martedì 23 dicembre 2014

semifinale - Schegge, Massimo Granchi


Schegge
Massimo Granchi

«Vieni qui, tu! Raccogli tutti i pezzi!» ha urlato l’uomo come un indemoniato. Sì, proprio come il diavolo, con la stessa faccia ingrugnata.
“Che paura. Come faccio a raccoglierli?” pensa Salvatore mentre crede di aver visto anche le corna e fugge senza voltarsi. L’uomo era sul letto addosso a una donna. Era nudo e sudato. S’è alzato quando ha sentito il frastuono e s’è infilato in fretta i pantaloni. La donna è rimasta sul materasso, confusa, avvolta dalle lenzuola illuminate dal sole crepuscolare. La finestra era aperta sulla stanza. Salvatore aveva sbirciato, aveva accarezzato mobili e pareti con lo sguardo, e infine aveva visto un groviglio di corpi.
La villetta abbandonata sulla collina era un po’ la sua. Era sempre stata vuota nelle ultime due settimane. Salvatore si era trasferito al mare con i genitori dopo la chiusura della scuola. La località estiva, con le case bianche a schiera abbarbicate sul fianco della collina, i giardini, la macchia mediterranea, era diventata un dominio incontrastato da esplorare e invadere. Il bambino aveva cominciato la perlustrazione il primo giorno, partendo dal porticciolo e fino alla caletta per scovare lucertole, gechi e granchi.
Quel pomeriggio, giunto sulla collina dopo un calcio al pallone, aveva sentito rumori dentro la casa. Aveva trovato la finestra aperta, gli era parso strano e aveva voluto curiosare. Aveva smosso le ante di legno. Due minuti dopo aveva sentito lo schianto. Crash! Cocci rotti sul pavimento. Non potevano essere stati quei due sul letto perché erano troppo indaffarati a fare altro, e come lo facevano!
Salvatore aveva fatto cadere inavvertitamente un vaso che poggiava sul davanzale. Era stata troppa l’emozione di vedere due adulti fare l’amore. Non gli era mai capitato prima. Poi gli era venuto incontro il demonio. Dopo pochi istanti di raccapriccio, Salvatore aveva voltato le spalle ed era corso lungo la strada sterrata che attraversa un campo di grano, maturo in quella stagione, come la sua fantasia. Si era allontanato con le infradito ai piedi che facevano clap, clap, clap, clap nell’aria come fossero schiaffi.
Il vento di maestrale porta l’odore di mare in quel punto della collina. Salvatore lo conosce bene perché è lì che va ogni mattina: passa accanto alla villetta abbandonata per raggiungere la roccia sovrastata dalla torre spagnola. Quando raggiunge la cima, urla «Ciao!» contro l’acqua che rolla ai piedi della scogliera e aspetta l’eco. Si siede sul macigno più grande, fissa l’orizzonte sfidando le nuvole, sente che qualcosa gli entra nei polmoni e ignora cos’è. Che vuoi che ne sappia lui dello iodio, ma è molto meglio dello smog che respira in città! Dalla torre spagnola, Salvatore vede appena gli scogli e li immagina ricoperti di patelle e ricci gustosi che mangia crudi a merenda con un po’ di limone.
Anche adesso, mentre corre, Salvatore percepisce l’odore di salsedine. È a piedi nudi. Le infradito si sono rotte e sono volate via. Gli viene da ridere forte, ma gli è anche venuto un colpo. Si volta in segno di sfida. Sente il cuore in gola, ha gli occhi sgranati, il respiro corto e irregolare. La ghiaia gli buca i calcagni. Lui vacilla sulle caviglie come se fossero di gomma, ma non cede. Sente i muscoli tesi che rispondono agli impulsi nervosi.
L’uomo grida ancora «Corri, va’ che è meglio!» ma è lontano. La sua voce si sperde mentre stringe i pantaloni all’altezza della vita con una mano.
“Com’è ridicolo!” pensa Salvatore. “Lo so io cos’ho interrotto, brutto maiale! Ci credo che sei incavolato nero!” gli viene da considerare. Ha solo dieci anni ma sa come nascono i bambini. Gliel’ha raccontato suo cugino Matteo che invece ha tredici anni e bacia Tamara sulla bocca. È ancora sull’uscio quel poveretto. Agita il pugno come a dire “se ti prendo” ma Salvatore vola, è una gabbianella e ha quasi raggiunto la spiaggia.
Voleva il suo pallone, Salvatore, quando si è avventurato sino in cima alla collina. Era finito troppo in alto, oltre il muretto di sassi e capperi, dopo un calcio infervorato. È successo a seguito del gol di Di Maria contro la Svizzera.
«Tutto in tre minuti, tutto nei tre minuti prima della fine dei tempi supplementari!» aveva commentato lo speaker «L'Argentina ringrazia il dio del pallone e approda ai quarti di finale del Mondiale al termine di centoventi minuti infuocati, con gli ultimi cinque diventati veramente incandescenti». Che spettacolo! Salvatore non aveva contenuto l’emozione. C’era un po’ d’Italia in quel gol, in quel cognome, Di Maria. Il bambino si era sentito ripagato della frustrazione subita dopo l’esclusione degli azzurri dal girone di qualificazione. Era eccitato ed era corso fuori a giocare.
Aveva fatto qualche carambola tra le sdraio commentando a voce alta le sue prodezze come fosse lo speaker della televisione. Aveva tirato con potenza prima contro il muro, poi a sinistra verso il bagnasciuga, infilando la sfera tra i turisti colti di sorpresa e cotti a puntino dal sole. Poi aveva calciato a destra ancora più forte e aveva urlato «Gol!» con il sangue che fluiva nelle vene al ritmo delle gambe. Il terzo lancio era andato oltre il tetto, aveva superato la sua casa, era atterrato sulla collinetta che lui vede ogni mattina dalla sua stanza. L’aveva raggiunta, aveva superato i primi duecento metri, era arrivato in cima e aveva trovato il suo pallone sotto la finestra della casa abbandonata. Si era chinato per raccoglierlo e aveva sentito mugolii, respiri intensi, cigolii giungere dall’interno. Aveva spiato e aveva visto l’uomo e la donna sul letto, avvinghiati, che facevano l’amore.
“È un’estate fighissima!” pensa ora Salvatore mentre, seduto sulla soglia di casa dopo la corsa a perdifiato, suda, si gode la vista dell’arenile e riposa senza incombenze. Quante cose ci sono ancora da fare! Domani andrà a pesca di gamberi con il retino, poi a nuotare e dopo alla grotta di Santa Maria a vedere i famosi riflessi blu dell’acqua che danzano contro le pareti di scoglio. I polmoni si aprono, il cuore martella pompando ossigeno e fermento verso la mente. Salvatore ancora non lo sa, ma questa stagione, esplosiva e unica davvero, lascerà per sempre i segni, come schegge, nella sua anima.

Nessun commento:

Posta un commento