martedì 23 dicembre 2014

semifinale - Nitido il ricordo di un vetro in frantumi, Franca Riso


NITIDO IL RICORDO DI UN VETRO IN FRANTUMI
Franca Riso


Jasmine panoramica il suo sguardo nell’intera classe. Volti noti, con alcuni di essi ha iniziato il percorso già alle elementari, anche la professoressa le è familiare. Eppure ha addosso, spalmata, la sensazione di essere piombata lì dentro appena adesso. Che le succede? Cerca di concentrarsi sulla voce dell’insegnante. Giada le affibbia una leggera gomitata per attirare la sua attenzione. Segue il suo sguardo fino a inquadrare Eleonora che, interessata come pare alla lezione, maneggia la patta di Laerte.

Al suono della campanella segue un fuggi fuggi generale. Il sole ancora prepotente si rispecchia giunonico nei tratti cromati del casco: zigzagare nel traffico è una delle poche cose che le provoca adrenalina. Mangiucchia appena quello che la madre le ha preparato e mentre la vecchia la rimbrotta su qualcosa (trova sempre argomenti da sfoggiarle a pranzo), lei si è già tappata nella sua stanza.

Un messaggio di Alex la indirizza a dove trascorrere il pomeriggio. Infila quaderni a caso nello zaino e scorrendo veloce nel corridoio, informa la madre che sta andando a studiare da Giada. Attraversa la città, mette la catena allo scooter e sale al piano di Alex. Gli occhi chiari l’accolgono tranquilli e lei si sente morire nel suo sguardo, lo segue in quella casa così profumata e buia. Il gatto sornione esce da una stanza strofinandosi allo stipite della cucina, lei si abbassa a carezzarlo, quant’è morbido, le viene voglia di strizzarlo. Forse allertato dal suo sguardo il gatto si dilegua.

“Che bello. Come si chiama?”

“Willy. Vuoi qualcosa da bere?” e intanto prepara due bicchieri colmi d’aranciata.

“Un’aranciata va bene.” gli risponde sorridendo.

Alex poggia i bicchieri sul ripiano laminato della cucina e mentre lei allunga la mano per afferrarne uno, lui intercetta il gesto e lo racchiude nelle sue mani, poi l’attira a sè baciandola.

Lei si inebria del suo abbandono ma poi gli chiede rassicurazioni sull’assenza dei suoi.
“Non preoccuparti, sono fuori città, dai nonni. Non rientreranno prima di cena. Vieni.”
A custode del letto della camera matrimoniale c’è Willy con gli occhi che brillano nel buio. Alex lo scaccia con un gesto e poi disfa il letto, lasciando solo le lenzuola.

La bacia come mai nei due mesi che si sono frequentati. Solo gli ansimi nell’assordante silenzio di quella casa buia ma il terrore dello scatto della serratura, piano piano prende il sopravvento e diventa l’unico pensiero nella sua mente. Jasmine ai divincola dagli abbracci e raccogliendo i vestiti sparsi sul pavimento si riveste in fretta. Alex chiede spiegazioni, sbraita, ma lei prende per il corridoio e scendendo veloce le scale si ritrova a respirare all’aperto, finalmente.

Mentre mette in moto una signora al suo fianco, infila bottiglie nella campana del vetro.

Nitido il ricordo di un vetro in frantumi.

Si gira in una frazione di secondo come a cercare qualcosa di perso, poi riprende il lavoro interrotto. Domani sarà in pensione. Guarda i suoi colleghi, tutti più giovani di lui: colpito da una crisi di invidia acuta, cerca di distrarsi sui documenti che sta sbrigando. Un moto di stizza gli prende per un modulo compilato male: possibile che la gente non abbia ancora imparato a distribuire segni negli appositi spazi? Si aggiusta gli occhiali sul naso ma non riesce a sbrigarla quella pratica, alla sua scrivania c’è un forestiero. E’ insolito che giungano fino a lui, non è certo compito suo occuparsi del pubblico: in un altro contesto avrebbe saputo indirizzarlo verso le postazioni adatte ma questo è un giorno speciale. Allunga la mano verso il fascicolo del cliente, la cartellina sgualcita contiene fogli consunti da innumerevoli consultazioni, messi alla rinfusa senza l’accortezza del rispetto dei margini. Un’occhiata ai fogli, da esperto qual è, basta a infastidirlo. Stirando in alto il collo lo guarda imitando nei modi le persone di bassa statura, chiude la cartellina.

“Non mi occupo di ricorsi.”

“La prego, non so più a chi rivolgermi – e poi abbassandosi, quasi a confidargli qualcosa di impronunciabile – I suoi colleghi mi hanno detto che anche lei si trova nella mia stessa situazione.”

“Sparisca.”

Alla fine dell’orario scivola nella metro e precorre per l’ultima volta quel tragitto. Cerca di assaporare quello che ha vissuto sempre con sufficienza. Panoramica nello scomparto, corpi affossati sui sedili, teste abbandonate al ritmo degli scambi. Serra gli occhi.

Il suo appartamento messo in ordine da elettrodomestici. Irina, la sua compagna, nel vederlo gli indica un pacchetto ben confezionato. “Ho messo le tue cose. I ragazzi hanno mandato un videomessaggio di saluto, è nella tua posta.”
Con un comando vocale tira giù il letto e vi ci sdraia. Questa notte è l’ultima da domani sarà ospite di uno dei tanti Fortunate Senex sparsi per i distretti. Posti dove finiscono tutti quelli come lui. Non ha idea di cosa gli accadrà, una volta solcata la soglia d’ingresso: ha visto solo le innumerevoli pubblicità che decantano lo svolgersi di una vita semplice e ricca di interessi culturali. Deve crederci. Guarda Irina indaffarata in faccende casalinghe.

“Fra tre anni toccherà a te.”

“Non ho tempo per pensarci. Quando accadrà lo affronterò al meglio. E’ solo un’altra tappa della vita.”

Le mani bagnate di Irina non riescono a trattenere il vaso di vetro soffiato nel quale ha appena disposto dei fiori in plastica.

Nitido il ricordo di un vetro in frantumi.

Rimane per un attimo assente. Cosa ci fa in quel campo? Un bambino, Olconio, che ha di fronte gli prende il pezzo di formaggio che ha in mano. Ora ricorda, ha rubato nella dispensa di sua madre per pagare il compagno di giochi e che ora, dopo aver mangiato avidamente, non ne vuol sapere di giocare. Allora lui lo strattona, e minaccia di non dargli niente per i giorni a seguire: questo basta a portarlo alla ragione. Il gioco ha inzio. A turno lanciano gli astragali ma Olconio tenta di barare lanciando un osso che non gli era riuscito di prendere sul dorso della mano. Per lui è una grave onta e visto che con le proteste non ottiene risultati, si arriva alla zuffa. Malconcio si avvia a casa, fa del suo meglio per reprimere le lacrime e superato lo stretto corridoio tenta di raggiungere la sua camera ma suo padre, dalla tenda aperta del tablino, dove si sta intrattenendo con alcuni clienti, lo vede e lo chiama. Lui lo raggiunge a testa bassa. La sua toga praetexta riporta larghe chiazze di fango proprio sui bordi in porpora. Il padre chiede spiegazioni ma lui non osa aprire bocca.
“Avrei fatto meglio a esporti alla colonna lattaria quando eri ancora in fasce.” gli dice mentre lo fustiga. Dolorante riesce a sottrarsi all’ira del padre ma nel girarsi urta, facendolo cadere rovinosamente, un piatto in vetro decorato a foglia d’oro contenente della frutta.

Nitido, il ricordo di un vetro in frantumi.

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