martedì 23 dicembre 2014

semifinale - Sognando una nuova vita, Annarita Tranfici

Sognando una nuova vita

Annarita Tranfici




Che bella la luna stasera... sembra che brilli ancor più luminosa per farsi guardare. Una splendida luna piena, dalla pelle lattea e fulgida. È come se con i suoi raggi voglia disegnare un percorso e indicarci la strada.
Che fortuna abbiamo avuto ad imbarcarci con questo tempo. Il mare è calmo, non tira un filo di vento. Sono certo che non avremo alcuna difficoltà a raggiungere la costa. Solo un altro giorno e finalmente saremo in Italia.
Chissà com'è questa Italia di cui parlano tutti... Poco importa, non ci resteremo troppo. Giusto il tempo necessario per ottenere alcuni documenti e ci metteremo in viaggio per la Germania. È quella la meta del nostro lungo viaggio ed è là che mio fratello nascerà e crescerà. Ho notato come gli occhi della mamma si illuminano d'improvviso quando me ne parla. Dopo la morte di papà e di Selam sembrava non riuscire più a sorridere, sembrava aver rinunciato ad ogni piccola speranza. Quando poi si è resa conto di aspettare un altro bambino, non ha esitato neppure un istante ad accettare la proposta di quel vecchio amico di papà. Si era offerto di procurarci un posto su una barca che di lì a poco sarebbe partita per l'Europa, portandoci via da un paese povero e in guerra. Come avremmo potuto lasciarci sfuggire quell'occasione?
"Abhram, non possiamo più restare qui." mi aveva detto. "Stanotte lasceremo Bengasi, Yemane ci darà una mano". Così, senza fare troppe domande, due sere fa mi sono sistemato sul barcone, seguendo le indicazioni degli uomini che ci avrebbero condotto nel nuovo continente. Notai subito che la barca era piuttosto malridotta, un po' vecchia e molto sporca ma ero fiducioso che ci avrebbe portato a destinazione senza intoppi. In fondo, non eravamo di certo i primi a compiere quel viaggio.
La mamma è seduta non troppo distante da me. Se ne sta in silenzio, infreddolita e stanca. Si guarda intorno spaventata, sfuggendo il mio sguardo speranzoso, il quale non avrebbe altro intento che infonderle un po' di coraggio. Sono io a dovermi occupare di lei adesso, e nonostante abbia solo quindici anni, ho promesso di proteggerla, a ogni costo.
Ormai siamo in viaggio da quasi tre giorni, e nessuno di noi tocca cibo né acqua dalla partenza. La tensione è palpabile, gli animi iniziano a surriscaldarsi. Un gruppetto di giovani irrequieti e piuttosto nervosi vuole portare scompiglio: si insultano rabbiosi, inveendo l'uno contro l'altro, manifestando tutta la propria insofferenza a suon di pugni e strattoni. A tale vista uno dei due scafisti, in un eccesso d'ira fulmineo, si avventa contro il giovane che ha dato inizio alla rissa e lo separa dall'uomo che aveva aggredito. Gli ordina di restare seduto, che se ci riprova a far confusione, lo getta in mare e lo lascia annegare. Pochi minuti e, incurante di quegli avvertimenti, lo stesso giovane riprende lo scontro fisico iniziato poco prima, scagliandosi contro il rivale carico d'odio e ferocia. Questa volta il conducente del barcone sembra non voler sprecare fiato; afferra una bottiglia di vetro vuota e la scaglia violentemente contro il cranio del giovane. Lo osservo da molto vicino: stordito dal colpo, pare cedere al peso del suo corpo. Istintivamente, mi alzo per afferrarlo ed evitare che cada. Nel mio slancio improvviso, non presto attenzione alle schegge di vetro sparse sul legno consumato del barcone. Le calpesto, scalzo, e le sento penetrarmi tutte insieme nella carne nuda del piede. Non riesco neppure ad afferrare il braccio del mio compagno di viaggio; il dolore mi blocca prima. Vedo mia madre precipitarsi verso di me, intenzionata a lenire quelle ferite fresche. Afferra il piede e, ad una ad una, tira fuori dalla carne le schegge trasparenti. Con fermezza e agilità, strappa un lembo del velo che porta avvolto attorno al capo; so che lo userà per fasciarmi l'arto dopo aver estratto anche il più piccolo di quei frammenti vitrei.
In quel momento una serie di pensieri indistinti inizia ad affollare la mia mente; lacrime calde scendono, segnandomi il volto. Non sono in grado di ricacciarle e interrompere quello sfogo. Sento cadere ogni difesa, getto via la maschera che, per amore di mia madre e rispetto del ricordo di mio padre, indosso dal giorno della sua morte. Riconosco il sentimento che mi opprime: è paura. Paura del futuro ignoto che mi attende, del destino che mi è stato riservato, paura di perdere mia madre e di non poterla aiutare a crescere un figlio che nascerà tra pochi mesi. Ho mentito, non mi sento affatto tranquillo, al punto che mi tremano le mani per l'agitazione.
Ho visto negli occhi delle donne del mio paese un dolore inconsolabile, donne a cui non è rimasto neppure un corpo su cui piangere. Non voglio pensare che anche a me spetti quella sorte. Non riesco più a sostenere questa immensa sofferenza e un po' me ne vergogno. Papà, Selam, la mia amata Barentù, dove sono nato e cresciuto: una perdita dietro l'altra, una spirale di dolore per cui vorrei un colpevole da punire. Ogni scheggia, ogni picco di dolore fisico ha fatto riaffiorare le pene di un'anima che avevo cessato di ascoltare. Le punte di quel vetro hanno causato gravi ferite, profonde quanto le cicatrici che porto sul cuore, mai sanate del tutto.
Ora vorrei solo dimenticare, ricominciare da capo, via dai ricordi che mi disturbano il sonno. Chissà, magari la nuova vita in Germania mi aiuterà.
È quasi l'alba, i raggi lunari stanno facendo spazio ad un'aurora candida e delicata, il cielo è terso. Tuttavia nelle ultime ore il vento si è fatto piuttosto insistente, rendendo il mare mosso e minaccioso. Il barcone inizia ad ondeggiare troppo. Provo ad alzarmi, nonostante il dolore. È questione di secondi, iniziamo ad imbarcare acqua. Un'onda più alta delle altre riesce quasi a far capovolgere la barca, molti finiscono in mare. Mi volto alla ricerca mia madre, ma il mio sguardo non riesce a scorgerla. All'improvviso la vedo: è finita in acqua e si dimena per restare a galla.
Devo fare qualcosa, devo salvarla! Non faccio in tempo ad alzarmi che un'onda ancora più alta la travolge, non la vedo più.
Dove sei, mamma? Rispondimi! Mamma, mamma!

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