martedì 23 dicembre 2014

semifinale - Pain, Sara Filice


Pain
Sara Filice

Il bicchiere le scivolò dalle mani insaponate e tremanti, frantumandosi nel lavandino; il rosso del poco sangue che scorse, lavato via dal getto dell'acqua corrente, le rivelò in un attimo quello che aveva sempre faticosamente cercato di comprendere. Un’immagine in particolare le balenò subito alla memoria, richiamata dal suo subconscio: sempre la stessa, di quella volta in cui durante uno dei suoi giochi da bambina aveva lasciato che un grosso specchio le cadesse accidentalmente addosso. Una piccola scheggia si era conficcata nel palmo della sua manina destra, lasciandole una piccola ma profonda cicatrice. Di schegge era fatto il pavimento sul quale si era ritrovata a camminare, e piccoli pezzi di vetro colorato erano rimasti impigliati nei suoi boccoli biondi. Aveva quattro anni e non aveva avuto paura. Nove anni dopo la sua prima certezza si era frantumata come quello specchio, lasciandola agonizzante e in lacrime tra le braccia di sua madre. Aveva sofferto troppo, quando aveva lasciato la sua casa natia, il trauma del trasferimento era diventato per lei una voragine sconfinata e profonda nel bel mezzo del suo piccolo cuore. Da allora altri specchi erano esplosi. Schegge di dolore, di rabbia, come quegli sguardi atoni e indifferenti di chi è capace di uccidere usando solo le parole ed è convinto di non aver mai commesso alcun crimine. Non aveva mai potuto scordarli, perché gli si erano piantati dritti nelle ossa fino al più profondo dei suoi pensieri, sconvolgendola. Ogni giorno che passava, quelle schegge entravano ancor più in profondità, il dolore non si fermava e l’emorragia interna peggiorava sempre di più. Chiese aiuto, sapeva di doverlo fare, ma nessuno riuscì a comprenderla, e venne tradita. Un’altra raffica violenta di schegge esplose in un boato assordante; quella bimba dentro di lei cadde in ginocchio coprendosi la ferita con le piccole mani candide e nel frattempo altre schegge veloci e scintillanti volarono sibilando sulla sua testa, mentre si chiedeva singhiozzando quale reato avesse mai potuto commettere. La sua innocenza moriva pian piano. La bambina dentro di lei sanguinava, ormai morente, e la ragazza che era diventata si chiudeva nel silenzio e nell’indifferenza. C’era chi la disprezzava per il suo presunto orgoglio, e ancora una volta senza pietà sguardi e sorrisi gelidi e taglienti sibilavano intorno a lei, colpendola in pieno petto. – Basta! – mormorava quella bimba innocente dentro di lei – Per pietà, basta! – ma nessuno poteva vederla, nessuno voleva farlo. Rabbia. Il suo cuore era diventato di pietra ed ora cominciava a sgretolarsi. Parlava poco, sorrideva come se la vita non avesse più alcun senso e nessuno si accorgeva di nulla. Solo Dio sapeva, solo lui e quella sua giovane e forte creatura potevano vedere quella bambina dentro di lei che chiedeva aiuto, che non riusciva ormai neanche più a respirare, mentre quelle schegge continuavano a volare incessanti su quel corpicino ormai esausto. Adesso era la sua calma a scheggiarsi, la sua immensa e innocente fragilità. E dopo tutto quel dolore, alla fine anche l’ultimo dei suoi sogni, il più bello e il più vero, cadde con un rombo assordante al suolo. Faceva ancora rumore il crollo di quel magnifico castello di cristallo, l’unico appiglio al quale si era aggrappata per sfuggire a quell’incolmabile vuoto in mezzo al suo cuore. Ricordò il suo scintillio al sole d’estate, sul mare calmo di un cuore immacolato. Poi in un lungo e terribile attimo lo rivide sfracellarsi sopra quei riccioli biondi, risentì il dolore ed il terrore più cupo, gli ultimi singhiozzi prima di smettere di credere nei sogni. Era tutto scritto su quelle pagine ingiallite, messe a riposare in un cassetto, e quando lei aveva cercato di regalarle al mondo, in un attimo il buio di quel vuoto l’aveva avvolta, l’aria si era riempita di una miriade di piccole schegge scintillanti e sibilanti, e lei non ce l’aveva più fatta. Non c’era stato abbraccio né carezza o parola gentile che potesse guarirla, perché il buio era troppo fitto e lei aveva paura.
Tornò con gli occhi al presente, lavò con rabbia il sangue dal dito e in un impeto d’ira amara gettò violentemente a terra ciò che restava del bicchiere, mentre i suoi occhi si riempivano di lacrime calde, che nessuno avrebbe mai visto, perché nessuno mai avrebbe voluto vederle. Il bicchiere si frantumò in mille pezzi, che scintillarono nel sole di mezzogiorno, spargendosi sul pavimento in ceramica del colore del mare. Si guardò intorno cercando di controllare il respiro, solo per rendersi conto che nessuno l’aveva vista. A volte si sentiva così sola, nonostante fosse sempre circondata da amici e persone che le dimostravano il loro affetto. Ma non era facile vederle, con tutto quel dolore, con quella rabbia in corpo. Non era facile vivere con un vuoto incolmabile in pieno petto in mezzo al quale una bambina dai bei riccioli biondi giaceva ferita a morte dalle mille schegge di cattiveria, lanciatele dalle persone di cui si era voluta fidare. Non era facile e a nessuno piaceva consolare un cuore di pietra, anche se c’era chi amava continuare a trafiggerlo. Aveva scoperto di soffrire di depressione ma adesso, a distanza di qualche mese, stava cominciando a riprendere coscienza di sé. Aveva avuto la fortuna di nascere in una famiglia stupenda, che aveva reso ogni attimo della sua vita meraviglioso. Ma perché non dimenticare, allora? Solo ora, dopo quel lungo percorso interiore che si era costretta a fare, aveva iniziato a capire, e si era resa conto che … non sarebbe più stata la stessa, mai più. Amarezza, paura e oppressione erano i sentimenti che si alternavano come un’orribile altalena dentro di lei ed era come se dovesse imparare di nuovo a vivere. Ma lei ce l’avrebbe fatta, perché era forte. Fissò atona quei vetri per qualche minuto, finché le balenò in testa un’idea. Lentamente si chinò e mentre il dito continuava a sanguinare, prese con la stessa mano una manciata di frammenti e li osservò seguendo un pensiero. Scintillanti nella sua mano, letali e gelidi, trasparenti proprio come lei avrebbe voluto non essere. Socchiuse il pugno, sempre di più, ma proprio quando stava per stringerlo ancora più forte, lo schermo del suo cellulare s’illuminò con un nuovo messaggio da parte di una delle poche amiche fidate di cui si era circondata per non morire,
– Piccola, come stai? Allora proviamo a ricomporle, tutte quelle schegge?
Improvvisamente, la ragione accorse a salvarla, di nuovo.
Si pentì di averci provato e dopo aver gettato inorridita le schegge nel cassonetto, con la testa tra le mani iniziò a piangere. E quella bimba dai biondi riccioli riaprì finalmente gli occhi.
- Non ho il coraggio! - pensò lei.
La bimba sorrise

- Si che ce l’hai … sono proprio qui! -

Nessun commento:

Posta un commento