martedì 23 dicembre 2014

semifinale - Passeggiata notturna, Gianluca Ingaramo



Passeggiata notturna
Gianluca Ingaramo

- 1 -

Nadia odia la confusione sui mezzi pubblici, detesta l’autobus sovraffollato. Al termine della giornata, vuole soltanto rilassarsi nel viaggio verso casa, approfittare del breve tragitto per liberare la mente dalle mille preoccupazioni dell’ufficio.
Invece, si ritrova costretta in uno spazio angusto, aggrappata a un sostegno, sballottata dagli scossoni del veicolo e spintonata dai soliti maleducati. Tiene lo sguardo rivolto verso il finestrino, sia per evitare di invadere la sfera della riservatezza altrui, sia per estraniarsi dalla situazione in cui si trova. Cerca conforto nei suoi pensieri e nell’altrove.
Neppure si accorge dell’uomo che, da quando è salita, continua a osservarla con insistenza, ne spia ogni minimo movimento. Un impulso improvviso la spinge a scendere alcune fermate prima di casa: lì dentro, l’atmosfera è soffocante, lei è certa che fare quattro passi all’aperto e nell’imbrunire possa contribuire a rinfrancarla.
Cammina adagio, inspira profondamente l’aria fresca della sera. Tempo che le luci posteriori dell’autobus si allontanano, lei si sente già molto meglio. Al contatto con l’asfalto, i tacchi delle sue scarpe producono un suono dalla cadenza quasi ipnotica, sul quale si concentra per liberare la mente da tutte gli altri pensieri. Solo allora si accorge che quello dei suoi passi non è l’unico suono a turbare il silenzio della notte. Percepisce un movimento furtivo dietro di lei. Sembrano passi di un uomo con scarpe dalla suola di gomma, passi di un uomo che la segue.
Decide di camminare più veloce, ma anche l’inseguitore accelera per tenerle dietro. Il già esiguo vantaggio continua ad assottigliarsi, o almeno così le pare, anzi ne è ormai del tutto certa. Vuole evitare di voltarsi: sa che, con un semplice gesto, lascerebbe intendere all’altro la propria paura, che lei e l’inseguitore si trasformerebbero in cacciatore e preda.
Alla fine, si mette a correre, rallentata dalle scarpe con i tacchi. A questo punto, il portone di casa non è più molto distante. La salvezza è prossima, questione di pochi istanti.
Ma l’uomo è più veloce di lei. La raggiunge, la afferra per un braccio e la trascina nel vicolo buio. Le copre la bocca con una mano e la spinge contro il muro. «Se ti comporti bene, non ti farò troppo male», ansima a corto di fiato per la corsa. «Se urli, giuro che ti ammazzo».
Lei annuisce, fissando con occhi dilatati dalla paura il viso brutale dello sconosciuto, il quale ritira cautamente la mano. «Farò tutto quello che vuoi», gli risponde.
«Così rendi le cose più facili», concorda lui con voce roca e impastata dall’alcool. «Vedrai che ci divertiremo». Le sorride, rivela scorci di una dentatura devastata dalla carie, un panorama alieno e sfigurato, nel quale i pochi e nerastri denti rimasti si stagliano come lapidi.
Proprio in quel momento, lei perde il controllo delle proprie azioni, gli passa le mani dietro la nuca e lo attira a sé, come se avesse intenzione di baciare la bocca martoriata dell’assalitore. All’ultimo istante, gli affonda le zanne alla base del collo.
«Che cosa stai facendo?», grida l’uomo. «Smettila! Mi fai male!». Adesso, le parti si sono invertite, lui non è più in grado di dare ordini. Si trova in balia della ragazza che si nutre del suo sangue, mentre lui cerca invano di liberarsi da quella presa mortale.
Finalmente sazia, Nadia lo lascia cadere, ormai privo di vita, sul marciapiede. Si deterge con il dorso della mano il sangue dalla bocca. Il fare quei quattro passi non solo l’ha rinfrancata, ma ancora una volta ha permesso il risveglio del demone latente che la possiede, è riuscito a fornirgli il liquido sostentamento di cui ha bisogno per vivere.

- 2 -

Nella notte riecheggia ancora un suono cadenzato, invitante come il canto delle sirene, di tacchi sull’asfalto. La creatura ha preso gusto dall’appagamento della sete di sangue, vuole continuare la camminata. Davanti al portone di casa, quel suono di morte ancora prosegue: in fondo, si tratta di una bella serata, l’aria è rinfrescata, si possono fare altri interessanti incontri.
La creatura è attratta dalla vetrina illuminata di un negozio di abbigliamento: si ferma e guarda incuriosita un vestito da sera, abbassa le difese, sopraffatta dal rimpianto di altri tempi e di altri luoghi. Lo sguardo indugia un istante di troppo sul vetro, si accorge di qualcosa che si dovrebbe vedere, ma che brilla per l’assenza: l’immagine riflessa. Il vampiro colpisce la vetrata con forza disumana, la manda in frantumi per cancellare quella visione, ma ormai Nadia ha riconquistato la consapevolezza e lotta per riprendere possesso del proprio corpo.
La parte umana comanda alle unghie artigliate di conficcarsi nella carne, di scavare solchi profondi nel volto attraente, e proprio il dolore lancinante la aiuta a trionfare sulla parte demoniaca. È una ragazza sconvolta quella che si china a raccogliere le schegge di vetro: per lei ora sono come un mosaico, solo se riesce a ricomporlo può scoprire la verità, ricacciare nell’inferno il suo demone. Ogni frammento di vetro equivale a una scheggia di memoria; è tagliente, le dita si feriscono nel maneggiarlo, così come il cuore sanguina nel ricordare la trasformazione.
Nadia avvicina i frammenti, cerca di farli combaciare, e finalmente vede riflesso il suo viso, striato dal sangue e trasfigurato dall’espressione allucinata. Riesce allora a recepire l’orrore di tutti gli omicidi commessi, a ricordare la sua passeggiata notturna, un mero pretesto per attirare la preda nella trappola mortale. Si trattava di un malintenzionato, ma poco importa. Quel rituale si è ripetuto troppe volte, lei inorridisce di fronte alle immagini dei tanti e cruenti omicidi.
Questa volta la controparte demoniaca è troppo debole per vincere: lei frena la trasformazione, con mano ferma impugna una delle schegge più grandi e, ancora nella sua forma umana, si taglia i polsi e lascia che le sue vene restituiscano poco alla volta il sangue rubato.

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