martedì 23 dicembre 2014

semifinale - Il respiro dell'anima, Andrea Agomeri

IL RESPIRO DELL'ANIMA
Andrea Agomeri


La vitrea superficie della finestra s'inondò degli aurei strali scoccati da un sole nascente; ovunque, rose di luce sbocciarono lungo il pavimento della stanza. Ma quel riflesso di purezza perdurò giusto il tempo di un sorriso e i petali della vita tornarono a rinchiudersi in un bocciolo di oscurità. Una lattiginosa nuvola andava lentamente ammantando la stella diurna. Ogni cosa s'imbrunì. La finestra s'appannò, profilata da guizzanti ombre che s'inalvearono lungo le crepe del vetro, prima invisibili. Una nera ragnatela di frammenti scheggiati si delineò lungo la superficie.
Mosse a fatica il braccio per afferrare con le nodose dita le lenzuola, pezzi di stoffa trapuntati ad immagine di un sudario, ma il dolore procuratogli dal catetere sotto la pelle lo costrinse a rinunciare. Emise un sospiro, eco di un respiro che si faceva sempre più pesante, sempre più assente. Il cuscino sotto la sua testa rimbombò il debole palpito del suo cuore. Trascinò lo sguardo oltre la porta aperta del bagno; l'inclemenza dello specchio posto sopra il lavandino gli svelò la trama in cui era tessuta la realtà. Il suo animo s'impallidì ed una ruga di malinconia prese a solcargli il volto già profondamente segnato dal tempo. Schiaffeggiò il presente sbattendo le palpebre, eppure la sua immagine solitaria era sempre lì che lo fissava da un letto di un ospedale. Cercò di resistere all'imminente crollo di un pianto fuggente, poi con il capo caracollò mesto dalla parte opposta; ivi, il suo occhio illanguidito da bigi pensieri scivolò lungo una parete monocromatica. Il ritratto della sua muta parola si fuse con l'assenza di motivi della stessa; solo la luce sommessa di un orologio digitale posto su di un comodino ruppe quella sterile simbiosi tra l'immaterialità della vita e l'inumanità delle cose. I secondi scoccavano, eco di un'esistenza dispersa tra i vuoti intervalli di silenzio. Indugiò sui numeri del display che sembravano irridere l'immutabilità di un mondo fossile dei ricordi. Anche quella visione andò a morire tra le rovine dei tempo. S'arrese ad una quiete innaturale e stava per abbandonarsi ad uno sfondo apparentemente spoglio, quando una luce diversa abbacinò sulle sue iridi stanche e contratte. Una finestra, l'unica di quell'angusta stanza, sembrava guardarlo, tremolante di balenii soffusi. Questa era incrinata su di un lato, da dove partiva una serie di zigzaganti crepe, confini di frammenti di vetro dalle forme più bizzarre. Vi si riflesse, ma quel mosaico di specchi incastrati l'uno sull'altro gli rimandò diverse immagini di sé. Schegge di una vita passata, orme di un tempo che fu. La memoria affiorò in una fiumana di ricordi e per un attimo l'incolore patimento venne deterso dalla pioggia della serenità. Si rivide fanciullo, si ritrovò nei giorni della giovinezza, riabbracciò gli anni della maturità e per un labile momento sentì il fremito di quei sentimenti che il tempo aveva mutato in nere sagome a cui non era stato più in grado di dare un nome o una forma; emozioni divenute concetti in un costrutto immaginario. Amori, passioni, gioie e amicizie. Reminiscenze che affioravano, impronte che calcavano sulla stele della vita, cicatrici del presente. Una lacrima gli rigò il volto, sfumando in una scia di amarezza. In quella goccia di tormento vi confinavano tracce di un'esistenza imprigionata nell'invalicabile suolo della memoria. Da dietro quel velo lacrimale fronteggiò la verità custodita in quei pezzi di vetro, pagine di una storia sbiadita, lapidi di un'esistenza dimenticata. Capì e fu allora che si lasciò andare. All'improvviso il suo cuore perse un colpo e sul monitor l'elettrocardiogramma registrò una linea non più regolare; nello stesso istante un'innaturale folata d'aria si levò, urtando contro la fragile superficie del vetro che prese a scricchiolare. Boccheggiò gli ultimi momenti di una arco vitale che andava inesorabilmente appiattendosi, uno status proiettato su quel tracciato, sempre meno aguzzo, che scorreva lungo il monitor in un'irregolarità crescente. Crepe di una vita. I segnali acustici dell'apparecchio vennero ovattati da singulti affioranti da tremolanti labbra, gemiti che si persero tra gli illusori ululati del vento che andava incanalandosi tra le crepe della finestra, mormorando suoni remoti. Stormì, fischiò, grattò l'aria. Lui stridette i denti, sospirò, gridò. Poi il suo cuore batté con irruenza un colpo contro il costato; lo spettro di quel palpito sembrò urtare il vetro della finestra che lamentò uno scricchiolio. Fu in quel labile frangente che comprese il significato della vita; fissò la finestra, un'ultima volta, e si riflesse in essa, nella sua fragilità, nella sua trasparenza, in quelle crepe che la solcavano. Lui era come quell'occhio inanimato che dava sul mondo esterno e che al contempo ricreava l'immagine interiore di chi vi si specchiava. In un istante il dolore scemò ed un vuoto inspiegabile lo sovrastò; sullo sfondo dell'intermittente segnale acustico del monitor, l'aria s'appesantì di una sconosciuta entità che mitigò ogni principio nidificato su valori materiali. Lentamente il suo occhio si spense, non più perso nelle tante riproduzioni di sé riflesse nei singoli frammenti del vetro scheggiato, ma in un'unica immagine che andava sgretolandosi inesorabile. Qualcosa premette sul vetro frastagliato, stavolta però capì che non si trattava del vento. La vitrea superficie della finestra cedette in un acuto di note che si oppose al silenzio di un respiro morente. Una cascata di schegge piovve; fotogrammi di un racconto che si dileguavano nelle pagine del tempo, detriti di una vita privata del suo nome, ricordi persi nell'oblio. In ascesa verso il cielo, volarono via drappeggiando in un lucente manto l'anima non più prigioniera di un corpo sofferente, non più prigioniera di una stanza vuota. Le ombre cedettero alla luce che si riversò su quell'unica presenza distesa sul letto.
Non più un riflesso, non più un ricordo, bensì solo un velo dorato, scia di un'anima libera.

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