martedì 23 dicembre 2014

semifinali - Bellezza, Gloria Togni


BELLEZZA
Togni Gloria
«Sono un completo disastro, Koji San» dissi chinandomi a raccogliere i cocci della teiera in ceramica Raku sparsi sulla stuoia di bambù. «Un completo disastro» ribadii scuotendo la testa.

Il maestro guardò in silenzio i frammenti bianco-azzurri, poi, facendo frusciare la seta del kimono, si inginocchiò accanto a me, aiutandomi a raccoglierli. In breve tempo ogni più piccolo frammento venne riposto nel canestro di vimini.

«Seguimi» disse il Maestro.

Il sole filtrava fra i rami dei ciliegi in fiore e la luce disegnava ghirigori in movimento sulla parete in carta della stanza del Pensiero. Koji recuperò un piccolo padellino in cui fece fondere la lacca, a cui aggiunse polvere d’oro.

«Aiutami» chiese.

Mi avvicinai al tavolo da lavoro e cominciai il paziente lavoro di individuazione dei pezzi, facendoli man mano combaciare, mentre il Maestro lasciava colare la lacca dorata nelle fessure tra i frammenti.

Al termine del lavoro posò la teiera di nuovo integra su un ripiano ombreggiato e ventilato, poi mi invitò a prendere le tazze col the che avevamo temporaneamente abbandonato e lo seguii in giardino, dove prendemmo posto vicino allo stagno delle carpe Koi.

Ero imbarazzatissimo, talmente imbarazzato che non riuscivo a trovare le parole per scusarmi. Quel servizio da tè era un pezzo di inestimabile valore e io non avrei proprio saputo come riparare.

Osservai il volto tranquillo del Maestro. Guardava oltre lo stagno, oltre i ciliegi. Oltre.

«Vuoi dirmi qualcosa?» domandò.

«Io… io non so davvero come scusarmi» dissi. «Non ho denaro per rimborsare il danno» proseguii «e il suo servizio da tè è irrimediabilmente rovinato. Sono davvero un disastro» terminai chinando il capo e osservando la mia tazza ormai vuota.

«Tu vedi solo il lato negativo delle cose» disse.

Lo guardai stupito. «Perché? Esiste forse un lato positivo?» chiesi.

«Il sole sta tramontando. Vieni con me» mi invitò Koji.

Anziché rientrare da dove eravamo usciti proseguimmo costeggiando una parete della casa, finché arrivammo davanti alla mensola su cui il Maestro aveva posato la teiera ricomposta.

I raggi del sole colpivano la superficie ormai imperfetta della ceramica, facendo brillare le cicatrici dorate che l’ornavano.

«Cosa vedi?» domandò.

Mi mancavano le parole. Non per l’imbarazzo, ma per la commozione. La ceramica scintillava, orgogliosa della sua imperfezione.

«Vedo tanta bellezza» risposi.

«Esatto» esclamò annuendo lievemente. «Stai osservando la bellezza dell’imperfezione, che è la bellezza che emana ognuno di noi, coi suoi pregi e i suoi difetti. Se non avessimo difetti, se la vita non avesse inciso su di noi le sue cicatrici, se qualche errore o sofferenza non avesse frantumato il nostro cuore o i nostri sogni, noi non saremmo quelli che siamo». Fece una piccola pausa poi proseguì: «Anche noi rimarginiamo le nostre ferite, proprio come io e te abbiamo fatto con quella teiera, e quelle cicatrici brillano, sono luminose. A volte le curiamo da soli, a volte è qualcun altro a rimarginarle per noi, ma ogni nostra cicatrice fa di noi persone uniche, bellissime nella nostra imperfezione» terminò. Poi prese la teiera con entrambe le mani, come si prende qualcosa di estremamente prezioso e fragile e, con un impercettibile inchino, me lo porse.

Lo guardai perplesso, senza sapere cosa fare, per un lunghissimo istante, poi accolsi quel dono a due mani, come lui aveva fatto con me.

Accolsi il dono della bellezza dell’imperfezione e ringraziai per tutte le cicatrici che avevo e per tutte quelle che avrei conquistato.

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