martedì 23 dicembre 2014

semifinale - Schegge di memoria, Lamboston

SCHEGGE DI MEMORIA
Lamboston

Quante volte passeggiando per le vie della tua città ne percorri una e, soprappensiero, senza particolare attenzione, ti trovi ad averla percorsa tutta, senza che ti abbia detto nulla, anche se si tratta della strada nella quale hai vissuto la massima parte della tua vita.
Quante volte capita... ed è sempre tutto giusto, rientra nella normalità.

A volte potresti scrivere un romanzo percorrendo quella strada, solo percorrendola, guardandoti intorno, a destra e a sinistra e abbandonandoti alla meraviglia della memoria.
Questo non significa che sei improvvisamente preso dalla nostalgia o da ricordi dai quali non riesci a uscire, anzi. Significa semplicemente che ripercorri quella strada, guardando avanti con gli occhi di “qualche anno fa”, e ricordi persone, fasi della tua vita che ti hanno segnato profondamente, anche se adesso quelle persone non ci sono più oppure hanno fatto un altro percorso.
Io stesso mi ritrovo qui, a bighellonare per viale Orsini, eroe e martire partigiano, dopo essere stato, per anni, lontano fisicamente, o dopo averla ignorata, nel senso di cui parlo, per altrettanti anni.
Seicento metri, solo seicento dividono la mia casa di oggi da quella del 1970 e ci sono seicento metri di storie da raccontare, di fatti, di immagini, di volti sempre presenti.
La mia casa di ieri e, nel gruppo di case, vedo, come fosse oggi, quel vecchio signore “fascista vero” con la sua signora, e Valerio con sua figlia e il cane Fers padrone del quartiere, fino all'arrivo del mio Rabbi.
E insieme Vincenzino con Sonia e Roberta e di fronte “la villa”, aperta solo d'estate, dei ricchi Conti da Roma: tutti belli e belle, perché coi soldi puoi fare tutto, ma proprio tutto; in questo il mondo non è cambiato, anzi.
Sotto casa il nostro negozio, poi spostato poco più avanti. Al posto del nostro negozio Fernando il barbiere, che oggi va in giro ingobbito per essere sempre stato curvo e amorevolmente “chino” sui suoi clienti per tanti anni. E il macellaio Dante con Anna e i loro fantastici salamini e la libreria di Franco ed Enzo, già allora magico luogo pieno di meraviglie; già, quando ancora il sogno proibito era leggere e leggere e leggere sempre più.
E a qualche metro la pasticceria argentina. E Regalino, il portiere del palazzo di fronte.
Penso di aver già messo in cantiere chissà quanta storia da poter raccontare, quasi si trattasse di aver già completato la via di cui ti parlo.
E invece no, non mi sono ancora mosso dalle finestre di quella mia casa del 1970! Ho solo percorso la stanza-studio di papà e l'immenso balcone che copre l'intero lato ovest della palazzina e metà del lato sud!
Nella mente l'ho percorsa più e più volte viale Orsini e ho visto e contato più di cento persone e ancora cento luoghi e case e negozi e botteghe artigianali, fino a giungere alla fine, dove, come un “monumento al disprezzo della memoria” sorge quella che una volta è stata la nostra scuola elementare, dedicata al fondatore della città “Giulio Antonio Acquaviva”.
Monumento al disprezzo della memoria perché questo edificio, sicuramente non bello ma maestoso, ora giace, chiuso, cadente e monco, su piazza “Martiri delle Fosse Ardeatine”, a perenne monito alla memoria disprezzata.
E allora non vale la pena cominciare a parlare degli uomini, delle donne, dei bimbi che siamo stati in quella via, per tanti anni, tanti cittadini che ora cominciano a invecchiare.
Piuttosto voglio raccontarti del mio cane Rabbi: credo l'unico cane al mondo che, con una forza e una volontà particolare, ha deciso chi dovesse essere il suo padrone (ma è meglio chiamarlo “migliore amico del cane”) e che con indomita perseveranza, ha ottenuto, in breve tempo, quello che era il suo desiderio.
Rabbi era un bastardotto bianco pezzato di nero, come ce ne sono milioni in giro per il mondo, sicuramente muscoloso e giovane, che un bel giorno si trovò a gironzolare, non ne conosco i motivi perché non me li volle raccontare in vita, sotto la mia casa.
Dovrei avere avuto 14 o 15 anni, frequentavo il liceo, ero uno dei primi ragazzi, dalle mie parti, che si cimentava in quello sport che oggi chiamano “jogging” e che per me era “andare a correre sul mare la mattina prima di andare a scuola”!
Una di quelle mattine mi accorsi che c'era dietro di me questo quadrupede ignorante che, invece di presentarsi e chiedermi se potesse accompagnarmi, cominciò a seguirmi passo passo, quasi ci fossimo conosciuti da sempre.
Non me me curai; all'epoca non c'era il terrore di dover tenere lontani persone, cose, animali dalla nostra vita in quanto “è pericoloso”, “non sai chi incontri” e menate di questo tipo. Si viveva senza il terrore del prossimo e delle malattie e della droga e dei pedofili e dei cani che ti corteggiano.
Il cane mi seguì per tutta la corsa, non dando mostra di stancarsi né, tanto meno, di volermi abbandonare.
Finita la corsa tornai a casa per il rito “doccia-colazione-ciao mamma vado a scuola” e, scendendo sotto casa, lo trovai ancora lì.
Tornai indietro, gli portai qualcosa da mangiare, non reagendo all'ira di mamma che mai avrebbe voluto un animale in casa e che “non dargli queste abitudini ché altrimenti ce lo troviamo dentro casa”!
D'altra parte, povera mamma, non aveva tutti i torti, tra papà, me e i quattro miei fratelli, di animali in casa ne aveva già in abbondanza!
Trascorsero vari giorni e sempre questo strano soggetto mi gironzolava attorno; presi allora una decisione: insieme con Mimmo, mio caro amico e fratello, decidemmo di andare dalla parte opposta della città, in un luogo davvero lontano e apertamente in campagna (almeno allora). Il cane ci avrebbe seguito senz'altro.
Da lì ci saremmo mossi per vie diverse per tornare a casa, facendo in modo di farlo perdere e quindi di non ritrovarcelo tra i piedi.
Così facemmo e riuscimmo a far perdere le nostre tracce. Già: per ben venti minuti, trascorsi i quali trovai il mio amico e signore pronto al mio fianco a leccarmi la mano, anche se un po' sudato per la corsa.
Fu così che lo chiamai Rabbi.

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