martedì 23 dicembre 2014

semifinali - La luce bianca, Anna Cattaneo

LA LUCE BIANCA
Anna Cattaneo

La luce bianca, fortissima, era accecante.
Anna, che si era assopita per un attimo davanti al PC, spalancò gli occhi ma li richiuse subito, ferita da quel chiarore abbacinante.
Stordita, si guardò attorno: la parve di distinguere verso il fondo della stanza un ammasso di calcinacci polverosi, dai quali emergeva una mano.
Scosse la testa. Era come se fosse improvvisamente precipitata in un sogno, o meglio, in un incubo, eppure era conscia di essere vigile, non stava dormendo: era una delle poche cose di cui era sicura.
Si alzò dalla sedia e si staccò dal tavolo sul quale era appoggiato il PC.
Il tavolo e il computer erano le uniche due cose che riconosceva, tutto il resto non le apparteneva: la stanza non era la sua, vuota, disadorna e completamente bianca, senza finestre eppure era pervasa da una luce fortissima, che sembrava essere emanata direttamente dalle pareti.

Si avvicinò al mucchio di calcinacci e vide una giovanetta, riversa su un fianco, all’apparenza morta. Le si avvicinò e la guardò in viso: la piccola aveva gli occhi spalancati, ma privi di qualsiasi luce.
La pelle della ragazzina, più propriamente una bambina, forse, era grigiastra. In un primo momento non riuscì a comprendere se quello fosse il suo colore naturale o se fossero i calcinacci e la polvere che la ricoprivano a conferirle quell’aspetto spettrale.
Anna le pose una mano sul capo, e solo allora si accorse della pesante scheggia di metallo conficcata nella parte destra del cranio.
Gridò, scuotendo la testa e indietreggiando in preda al panico: quello era sicuramente un incubo ed era l’incubo peggiore che avessi mai avuto.
Un attimo dopo, cadde al suolo e perse i sensi.

Quando riaprì gli occhi, non era più nella stanza ma ai bordi di un campo sul quale erano sparsi dei rottami ancora fumanti. Tutto attorno, ovunque dirigesse lo sguardo, schegge di metallo e brandelli informi che la sua mente si rifiutava di identificare. Pur essendo pieno giorno il cielo era scuro e dense colonne di fumo si alzavano dal terreno.
Se quell’incubo fosse durato ancora qualche istante, Anna ne era sicura, sarebbe diventata pazza. Un incubo, altro non poteva essere, ed era convinta che di li a poco si sarebbe svegliata.

– Non vedrai granché! – le parole furono pronunciate da una voce maschile, calda e profonda – Ciò che ti stai rifiutando di riconoscere sono i pochi brandelli di carne e schegge di ossa che sono rimasti mischiati ad altre schegge, quelle dell’aereo. Questo è tutto quel che resta del volo abbattuto da un missile.
– Prima che io impazzisca del tutto, – gemette, – dimmi: chi sei?.
– Dopo ore che passasti, indecisa, davanti al foglio bianco ancora non lo sai? – le chiese lui con aria beffarda.
– Non capisco. – replicò Anna sempre più smarrita.
– Devi deciderti se le tue saranno schegge di morte o di vita. – la incalzò l’uomo.
– Non voglio parlare di morte! – replicò angosciata.
– Anna, ancora non ti arrendi? Ancora non hai compreso che quelli che ti stanno passando davanti sono i tuoi personaggi. La bimba morta con la scheggia nel cranio è vittima dei bombardamenti, non volevi raccontare il dramma siriano? Le schegge e i brandelli fumanti di carne sono tutto quel che resta dei personaggi che avresti voluto far salire sull’aereo abbattuto dalla follia dell’uomo.
– Ma questa è realtà non finzione.
– Dove s’arresta la finzione dove comincia la realtà? La follia umana percorre un labile confine. – proclamò l’uomo solennemente.
– Te lo ripeto non voglio parlare della morte.
– A me però non desti scampo – replicò lui, cupo.
– Chi sei tu, dunque? – gridò Anna, ormai in preda alla disperazione.
– Ricordi Francesco, – proseguì l’uomo con la sua voce profonda, suadente – ricordi l’insignificante professore de “Le margherite falciate nel mese d’agosto”?
– Il mio best seller – sussurrò Anna con una punto d’orgoglio.
– Già – replico l’uomo seccato – a me non desti scampo: mi impiccai a una trave. Come se per un professore come me, con pochi soldi in tasca e una ridicola passione per i classici, non ci fosse altra fine.
– Perché, cos’altro può salvare l’uomo dalla disperazione e dalla follia?
– L’amore! – disse l’uomo.
Anna sorrise e il suo sorriso dovette apparirgli come un riso di scherno.
Con tono risentito, infatti, chiese: – Pensi anche tu che vi sia un limite d’età per innamorarsi?
Anna ammutolì.
– Non vuoi parlare delle schegge frutto delle guerre però hai paura a parlare della scheggia di una freccia scagliata da Eros che si è conficcata qui, nel mio cuore.
– Non so… vedi… – sospirò, indecisa.
– L’amore di cui ti chiedo di parlare è puro come può esserlo un amore che non è spinto da desideri carnali; è puro perché è senza speranza: sono cosciente che non potrà mai essere ricambiato, nemmeno dal più casto dei baci. Al tempo stesso, però, esso è di una forza inaudita perché mi ha ridato quella gioia di vivere che le traversie della vita avevano da tempo sopito.
– E perché dovrei parlare di un amore così?– chiese Anna.
– Perché non dovresti? L’odio, l’invidia, il rancore, ogni altro sentimento umano finisce con la morte e con la morte si annienta, ma non l’amore. Hai detto poco fa che non volevi parlare di morte, e vi è un’unica arma che sconfigge la morte: l’amore, perché solo l’amore sa andare oltre la morte.

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