Iniziava ad albeggiare e una luce brillante rendeva tutto più definito, netto. La notte stava ritirando velocemente il suo buio, come se il sole prepotente volesse scacciar via le tenebre. Elena socchiuse gli occhi e espirò a fondo l’aria ancora frizzante della notte. "Era ora di muoversi", si disse. 

Un cenno di saluto ai suoi amici, salì sulla sua Chevy e s’avviò verso casa.


Per prima cosa doveva togliersi di dosso gli abiti da lavoro. L’aspettava una bella doccia rigenerante, poi sarebbe andata a San Bernardino a trovare le gemelle. Era sempre meravigliosa la giornata quando poteva passare dai suoi genitori che le tenevano Deborah e Denise da quando Peter, il suo meraviglioso aitante marito, che faceva il croupier a Las Vegas, era scomparso quattro anni prima subito dopo i festeggiamenti per il secondo anniversario delle piccole. Aveva detto, da gran sognatore qual era, che da quel giorno tutti i loro problemi finanziari sarebbero stati risolti. Al Cesar Palace, dove faceva il turno di notte al tavolo del Black Jack, non era mai arrivato. Joseph, il padre di Elena, ex detective della Polizia di Los Angeles, pluridecorato ed in pensione anticipata per aver perso un braccio in un conflitto a fuoco con dei rapinatori di banca, aveva messo in campo tutte le sue amicizie. Nulla. Peter era come se fosse stato inghiottito dalle sabbie del deserto del Mojave. Elena aveva dovuto proseguire col suo lavoro.

La notte era andata bene. Pesante, ma non più del solito. Battere il marciapiede di Rodeo Drive a Beverly Hills, in costante attesa di qualche cliente, era diventata quasi una consuetudine. I clienti che si fermavano e che la facevano salire in auto erano sempre numerosi. D'altronde era proprio quella che si può definire una gran bella donna. L’altezza e gli occhi verdi li aveva presi dal papà irlandese. La bocca carnosa ed il bel viso, incorniciato da una fluente capigliatura corvina, erano l’eredità italiana di mamma Maria. Il seno prominente e le lunghissime gambe che, slanciate da un tacco dieci, erano ben evidenziate dalla strepitosa microgonna nera, erano frutto dell’incrocio delle due razze. Elena conosceva esattamente la reazione che provocava negli uomini. L’abbordavano speranzosi di poter possedere per una manciata di dollari una così splendida creatura. Più erano laidi e più era facile convincerli a spendere anche un paio di “Franklin” per un trattamento completo. Smaniavano per consegnarle i biglietti verdi ed era a quel punto che s’accorgevano del grave errore fatto. Elena, solo in quel momento, secondo la legge californiana, poteva mostrar loro il suo distintivo d’agente della buoncostume e dichiararli in arresto. L’auto di pattuglia interveniva ed il mancato gaudente veniva ammanettato e portato via per terminare la serata in una squallida cella. Una denuncia per istigazione alla prostituzione ed una grossa multa gli sarebbero state recapitate a casa. Terribili conseguenze se sposato, nessuna se scapolo. Quella notte era successo a dieci malcapitati.

Dopo il primo anno però qualcosa s’era incrinato nell’animo di Elena. La soddisfazione per quelle troppo facili catture era sparita. Ne era subentrata un’altra. La frustrazione di non potersi tenere tutti quei bigliettoni che le venivano messi in mano. Doveva trovare un sistema per assicurarsene qualcuno pure lei. Sapeva per certo che nello stato contiguo del Nevada la prostituzione, tranne che per la zona metropolitana di Las Vegas, era legale. Una breve ricerca su Internet le aveva permesso d’individuare un bordello di lusso chiamato “The Ranch”. Era situato nella Contea di Clark, una zona rurale subito dopo il confine con la California. A quattro ore d’auto da L.A. Abbastanza lontano da non incontrare nessuno che la riconoscesse. Si era presentata a Madame Lona che, seduta stante, l’aveva entusiasticamente arruolata tra le sue ragazze. Le aveva solo cambiato l’accento e l’origine. Era diventata Elèna e portoricana. Aveva subito spopolato. Molti erano diventati suoi clienti fissi. Con alcuni di suo gradimento si divertiva pure. Anche psicologicamente si sentiva più soddisfatta di questo lavoro che di quello da poliziotto. Le sembrava più onesto concedere il suo corpo per quattrini che imbrogliare facendo da esca con la sua bellezza. Chi la desiderava era pur sempre un uomo che però nel caso del “The Ranch”, possedendo un portafoglio molto ben guarnito, non subiva nessuna conseguenza mentre, quello che, avendo meno quattrini, la voleva raccattare per strada, rischiava pure il carcere.

Era sempre occupata come una forsennata. Tre notti in strada ed altrettante in camera. Poi c’era il puro piacere di stare con le gemelle alla domenica e qualche volta tutto il weekend. Il tempo era il vero tiranno ma i “Franklin” si erano moltiplicati a dismisura. Deborah e Denise ora avevano un conto risparmio a loro nome di oltre trecentomila dollari ciascuna. L’Università era assicurata per entrambe. E non solo quella. La vita era cambiata. Avrebbe potuto spendere anche per completo il suo salario di quarantamila dollari di poliziotto senza alcuna preoccupazione. Non lo faceva per non dar nell’occhio. Aveva ventisette anni. Ancora cinque anni di quella vita e poi si sarebbe ritirata dal “The Ranch” ed avrebbe chiesto al Distretto il trasferimento in qualche ufficio amministrativo. Glielo dovevano per legge dopo tanti anni passati in strada.


L’aurora rischiarava le sagome dei palazzi della città. Iniziava ad albeggiare e una luce brillante rendeva tutto più definito, netto. La notte stava ritirando velocemente il suo buio, come se il sole prepotente volesse scacciar via le tenebre. Elèna socchiuse gli occhi e espirò a fondo l’aria ancora frizzante della notte. Era ora di muoversi, si disse. Accese l’auto per tornare a L.A. e s’immise sulla highway. Il cellulare squillò. Chi avrebbe potuto essere a quell’ora così mattutina?


«Ciao. Sono Peter.»


Il fato aveva disposto sul banco una nuova mano di carte.

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