martedì 23 dicembre 2014

semifinale - Schegge senza forma, Andrea Di Lauro

Schegge senza forma
Andrea Di Lauro

Eppure si ritrovava sullo stesso sentiero, percorso non più di un paio di ore fa. Quel giorno Jacob, considerato da tutte le persone del luogo come un uomo statuario e dai muscoli di granito andò per boschi, inoltrandosi in un luogo austero, ostico e quasi dimenticato. L’andata si era rivelata tortuosa ma tutto sommato nelle possibilità del robusto boscaiolo, ma al ritorno, la causa che fece accelerare freneticamente i suoi battiti cardiaci fu il repentino imbrunire del cielo autunnale. Galoppando sgraziatamente, scendeva verso valle, ansimando e rimuginando su qualche particolare che potesse ricordargli la giusta strada, anche se le luci delle abitazioni ancora non arrivavano alla vista. Una sensazione che ormai aveva scordato prese le redini della sua mente, ed essa gli parlava attraverso il primordiale linguaggio del panico. Guardava in una direzione, poi in un’altra, si voltava velocemente, cercando di mettere a fuoco il sentiero battuto tra gli alberi di castagno, ma i contorni del luogo divenivano sfuocati, forse per il fatto che la discesa veniva scandita dalla fretta, o forse per la paura offuscatrice. Jacob, l’enorme gigante, ricordato nella taverna del paese come uomo tutto d’un pezzo e forte come un toro, era in balia del bosco, che pur non muovendosi, ammantava ombrosamente la piccola creatura umana che aveva superbamente osato valicare i suoi confini in un orario poco raccomandato.

Silenziosamente cadeva nella trappola dei castagni e degli abeti, delle foglie cadute che nascondevano l’artificiale sentiero, dei solchi e degli arbusti tutti troppo simili agli altri per poterli distinguere, dell’ambiente ovattato e privo di molesti rumori, il quale permetteva facilmente l’emersione delle sue terrificanti emozioni. Imprigionato, come lo sfortunato esploratore che affondava in sabbie mobili, più si muoveva e più sprofondava nel bosco ormai permeato dalla penombra. Più correva e cambiava direzione, più veniva inglobato nella selvatica e inospitale foresta. Un luogo così tranquillo, pacifico, paradisiaco e brulicante di creature che vivevano in simbiosi con esso, senza attuare azione alcuna e servendosi della notte era capace di uccidere.

Ma d'altronde, l’uomo è l’unica creatura che tramite la propria arbitraria decisione si allontana dalla natura accettandone le conseguenze.

Trascorsero le giornate, la pioggia susseguiva al vento umido e al bruciante calore solare, e di Jacob non si ebbe più alcuna notizia, né traccia. Il carpentiere disse che aveva troppo lavoro arretrato, il fornaio che i suoi giorni erano costituiti dalle ore di sonno, il pastore invece affermò di non poter lasciare soli gli animali. Eppure in cuor loro, erano consapevoli delle parole prive di sincerità. Soltanto la paura fermò i passi che potevano dirigersi verso la foresta, la quale dall’alto, osservava i piccoli esseri superbi che nel corso dei secoli si erano da lei allontanati, decidendo di rinchiudersi in una gabbia con le sbarre placcate d’oro.

Perché la lucentezza può sedurre l’occhio tramite l’illusione di una ricchezza che alla fin fine imprigiona.

Preferirono stare al sicuro, nel loro nido artificiale, piuttosto che rischiare e cercare il disperso.

Difatti la sicurezza dà potere, ma in cambio cede una vasta quantità di noia che pian piano attecchisce il guizzo vitale che ogni essere umano possiede.

Niente poteva competere con un paio d’ore vissute in simbiosi della natura. Non c’era aratro, o leccornia, o pelliccia, o poltrona; non esisteva nessun tipo di comodità o piacere che riusciva a eguagliare la reale felicità duratura di cui era capace la compagnia del mondo naturale.

Tuttavia, le creature che si definivano intelligenti continuarono a costruire case e villaggi che non servivano più a proteggere, ma a imprigionare; perseverando in direzione di futili ed effimeri scopi, sospinti da un inconscio soggiogato che non era loro. Un inconscio impiantato da esseri similmente umani, ma che avevano più potere, perché possedevano quantità enormi di strani ritagli cartacei rettangolari.

E continuavano a distanziarsi, a staccarsi, a elevarsi al rango di marionettisti del pianeta e dei suoi figli, senza accorgersi di essere loro stessi marionette di una mente che non gli apparteneva. Piccoli organismi dalle potenzialità assopite, che nascevano svegli per poi addormentarsi, cullati dalle rassicurazioni del controverso sistema che avevano creato. Venivano al mondo neutri per poi essere insozzati dalle piatte e limitanti credenze che quello stesso sistema fagocitava velocemente, violentemente e astutamente. Vaste orde di uomini ipnotizzati, totalmente privi del concetto di verità, perché la verità era solo ciò che giornalmente e comodamente gli veniva ripetuto fino alla saturazione, fino alla fastidiosità, fino all'accettazione... Fino all'abitudine.

Eppure, che cos’era l’uomo se non natura? Natura, certo, ma di una tipologia che poteva prendere la decisione di rinnegare se stessa, autodistruggendosi in qualunque momento e in qualunque modo. Era un frammento assai tagliente che si era staccato dal tutto, e che sospinto da pensieri boriosi voleva infiltrarsi in percorsi non consoni alla sua anima.

Una scheggia che poteva manifestare la più alta forma naturale, ma anche la più bassa, la più infima, la più abietta.

Ma, lontano dalla putrescente palude circondata dal veleno artificiale, nascosto dalla vegetazione, rimaneva ancora qualche frammento diverso, che dopo essere stato reciso prendeva la decisione di ritornare alla propria materia madre. Una scheggia senza contorni, e dunque senza forma, che era giunta al seno materno per poter ritornare neutra.

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