martedì 23 dicembre 2014

semifinale - Vittorina delle meraviglie, Alessia Nolli


VITTORINA DELLE MERAVIGLIE
Nolli Alessia


È un giorno speciale, mentre Vittorina si alza emozionata. Oggi, giovane sposa, corona il sogno di una vita. Questo ricordo indelebile sarà con lei per sempre.
C’è una sua vecchia bambola di porcellana sulla mensola della casa paterna, con un finto sorriso sottile, i capelli di lino pettinato e un vestitino rosso con i fiori sui bordi. La porterà nel nuovo nido d’amore, per farci giocare i futuri figli e nipoti.
La ragazza sta alla finestra, guardando il sole correre in cielo, assaporando l’aria fresca del mattino e il caldo sole sulla pelle. Il suo pappagallino parla con lei, in questo giorno felice.
Guarda il pozzo del cortile, la stalla e le signore sul ballatoio. Sussurrano emozionate, aspettando la sposina con i nipoti attaccati alle gonne.
L’organza bianca e il velo per la chiesa, i fiori freschi e il sorriso splendido incorniciano questa mattina di gioia e d’azzurro. E il giorno passa, Vittorina si corica stanca e moglie.
Stamattina si è svegliata presto perché il sole fa capolino tra i tetti delle case, e lei ha tanta voglia di giocare. Passa i pomeriggi a correre nei cortili, con bambini di cui non si ricorda più nemmeno i nomi. Con la gonna al vento e i capelli sciolti, corre a nascondersi dietro al pozzo, mentre la piccola Maria conta fino a trenta.
In questo sabato di maggio dovrebbe fare i compiti, ma è una giornata così limpida e tiepida, che tutto sembra chiamarla fuori in cortile.
«Alle 12:00 a casa, che oggi si mangia la polenta» Mamma Francesca è un po’ burbera, ma non può certo lamentarsi, perché sua figlia Vittorina ama molto aiutarla in casa. Pulisce le stoviglie fino a farle brillare, lava i panni al lavatoio con la sua piccola asse di legno, cucina per il fratellino e studia senza che qualcuno le dica di farlo.
Ma questa quotidianità non è pesante, e nemmeno una bambina come Vittorina si lamenta per la fatica. È semplicemente sempre stato così.
E poi ci si diverte giocando a nascondino, a castellone, alla palla, alla corda e al cerchio di ferro che corre per le strade.
«Ieri ho cucito un nuovo grembiule, la Tecla me lo invidierà sicuramente. La nuova Singer che mio marito mi ha comprato fa dei miracoli, dei capolavori.» Dice Francesca, mentre sferruzza attenta.
Poi pensa alla sua fede donata allo Stato, costretta dal partito per aiutare i soldati in guerra. E come pegno i fascisti hanno lasciato a ogni famiglia un anello in alluminio del partito, con scritto all’interno “Credere, Obbedire, Combattere”.
Ma è ora di andare a nanna. Vittorina s’infila sotto le pesanti coperte, mentre la mamma le accarezza piano la fronte. Alcune ciocche si spostano morbide sul cuscino di piume, e Francesca sorride alla sua bambina.
Vittorina si sveglia presto, come tutti le signore anziane che non sentono il bisogno di dormire. Ricama con amore, come ha imparato dalla sua mamma, e passa le serate a creare capolavori per il corredo. Da quando ha iniziato a lavorare in fabbrica, il tram la porta a casa sferragliando sulle rotaie.
E Poi quei giochi con la nipotina, semplici e divertenti, mentre la piccina affonda le mani nella sua borsa che sa di naftalina, sfiorando un foulard e i guanti di pelle, il borsellino pieno di monetine e il ventaglio ricamato, pronto per l’afa della messa domenicale.
Sistema lo scaldino sotto al letto, stira con ferro a carbonella e aspetta il figlio per il pranzo.
«Buongiorno Vittorina.» Una dolce signora vestita di bianco entra con il vassoio della colazione.
«Si sente bene oggi?» La donna non risponde, persa nel paesaggio primaverile.
La signora Vittorina sta spesso in silenzio, piena di ricordi. L’infermiera appoggia la colazione sul tavolino, avviandosi verso le stanze degli altri pazienti. «Io vado signora, si ricordi che questo pomeriggio verrà a trovarla sua nipote.»
«Allora ci vediamo dopo Angela, che devi aiutarmi a lavare i panni. La mia schiena non è più buona come una volta, le lenzuola pesano quando sono piene d’acqua. E poi al lavatoio ci sono sempre quelle pettegole del piano di sopra. La Gina, la Teresa e la Adele….»
Angela esce sorridendo dalla camera della clinica. La signora Vittorina è loro ospite da cinque anni, ma c’è quel qualcosa che la fa tornare spesso alla sua giovinezza. Parla solo del suo passato, e lo vive ogni giorno, convinta di trovarsi nel suoi indimenticati anni Sessanta.
Ama parlare di casa sua, di quello stanzone diviso da un separé di legno dove è nata e che ha lasciato solo dopo il matrimonio. Della cucina calda piena di tanti odori, del profumo di legna e fumo, e di una stanza gelida d’inverno, con i fiori di ghiaccio alle finestre.
L’infermiera Angela la lascia raccontare, perché quelle schegge di ricordi non fanno del male a nessuno, e lei ama sentire le storie che Vittorina racconta.
E anche Angela, a sua volta, è diventata una signora del cortile, personaggio reale di quelle casupole immaginarie con le pentole di rame alle pareti, le tovaglie all’uncinetto e le coperte fatte a mano.
Ora entra, ora esce, compagna segreta di quell’anziana signora. Amica, confidente o a tratti estranea.
Quei pochi assaggi di lucidità le rendono perso lo sguardo. Ma le schegge impazzite tornano a prenderla, come un piccolo coniglio bianco, e Vittorina è di nuovo nel suo cortile, bambina e donna, con la gonna fino al polpaccio, ad ascoltare la radio o a giocare a carte, o a scrivere un diario che accoglie i suoi pensieri per l’eternità.

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