martedì 23 dicembre 2014

semifinali - All'ombra del padre, Anna Maria Scampone

ALL’OMBRA DEL PADRE
Scampone Anna Maria
Sbarro gli occhi. In gola l’urlo che ha accompagnato il mio risveglio. Il buio mi avvolge come un sudario immondo . Non so dove sono, non so chi sono. So solo che ho dannatamente paura del buio e dei fantasmi che vi si celano. Tremo, i capelli incollati al viso, le vesti madide di sudore, il respiro corto. Poi ricordo ed è peggio. Non so più da quando sono qui. Ho perso il conto dei giorni ormai. Cerco il sollievo di un po’ di luce, ma dalla feritoia che mi fa da finestra, non arriva che un chiarore opaco, giusto una pallida idea di luna.

Ho una sete tremenda, la lingua gonfia, le labbra screpolate. A tastoni cerco la brocca dell’acqua. Esito, affondando la mano nel buio della stanza. Un fruscio mi avverte che non sono sola. Qualcosa mi sfiora. Un tocco lieve e umido che mi fa accapponare la pelle. Mi ritraggo d’istinto, mentre il ratto squittisce. Anche lui ha paura, penso.

Non sono preparata a tutto questo. Proprio no. Il carico doloroso dei ricordi si affaccia alla mia mente, sovrapponendosi in un vorticare di frammenti di vita, nascosti tra le pieghe del tempo, schegge impazzite che lacerano in profondità . Implacabili, inesorabili, mortali.

Come d’incanto sono in giardino, le mani sulle orecchie. Mi sono rifugiata là per non sentire le urla dei miei. Mamma e papà litigano spesso. A dire il vero, è papà che urla, mamma sta zitta, subisce e piange in silenzio. Poi mi rassicura cercando di frenare il tremito delle mani. Non è niente, dice, non è niente! Papà è nervoso!

Un’altra scheggia. Dolorosa e indelebile come lo sono gli schiaffi, i calci, i pugni. Lividi del corpo e dell’anima. Sono in corridoio e guardo, non vista, nella camera dei miei. Intravedo mamma riflessa nello specchio. Avanzo esitante nella stanza e le accarezzo i capelli. Il suo sguardo spento mi sfiora appena. È come se non vedesse il mio sgomento riflesso accanto al suo viso tumefatto. Mamma, sussurro, mamma… lei mi zittisce, l’indice sulla bocca a chiedere la tregua di un silenzio.

Non c’è tregua invece per me. Il passato mi perseguita. Dal buio emerge la voce di mio padre, il suo odore di maschio, la ruvidezza delle carezze. La piccolina di papà, mi dice attirandomi a sé. Il suo alito puzza di d’alcool, ma non è di questo che ho paura. Ho terrore della sua collera. Troppe volte l’ho vista abbattersi su mia madre e su di me. Trattengo il respiro, lo assecondo, non reagisco nemmeno quando la sua mano scivola sulla mia schiena e si spinge audacemente sempre più giù.

Fa freddo ora in questa cella maleodorante e stretta. Anche al buio potrei dire quante mattonelle mi separano dalla massiccia porta che ha ridotto il mio mondo. Piango. Lacrime calde di pietà per la bambina che sono stata. Vi odio, urlo rabbiosa, vi odio entrambi! Ascolto sorpresa l’eco delle mie parole infrangersi contro le pareti di pietra. Trasudo risentimento ora. Sono stata la vittima della furia di mio padre, sono la vittima del silenzio complice di mia madre. Sola, violata nel corpo, annientata nell’anima, ripenso a quanto è stato. Rivivo la mia vita come fosse riflessa in uno specchio rotto. Schegge di cristallo, sottili e pungenti come aghi, tessono una trama invisibile sulla superficie, nascondendo l’insidia dei bordi acuminati dietro l’apparente perfezione del vetro. Così la mia vita. Ho occultato le crepe dell’anima, nascondendo accuratamente la vergogna e l’umiliazione. Ma fa dannatamente male!

Volevo essere uguale alle altre. Spensierata, serena, allegra. Ero, al contrario, schiva e taciturna, prigioniera dei miei segreti. Invidiavo le mie coetanee, le loro vite perfette, i vestiti all’ultima moda, la tranquillità della loro esistenza. Io invece mi infagottavo in maglioni informi, nascondendo i lividi sotto strati di fondotinta. Se solo sospettassero, pensavo disperata, oh Dio, no…non potrei sopportare i loro sguardi pieni di commiserazione.

Quando è che ho detto basta? Il ricordo si perde e si confonde, insieme alle urla di ribellione di un’altra me, una più forte e coraggiosa di quanto lo sia mai stata io. L’ho ascoltata gridare e affermare i suoi no. Perché non taci, l’ho supplicata, così lo fai arrabbiare di più. Ho cercato, con lo sguardo, il sostegno di mia madre, ma lei è ormai solo un guscio vuoto, un pallido fantasma che si aggira nella nostra casa sussultando a ogni rumore,

Mio padre mi ha picchiata. Ci è andato giù duro, affievolendo con la forza la mia determinazione. Lei lo ha lasciato fare, senza una parola o un gesto. Non ha reagito nemmeno quando lui mi ha presa per i capelli e mi ha trascinata fin qui, lasciandomi priva di sensi, in questa prigione buia. Da allora, giorno e notte si sono fusi in un unico, tragico tempo scandito dai ricordi, dalle lacrime e dalla paura.

Brucio di sete. Tremo, battendo i denti. Forse ho la febbre, forse muoio. Mi induco ad allungare la mano ancora una volta. Serro gli occhi, le dita già sul bordo della brocca. La tiro cautamente a me, ignorando lo squittio nascosto nel buio. Non contiene nemmeno una goccia d’acqua, e a quel punto esplodo. Imprecando scaglio la brocca contro il muro. No, non glielo faccio il favore di crepare! Non lo so da dove arriva questo rigurgito di ribellione, ma mi ci aggrappo con disperazione. Alla fine però crollo in un sonno popolato da incubi.

Nel sogno c’è mio padre che mi guarda preoccupato. Mi scuote e mi chiama, ma non riesco a svegliarmi. Lo vedo tra le palpebre socchiuse. Ha il viso contratto in una smorfia grottesca. Dietro di lui, sulla porta, mia madre più pallida del solito, quasi eterea. Si torce le mani, mugolando piano qualcosa di indecifrabile. Tendo l’orecchio. Cosa le hai fatto? mi pare che dica, cosa hai fatto… Ora è accanto a lui, il viso rigato di lacrime. Sento le sue mani su di me. Amorevoli, premurose, calde. Scosta una ciocca di capelli dal mio viso e mi culla come fossi una bambina.

Me ne vado così, stretta tra le sue braccia, confortata dalla sua voce. In lontananza, sempre più indistinta, l’ombra di mio padre.

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